Tadej Pogacar vince il Tour de France con una prestazione mostruosa a cronometro. Primoz Roglic deve arrendersi al termine di un duello incredibile.

La cavalcata di Tadej Pogacar (a sin.) e l’arrivo sconfortato di Primoz Roglic

Secondo Sergio Leone, il cinema deve essere “spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me, lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito”. Chissà cos’avrebbe pensato il maestro italiano del genere western di fronte al duello finale del Tour de France. Anzi, una tenzone, termine medievale mutuato dal provenzale “tensô” per indicare una sfida tra due individui. La strada della Grande Boucle ha scelto due attori perfetti per reinterpretare sapientemente l’antico dualismo tra Achille ed Ettore.

DUELLO

Da una parte Primoz Roglic, apparentemente minuto per quel suo fisico asciutto incastonato in un’altezza non appariscente. Apparentemente anche al sicuro da ogni assalto, difeso dalla corazzata Jumbo-Visma. Come Ettore, un perfetto condottiero, dotato di tattica e carisma. Dall’altra parte il Pelide delle due ruote, quel Tadej Pogacar all’apparenza spensierato, ma pronto ad accendersi da un momento all’altro. E come l’Acheo per nulla intimidito dalla sfida uno contro tutti. Oggi, si sono dati appuntamento ai piedi de La Planche des Belles Filles per stabilire chi tra i due fosse il degno re delle strade francesi.

DIVINO

La celebre salita presenta una storia particolare: dal 2012 a oggi, ogni volta che è stata scalata, la maglia gialla ha cambiato proprietario. Una sorta di pegno che il Tour paga alle divinità del ciclismo presenti sul monte dei Vosgi. Peraltro La Planche des Belles Filles non è distante dalla Svizzera, patria del calvinismo, che intravede in Dio il fautore di ogni azione. Qualsiasi cosa accada è merito del Divino. Roglic si affida totalmente agli dei delle due ruote, cercando di interpretare i segnali contrastanti attraverso il suo computer con la stessa attenzione di un aruspice. Pogacar, invece, abbraccia il teorema che vuole i baciati dalla buona sorte più intraprendenti rispetto al resto della concorrenza. “Aiutati che Dio t’aiuta” e Tadej si mette nelle condizioni ideali. Rapporto lungo e potente per il ventunenne contro l’agilità nella pedalata del senatore. Il derby sloveno si misura sui secondi e si tinge di giallo, colore sia della maglia oggetto della contesa, sia simbolo cromatico del thriller. La clessidra di Primoz sembra scorrere troppo velocemente. Il vantaggio si assottiglia: tre secondi, due secondi, un secondo, zero. Il tempo si sospende. Attimi e secoli, lacrime e brividi, per dirla alla Ligabue. Poi la bilancia pende dalla parte di Pogacar. Gli dei hanno deciso. La maglia bianca del giovane sloveno della UAE Emirates inizia a colorarsi, mentre, ironia della sorte, prende sempre più pallore il volto stravolto dell’ormai ex leader. Uno scambio cromatico emblematico.

SGUARDI

Al termine del duello sono gli sguardi a parlare. Ci sono gli occhi persi nel vuoto di Tom Dumoulin e Wout Van Aert, gli uomini di fiducia di Roglic, che assistono impotenti alla caduta del re annunciato. Ci sono le lacrime di gioia di Pogacar quando la matematica lo incorona ufficialmente. Un trionfo meritato, figlio di tre successi di tappa, alla maniera dei veri dominatori, nonostante nessuno lo considerasse nemmeno tra i possibili vincenti alla vigilia. Subito dopo il traguardo c’è il pianto di Primoz, rabbioso e silenzioso, contenuto da un mix di orgoglio e stanchezza. Era dal 2011 che la cronometro finale del Tour non ribaltava completamente la classifica. Curiosamente, allora, vinceva Cadel Evans , mentore e primo tifoso di Roglic. Toccherà magari all’australiano consolare l’amico di fronte a una sconfitta bruciante. Accadde anche a lui nel 2008. Era il favorito, si arrese all’ultima tappa. Ma tre anni dopo trionfò. Primoz ha ancora tante stagioni davanti a sé per spendere il suo grande talento. Sempre che non gli tocchi incrociare nuovamente le ruote della generazione benedetta che si diverte a farsi beffe proprio del tempo. Dal ventitreenne Egan Bernal al ventunenne Tadej Pogacar: i baciati dal destino bussano prepotentemente alla porta. Beata gioventù…

Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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