Comitato Olimpico Internazionale, Olimpiadi ed Esports. Sembra la ricetta di qualche chef visionario che decide di creare una forma destrutturata dello sport, ma se entrasse davvero a far parte del menu a cinque cerchi? La proposta di aprire le Olimpiadi ai videogiochi, magari a partire già da Parigi 2024, ha fatto alzare gli scudi di molti puristi dello sport e molti occhi al cielo degli addetti ai lavori. Per capire però come mai il Cio stia valutando questa idea e farcene noi una più precisa, senza classificare gli Esports banalmente come dei videogiochi, abbiamo fatto un salto al Lucca Comics and Games dove si sono tenuti gli Italian Esports Open 2017. Personali guide di Azzurri di Gloria in questo mondo sono stati Thomas De Gasperi, cantante degli Zero Assoluto, proprietario del team di Esport Mkers, e il suo socio e responsabile gaming Amir Hajar.

Thomas De Gasperi, Mkers al Lucca Comics and Games


Di seguito la nostra intervista a Thomas De Gasperi, la prossima settimana invece uscirà la seconda parte di questo viaggio nel mondo Esports con l’approfondimento tecnico fatto insieme ad Amir Hajar.
– Cosa sono gli Esports?
“Gli Esports sono la declinazione competitiva dei videogiochi. Il gaming a un livello più alto di competizione e ha avuto un’evoluzione che lo ha portato al professionismo. Nei videogiochi si è scoperto infatti un interesse crescente, soprattutto da quando c’è l’online e la competizione si è spostata anche a sfide mondiali, e a seguire questi tornei c’è un numero sempre più alto di spettatori che riempiono dei veri e propri stadi facendo il tifo per il loro campione. Un po’ come uno sport, ma in versione elettronica. L’obiezione di molti è che però non c’è un vero sforzo fisico, ma è più intellettuale. Se vogliamo fare un paragone è un po’ tipo gli scacchi, non è lo sforzo fisico, ma l’allenamento e il dispendio energetico intellettuale a caratterizzarlo”.
– Gli Esports alle Olimpiadi sono un sogno o una realtà possibile?
Il mondo degli Esport assomiglia molto a quello delle competizioni sportive, definiamole “normali” e ad un certo punto c’è stato un tentativo di avvicinarli, ma non nelle manifestazioni, però in qualche modo di equipararli. Da parte dello sport convenzionale ci sono sempre stati molti dubbi e critiche, con la voglia di tutelare lo sport e in qualche modo forse c’è anche un po’ di sospetto verso gli Esport e il loro effettivo valore. In verità come spesso accade c’è una via di mezzo. Gli Esport infatti non sono ancora legittimati e in Italia non esiste la figura dello sportivo Esport. Il Coni inoltre non si è mai espresso realmente, ha permesso qualche associazione, legata a qualche ente sportivo, ma non ha mai creato una federazione a differenza di altri paesi, ognuno però a modo suo, quindi non c’è ancora uniformità per come considerare gli Esport. Il tira e molla da parte di puristi dello sport e sostenitori degli Esport ha avuto una svolta al termine delle Olimpiadi di Rio 2016 quando c’è stato il passaggio di consegne ai prossimi Giochi di Tokyo 2020 con il primo ministro Shinzo Abe che si è presentato vestito da Super Mario. Il video introduttivo (qui il link per rinfrescarvi la memoria https://www.youtube.com/watch?v=FNuqKVG781I&t=3s)  ha creato grande entusiasmo con molti che hanno visto la parte dedicata ai videogiochi come lo spoiler per l’introduzione degli Esport. Non è così, ma forse adesso se ne parla per il 2024 perché in effetti il mondo degli Esport, che si avvicina molto a quello sportivo per l’aspetto competitivo e mentale, ha un seguito e degli sponsor che muovono un mercato talmente enorme, che hanno attirato l’attenzione del Comitato Olimpico. E dalle prime edizioni delle Olimpiadi c’è sempre stata un’evoluzione. Da capire poi nel caso quali titoli inserire, per esempio hanno senso quelli di simulazione di sport veri che già ci sono? Oppure metti quelli di violenza? Ma quanta violenza è concessa? Perché la boxe è alle olimpiadi e per quanto sia uno sport considerato nobile i pugni sono veri. Poi ci sono titoli più di fantasia con eserciti immaginari o in Counter Strike, uno dei giochi più conosciuti, si parla di terroristi contro poliziotti. Cosa fai? Soprattutto in un momento delicato come questo in cui vediamo degli attacchi terroristici veri”.
