Ludwig Guttmann

Ludwig Guttmann celebrato in un francobollo (Fonte: Wikipedia)

28 luglio 1948. Questa data, buttata lì così, ai più non dirà assolutamente nulla. In quell’anno di avvenimenti che sono rimasti impressi nella memoria di tutti ce ne sono stati tanti: dall’entrata in vigore della Costituzione italiana al blocco di Berlino, dagli spari a Togliatti alla vittoria di Bartali al Tour de France. Forse i lettori più appassionati e attenti si ricorderanno che proprio in quei giorni, a Londra, avevano inizio le Olimpiadi. Ma non è di questo evento che si vuole parlare, anche perché, a voler essere precisi, la cerimonia di apertura si terrà ventiquattro ore più tardi, il 29 di luglio. Quello che avviene in quel giorno d’estate a tre anni dalla fine della Seconda guerra mondiale è, per l’epoca, un’innovazione quasi inconcepibile. Quasi, perché a qualcuno, da qualche tempo, l’idea di organizzare un evento del genere era già balenata in testa da un po’. Sir Ludwig Guttmann, neurochirurgo tedesco naturalizzato inglese, ci aveva visto giusto: i disabili, se messi nelle condizioni ideali, potevano sfidarsi in diverse discipline sportive e recuperare se stessi. Sì, il 28 luglio 1948 è proprio la data in cui nascono le Paralimpiadi.

Sir Ludwig Guttmann a Stoke-Mandeville, a pochi chilometri da Londra, dirige un reparto dell’ospedale che si occupa di assistere i reduci di guerra affetti da lesioni al midollo spinale. La trovata rivoluzionaria del medico britannico è quella di utilizzare lo sport per svolgere il percorso di riabilitazione dei pazienti ospitati nella struttura.

Ma da dove arriva quest’illuminazione che si rivelerà, in pochi anni, a dir poco vincente? Beh, che domande: da una trincea della Prima guerra mondiale, ovviamente. Come ricorda Bruno Marchesi nell’ampia voce “Paralimpiadi” dell’Enciclopedia Treccani, Guttmann conobbe in ospedale un militare grande e grosso che gli altri medici avevano relegato in un angolo della struttura. L’uomo, che aveva riportato proprio una lesione al midollo spinale, era stato escluso dal contatto con gli altri pazienti perché si temeva che potesse abbatterne il morale. Fu in quel momento che Guttmann, vedendo il modo in cui quell’uomo veniva trattato, decise che era venuto il momento di fare qualcosa, di attivarsi affinché si potesse dare una speranza anche a chi era dato, da tutti, per spacciato. Attaccato da più parti, criticato dai colleghi che lo vedevano, probabilmente, come un pazzo, il neurochirurgo non si diede per vinto in partenza e diede il via al suo programma di recupero. Nonostante i suoi pazienti versassero in condizioni disastrose, Guttmann era fermamente convinto di poter dare loro di nuovo la possibilità di tornare a sperare, di tornare, è il caso di dirlo, a vivere una seconda volta. Dato che la maggior parte dei suoi pazienti era di giovane età in quanto, purtroppo, il distributore di feriti gravi numero uno a quei tempi era la guerra e in guerra ci andavano soprattutto i giovani, la prima attività che venne in mente a Guttmann fu lo sport.

Come ricorda, in maniera puntuale Marchesi, “la pratica sportiva come terapia per i disabili era già presente nel 18° e 19° secolo” insomma, “i benefici di un costante esercizio fisico per la rieducazione e riabilitazione delle persone affette da handicap motori erano note”, ma Guttmann andò oltre.  A Stoke-Mandeville l’attività sportiva venne posta in primo piano, divenne l’autentica protagonista della riabilitazione dei pazienti. Anche nei casi più estremi, “quando i pazienti giacevano a letto immobilizzati, un sergente furiere richiamato dall’esercito aveva il compito di lanciar loro un pallone medicinale che essi dovevano rispedire al mittente”. Nulla era lasciato al caso, ogni singolo ferito svolgeva un’attività sportiva pensata apposta per lui. Guttmann però non si fermò a questo punto: i suoi pazienti non dovevano praticare semplicemente degli esercizi di riabilitazione fisica, dovevano anche essere recuperati psicologicamente e perché no, anche tornare ad essere degli atleti a tutti gli effetti. Per questo motivo decise di organizzare alcuni tornei rudimentali come, per esempio, una serie di partite di polo in carrozzina. Partite che, è il caso di ricordarlo, si svolsero in uno dei corridoi inutilizzati dell’ospedale. Più tardi, dopo gli incontri giocati contro una squadra formata dai fisioterapisti del nosocomio e contro una rappresentativa locale, i ragazzi di Guttmann iniziarono a dedicarsi al basket.

Siamo così tornati alla nostra data di partenza, il 28 luglio 1948. Quel giorno Guttmann decide di superare se stesso, organizzando i primi, arcaici, Giochi per disabili. L’idea è un successo: in tutto il mondo dottori e allenatori si chiedono cosa stia accadendo a Stoke-Mandeville, dove uomini in carrozzina si sfidano tirando con l’arco. La risposta alle tante domande che tutti gli addetti ai lavori si pongono a partire da quel primo giorno di gare appare oggi assolutamente scontata: il 28 luglio del 1948, in quel piccolo villaggio inglese, si è appena aperta una fase completamente nuova della millenaria storia delle Olimpiadi.

 

Federico Sanzovo
Neolaureato e aspirante giornalista, scrivo su carta dal 2008. Sono tra i fondatori di Azzurri di Gloria. Mi occupo di blogging, web writing e social media managing. Amo il web, ma il profumo della carta stampata...

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