Se l’Italia ha un uomo simbolo delle Paralimpiadi, è senza ombra di dubbio Alex Zanardi, l’ex pilota di F1 che nonostante il grave incidente che l’ha privato delle gambe, è rimasto ancorato al mondo che gli appartiene: lo sport, in particolare l’handbike, tipologia di paraciclismo in cui gli Azzurri eccellono. A Rio 2016 è arrivata l’ennesima consacrazione, passando dalle braccia di Alex, ma non solo: grandissimo protagonista è stato anche Vittorio Podestà.
Abbiamo parlato con lui a Minuti di Gloria, il nostro appuntamento radiofonico del venerdì, in onda dalle 18 alle 19 sulle frequenze di Radio Ticino Pavia (FM 91.8 e 100.5). Abbiamo discusso della nazionale italiana di paraciclismo, delle Paralimpiadi di Rio, ma anche della vasta ignoranza che ancora circonda la disabilità in Italia, incarnata nelle parole incredibili di Vittorio Feltri in un suo libro. Qui di seguito l’intervista.

Cominciamo tornando indietro di qualche mese: hai vinto sei medaglie paralimpiche in carriera (2 ori, un argento e 3 bronzi, ndr), ma la consacrazione è arrivata a Rio, con l’oro sia individuale sia in staffetta. Un evento da incorniciare per te, no?

Sì, diciamo “buona la terza”. A Pechino 2008 è arrivato un bellissimo bronzo che però ho sentito quasi come una sconfitta per la mia inesperienza: non mi rendevo conto che i 6 secondi che mi separavano dal primo non erano così pochi. Esperienza che ho fatto nelle spedizioni successive: ho iniziato a crederci a Londra nel 2012, dove sono arrivati due bronzi e un argento a squadre. Sono arrivati a Rio dopo 4 anni splendidi, in cui ho conquistato quattro titoli mondiali individuali e tre a squadre, diventando la squadra più forte del mondo, riconfermandoci tutti appunto alle Paralimpiadi scorse. È stato tutto praticamente perfetto.

Dopo Londra 2012 hai parlato della cultura che manca in Italia, del disinteresse per voi atleti paralimpici: hai avvertito questa sensazione anche dopo Rio?

Qualcosa è cambiato, ma davvero poco. Si è un po’ divisa l’opinione tra chi fa sport di alto livello, e quindi considerati “privilegiati”, anche grazie alla diffusione internazionale degli eventi, e chi fa sport considerati “minori”. C’è un calo di interesse come per tutti quegli sport che vengono tanto apprezzati alle Olimpiadi, come la scherma o il karate, ma che poi ci si chiede come mai non vengano più seguiti al termine del periodo olimpico.
Per quanto riguarda la disabilità, c’è sempre un sacco di gente che dice di apprezzare quello che facciamo, che aiutiamo a superare quel concetto di sport fatto tanto per far fare qualcosa ai disabili: questa è la cosa forse più brutta che si possa pensare, che un disabile faccia sport solo perché altrimenti non saprebbe che fare. Poi però passate le Olimpiadi si ritorna un po’ alla solita vita, in cui la disabilità è vista solo come un problema: per carità, lo è assolutamente, ma non cambiando il punto di vista difficilmente i problemi possono essere superati.

Hai citato i tuoi compagni di squadra e i vostri successi: si può dire che il movimento italiano di paraciclismo gode di massima salute?

Sì, almeno quello maschile: noi siamo indubbiamente la nazionale paraciclistica più forte del mondo. Lo eravamo a Londra, dove siamo arrivati col massimo numero di slot disponibili, conquistati nel periodo preolimpico, e lo siamo stati anche a Rio. Purtroppo rimangono a casa molti altri valorosissimi atleti che potrebbero aspirare ad una medaglia: il CT deve decidere con gli uomini più in forma in quel momento, facendo anche delle rinunce. Il ciclismo è uno sport sia individuale che di squadra: siamo riusciti a dimostrarlo, vincendo l’oro nella gara in linea e nella cronometro.
Anche a livello femminile ci sono atlete di tutto rispetto, come Francesca Porcellato, che pur avendo avuto infortunii abbastanza seri durante l’anno è riuscita a conquistare la medaglia di bronzo, che in quelle condizioni vale come due medaglie d’oro.
L’handbike è quella che è cresciuta di più a livello italiano e mondiale: per il momento non si può chiedere niente di meglio.

Avrai sicuramente sentito la polemica per le parole che Vittorio Feltri ha usato nei confronti di chi usa la handbike (“handicappati che meriterebbero di essere mutilati del tutto”, ndr). Mazzone si è già sfogato su Facebook e sulla Gazzetta dello Sport: tu cosa ti senti di dire?

La pagina incriminata del libro di Vittorio Feltri

Non mi sono sfogato come avrei voluto quando ho visto l’articolo di Mazzone per non ripetere concetti che condividevo assolutamente. Dà fastidio principalmente che venga da una persona che dovrebbe avere una certa cultura sociale e che dovrebbe avere rispetto e considerazione per chi fa quello sport, pur magari non apprezzandolo: parlo ovviamente della parte in cui si scaglia contro i ciclisti, prendendo come scusa il fatto che anche tra di loro esistono dei maleducati. Non tutti lo sono, esistono delle regole ben precise del codice della strada che punisce quelli che lo sono. Il punto è che in Italia c’è quest’idea di persone come Feltri che si scatenano pensando di essere proprietari della strada, quando non è così, e perché perdono quei due minuti del loro preziosissimo tempo, in cui probabilmente sarebbero andati a salvare il mondo, per superare degli stupidissimi ciclisti che usano la strada per una cosa come andare in bicicletta.
Si è poi scagliato contro i disabili che vanno in handbike, dicendo che secondo lui queste braccia si potrebbe anche amputargliele, in modo che non si permettano neanche di fare qualcosa di così assurdo. La cosa che più mi ha dato fastidio è ancora questa cultura radicata che il disabile debba essere una persona immobile, che debba sopravvivere ma senza creare disagio ai “normali”. Ci sono così tanti concetti di cattiveria e di cultura medievale da lasciare sbigottiti, così come il fatto che nessuno si è scagliato contro Feltri, forse per non fargli troppa pubblicità. Poi però si fanno sempre campagne contro i social, accusandoli di tutti i mali possibili. Se un direttore di giornale dovessere scrivere una cosa del genere in un altro Paese, sarebbe stato accusato dall’Ordine dei Giornalisti e cacciato; da noi invece nessun suo collega è particolarmente scandalizzato, sempre pronti però appunto a scagliarsi con il branco di zoticoni che usano male i social.

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Giornalista in erba, sono un appassionato di sport, con un occhio di riguardo per il calcio (banale!) e la boxe.

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