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Giusy Versace è nata a Reggio Calabria il 20/05/77   fonte: davidemaggio.it

Non si è mai fermata. Le è successo solo una volta: 22 agosto 2005, aveva 28 anni e molta frenesia. La macchina le sfugge di mano, la pioggia fa il resto: l’impatto col guard rail è di quelli che tranciano, prima gli arti inferiori e poi le speranze. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Nel 2010 Giusy è in piedi e corre. Corre con un paio di protesi in fibra di carbonio, nessuna atleta italiana prima di lei ha mai corso con doppia amputazione degli arti inferiori. La abbiamo intervistata. Abbiamo letto nei suoi occhi una luce particolare: quella di chi è nato almeno due volte, quella di chi ha trovato nello sport una seconda possibilità di vita.

Azzurri di gloria – Giusy, che cosa significa per te correre?
Giusy Versace – “Correre mi dà grande gioia e carica. Il fatto di poterlo fare senza gambe, o meglio con due gambe artificiali, rende il tutto più speciale. Correre è faticoso, ma al tempo stesso è un modo per scaricare le proprie tensioni, per raccogliere nuove energie”.

Come ci si prepara per le Paralimpiadi? Mi riferisco alle tipologie di allenamento, all’alimentazione, agli stili di vita…
“Quando ti prepari per appuntamenti così importanti come una Paralimpiade o anche un mondiale o un europeo, le distrazioni non sono ammesse soprattutto se ad allenarti è Andrea Giannini. Il mio allenatore è molto severo e non mi fa sconti solo perché sono invalida. Mi ha insegnato a seguire una corretta alimentazione, aspetto che io ho sempre sottovalutato, e un corretto stile di vita: cerco soprattutto di andare a dormire a orari decenti”.

Voi atleti paralimpici venite pagati? Come ad esempio avviene per gli atleti olimpici che sono sotto contratto presso le forze dell’ordine, la guardia forestale…
“Ad oggi non è consentito agli atleti paralimpici di essere arruolati, pertanto nessuno di noi è stipendiato per allenarsi. Eccezion fatta per coloro che hanno portato medaglie dai recenti giochi paralimpici e ricevono un contributo economico mensile direttamente dal CIP (Comitato Italiano Paralimpico). Però va sottolineato che da un paio di anni esiste un accordo tra i corpi militari e il CIP che prevede un rimborso spese forfettario per gli atleti “arruolati” oltre ai preziosi supporti di carattere sanitario, organizzativo e di preparazione atletica”.

Cosa ne pensi di un’eventuale manifestazione sportiva che comprenda nello stesso evento le gare degli atleti olimpici e paralimpici diversamente da quanto accade oggi?
“Io credo che ci debba essere una distinzione tra Olimpiadi e Paralimpiadi. Ma è anche giusto consentire ad atleti disabili di alto livello, che hanno raggiunto i minimi richiesti per le Olimpiadi, di poter partecipare. Allo stesso tempo è molto bello e utile per tutti permettere ad atleti paralimpici di gareggiare in competizioni anche minori come regionali o societari promossi dalla Fidal: ciò consente a noi disabili di confrontarci con atleti così detti “normodotati”. Questo apre le porte all’integrazione. Io stessa, da atleta paralimpica, sono tesserata con due società una per il movimento paralimpico (HandySport di Ragusa) e l’altra per la Fidal con l’Atletica Vigevano. Ogni anno infatti alle gare regionali organizzate in Lombardia, io gareggio in batterie con i normodotati: è un messaggio importante per chi guarda, ma anche un grosso stimolo a fare sempre meglio anche per me!”.

Domanda tecnica: alla partenza, come fai materialmente a “sentire” il blocco?
“Io personalmente non lo sento. Corro con due gambe finte, non ho la sensibilità. I blocchi mi servono per appoggiarmi e mantenere l’equilibrio, ma anche per darmi la spinta. C’è parecchio allenamento dietro. Non è semplice come potrebbe sembrare. Ognuno ha una tecnica diversa: conosco molti velocisti che nemmeno usano i blocchi. Nel mondo paralimpico in fase di partenza non sono obbligatori, la scelta è sempre personale”.

Che cosa significherebbe per te la qualificazione?
“Io ho già centrato i minimi di qualificazione per Rio2016, questo però non significa essere convocata. Verranno assegnati degli slot (dei posti) al nostro Paese e i tecnici della nazionale valuteranno a ridosso dell’evento chi portare in base ai più recenti risultati e alla forma fisica dell’atleta. Considerando che le Paralimpiadi di Rio sono previste per la prima settimana di settembre, credo che la nostra Federazione non si pronuncerà prima di fine luglio. Nel frattempo io continuo a correre, ad allenarmi e a dare il massimo, ma lo faccio pensando che nella vita la mia medaglia più importante l’ho già vinta. Non corro per il podio, corro per lanciare un messaggio agli altri, corro per me stessa perché mi piace e mi dà tanta carica. Se poi i risultati arrivano siamo tutti contenti, il mio allenatore per primo. Per ogni atleta un’Olimpiade o Paralimpiade rappresenta la ciliegina sulla torta, è il coronamento di un sogno, il completamento di un duro lavoro durato anni. Io ho partecipato a diversi appuntamenti internazionali come Europei e Mondiali. Credo che le Paralimpiadi ti dia emozioni diverse. Io ho vissuto Londra 2012 da un’altra postazione: ero qualificata, ma due settimane prima della partenza la Federazione decise di lasciarmi a casa come riserva. L’ho vissuta comunque come commentatrice per SkySport e mi sono emozionata a tal punto che continuo a sognare e a crederci. Sto lavorando duramente con l’obiettivo di Rio e tra gli impegni lavorativi e quelli con la mia Onlus (www.disabilinolimits.org) garantisco che non è semplice. Ma io ci voglio credere, ci voglio provare. Se dovesse arrivare la convocazione sarebbe davvero una cosa unica nella vita. Se non dovesse arrivare, sarei comunque fiera per il solo fatto di averci provato. Ho la forte convinzione che ciò che dia un senso alla vita di tutti non sia solo raggiungere la meta, ma il percorso fatto per raggiungerla”.

 

Simone Lo Giudice
Dietro un'atleta c'è sempre una storia... Qui per raccontarvi calcio, tennis e molto altro.

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