Scherma. La storia di Alfredo Rota: il campione che seppe essere anche un grande uomo squadra. Dall’oro della spada azzurra alle Olimpiadi di Sydney 2000 ai successi individuali del nipote della leggendaria Bruna Colombetti.

Alfredo Rota festeggia la vittoria dell’oro nel fioretto a squadre alle Olimpiadi di Sydney 2000 (fonte: profilo Twitter ufficiale CONI)

Alfredo Rota: il campione è l’uomo squadra

Che cos’è un campione? O meglio, che cosa rende un grande atleta un campione? È la sua capacità di essere decisivo, oppure il saper essere genio oltre la sregolatezza? È talento o duro lavoro? Lo si diventa o ci si nasce? Si deve avere costanza o essere presenti al momento giusto? Istinto o tecnica, testa oppure cuore? 

La verità è che si può essere campioni in molti modi. E che non c’è miglior campione dell’”uomo squadra”: decisivo dunque genio, anche al netto della possibile sregolatezza; talentoso, ma comunque dedito al lavoro; campione, indifferentemente, nato o cresciuto; istinto con necessaria tecnica, e viceversa; testa e cuore, in quanto parte del medesimo corpo. E per oltre un decennio, l’epitome dell’”uomo squadra”, ossia di una delle massime espressioni del campione, della Nazionale italiana di spada è stato Alfredo Rota

 Sydney 2000: l’oro impossibile dell’ItalSpada

18 settembre 2000. Sydney Convention and Exhibition Centre di Sydney, Australia. Va in scena la finale olimpica della spada maschile a squadre: Italia contro Francia.

Gli azzurri sono reduci da un deludente torneo individuale e da una scoppiettante fase a eliminazione diretta nella gara a squadre. Il quartetto italiano, formato dai veterani Angelo Mazzoni e Maurizio Randazzo, 39 e 36 anni rispettivamente, dalla guascona riserva Paolo Milanoli e dal debuttante Alfredo Rota, è giunto all’ultimo assalto di giornata dopo un percorso al cardiopalma, iniziato con un agile 45-34 ai quarti, ai danni dei padroni di casa australiani, e proseguito con una sofferta semifinale, vinta contro la temibile Corea del Sud. 44-43, all’ultima stoccata, grazie ad un incredibile ultimo assalto del rookie Alfredo Rota, nipote dell’iconica Bruna Colombetti, eccellente allieva dal leggendario Giuseppe Mangiarotti, da lei messo in pedana a soli sei anni. Lo spadista milanese, alla sua prima olimpiade, è riuscito a ribaltare il 40-35 dell’ultimo assalto in favore sudcoreana, costruito grazie a un complessivo 4-13 subito dal veterano Mazzoni, alla sua sesta olimpiade, portando la propria squadra, a nove secondi dalla conclusione, a una botta dalla fine del sogno, in finale. Contro la Francia, che ha staccato il pass per la finale eliminando dapprima l’Ungheria, in un sofferto 43-42, dunque i cubani, 45-36.

Gli azzurri, già olimpionici ad Atlanta 1996, con Mazzoni, Randazzo e l’appena ritiratosi Sandro Cuomo, sanno che contro i transalpini l’assalto non sarà facile. Ma, al contempo, sono certi di avere una chance, forse l’unica: quella di «far uscire dagli schemi tecnici» i francesi, portandoli «sul terreno dell’improbabile». Per questo, contro la Francia, esce Mazzoni, in difficoltà contro la Corea del Sud, ed entra Randazzo. 

La finale, per gli azzurri, è però ugualmente in salita: i francesi si portano in vantaggio sin dalle prime battute, con Srecki e Obry, che si impongono rispettivamente su Rota e Randazzo. A scompaginare le carte, però, ci pensa, con la sua irriverenza, Paolo Milanoli: provocazioni e scherni, colpi di classe e di teatro, un’ammonizione e, soprattutto, un timido parziale. Il punteggio, al netto della rimonta, pur in sostanziale equilibrio, continua tuttavia a sorridere alla Francia, ma la finale è ormai dalla parte dell’Italia: perché gli azzurri hanno portato gli avversari nel «terreno dell’improbabile». Si giunge così all’ultimo assalto. Francia, avanti di due lunghezze, in pedana con Hugues Obry, argento nell’individuale di Sydney 2000; per l’Italia, invece, c’è Alfredo Rota, l’uomo delle rimonte: decimo nell’individuale australiana, ma ugualmente pronto a dare l’assalto al titolo. Sulla carta non dovrebbe esserci partita, ma Alfredo Rota, da campione, da grande “uomo squadra”, si prende la scena: la prima stoccata accorcia le distanze, la seconda pareggia il computo dei punti, 38-38, e la terza, al ginocchio dell’avversario, consegna, al minuto supplementare, la medaglia d’oro all’Italia

Alfredo Rota: eredità di un campione

La prestazione di Alfredo Rota nella finale, e nella semifinale, delle Olimpiadi di Sydney è forse quella che più d’ogni altra, al di là delle numerose vittorie, definisce chi sia stato. Come atleta, come spadista e, semplicemente, come campione: specialista delle rimonte, proprio nell’arma, quella non convenzionale, che meno le permette, Rota è stato per un abbondante decennio il «terreno dell’improbabile» azzurro. Il jolly al di là delle quaranta carte del mazzo; il Mr. Wolf, risolutore di problemi dell’ItalSpada; l’arma segreta, ma nemmeno troppo, dei successi della spada italiana. Quelli di squadra, innanzitutto: bronzo a squadre a Pechino 2008, con Diego Confalonieri, Matteo Tagliariol e Stefano Carozzo, oltre ovviamente all’oro olimpico di Sydney 2000; bronzo ai Mondiali di Città del Capo 1997 e argento a quelli di San Pietroburgo 2007; oro agli Europei di Bolzano e bronzo a Smirne 2006, Kiev 2008 e Plovdiv 2009. Ma anche quelli individuali: una Coppa del Mondo nel 2004; un argento europeo nel ’99 e un bronzo individuale a Plovdiv 2009. Oltre a ben quattro titoli di campione assoluto italiano: 1998, 1999, 2001 e 2003; meglio solo Dario Mangiarotti, con sei, e Saverio Ragno e Stefano Bellone, con cinque; a pari merito con Sandro Cuomo, Giuseppe Delfino e Diego Confalonieri.

Alfredo Rota, con dieci medaglie tra Olimpiadi, Mondiali ed Europei, quattro titoli italiani e una Coppa del Mondo, ha segnato un’epoca della spada azzurra ed internazionale, affermandosi come solido spadista nelle gare individuali, ancor più decisivo in quelle a squadre. Ed è, per lui, proprio questa la vittoria più bella: non quella di Sydney, ma l’intero percorso. Iniziato alla società del Piccolo Teatro Milano, sotto la guida della zia; proseguito per le pedane italiane e internazionali, finanche a quelle Olimpiche; e tutt’altro che concluso, giacché Rota, oggi, in pedana non compete, ma allena. 

Perché, per il campione azzurro, la medaglia più bella da avere al collo non è quella conquistata durante una gara olimpica, a Mondiali o Europei, oppure sulle pedane della Coppa del Mondo, ma quella dell’essere diventato un campione anche quanto nessuno ci avrebbe creduto; quella del duro lavoro quotidiano, che porta gli altri, dai più scettici ai tuoi compagni, a credere in te. Una medaglia che al collo resta per sempre, perché non è fatta d’un metallo, né la si vince contro qualcuno, in una determinata rassegna: quella di avere il coraggio di sognare, e poi dare tutto se stessi per raggiungere quel sogno. Perché la meta, in realtà, come ogni buon “uomo squadra” sa, non è altro che il percorso.  

Il quartetto dell’ItalSpada festeggia il bronzo conquistato a Pechino 2008 (fonte: profilo Twitter ufficiale CONI)

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Niki Figus
Giornalista pubblicista. Naufrago del mare che sta tra il dire e il fare. Un libro, punk-rock, wrestling, carta e penna.

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