– In un eventuale introduzione degli Esport come funzionerà per il calendario Olimpico secondo te?
Se le Olimpiadi rappresentano il massimo punto di arrivo di una competizione allora potrebbe esserci spazio anche per gli Esport. Personalmente però non sono due cose che vanno insieme, non li vedo nello stesso momento. Non immagino infatti una gara di salto in alto che poi passa la linea a un Esport e non lo vedrei nemmeno come una competizione da svolgere all’aperto. Un po’ di tempo fa c’era stata addirittura la proposta di giocare in contemporanea sul campo una partita della Roma e una gara simulata (Sampdoria-Roma, con la proposta che poi si giocasse la gara Esport prima del match ufficiale del Ferraris a inizio settembre. Entrambi i match sono stati poi rimandati per pioggia n.d.), ma lo trovo fuori contesto fare entrambe le gare insieme, per di più sul terreno di gioco. Se si pensa quindi agli Esports alle Olimpiadi vanno in qualche modo contestualizzati. Non sono la stessa cosa, ma va fatto un evento specifico in un luogo specifico, perché si tratta di un mondo con tutte le sue regole. Andrà quindi strutturato in una maniera intelligente in modo che chi guarda abbia la scelta di seguirli o meno. Però secondo me ci stanno nel panorama olimpico, perché coinvolgono non solo tantissimi giocatori, ma anche appassionati e a un livello di competizione così alta che potrebbe portarli ad essere inseriti nelle Olimpiadi. Certo, sconvolge un po’ e segna una rottura con il passato, però ci sono sempre state novità e questa è una novità, che è anche una realtà”.
– Un altro cambiamento per l’accesso alle competizioni internazionali sta partendo dall’atletica, con la proposta di un raking e non più di misure e tempi minimi di qualificazione. Potrebbe essere anche un criterio per gli Esport?  
Il ranking non lo ritengo un criterio molto preciso. Spesso seguire il percorso del ranking non va di pari passo con il professionismo, perché magari un giocatore si sta allenando con la sua squadra e passa il suo tempo ad impegnarsi seriamente coi compagni e non pensa ai punti in classifica e come ottenerli. Spesso chi sta ai primi posti del ranking non appartiene a delle squadre, ovviamente vengono subito contattati, però in generale i giocatori appartengono alla top 500 però non sono così alti nel ranking perché devono allenarsi con il team. Ad un certo punto diventa più importante allenarsi con la squadra, c’è un coach, un capitano e nel nostro caso facciamo un lavoro di allenamento anche con team a livello europeo, per cercare di migliorarsi”.

Esports al Lucca Comics and Games


– Dalla musica a proprietario di Mkers, come si uniscono questi due mondi?
“Grazie alle passioni. Io avevo la passione per la musica e l’ho trasformata in un lavoro, anche se devo dire ci ho messo una vita. Ad un certo punto anche il videogioco, da sempre una mia passione e che ho sempre vissuto come appassionato, mi sono reso conto che in Italia non c’era ancora nessuno che si era interessato seriamente a questo mondo.  Visto che nella musica ho un approccio professionale di un certo tipo e ogni cosa che faccio, bene o male, mi rapporto sempre in questo modo, era arrivato il momento giusto per questo passaggio anche con i videogiochi. Adesso infatti è un momento di grande rinascita, c’è stata una sorta di reset, in Italia finalmente iniziano a nascere dei team strutturati, il dialogo con gli sponsor inizia ad esserci e forse anche con il Coni, grazie a questa apertura per le Olimpiadi, ci potrebbe essere un movimento. Prima la realtà italiana era palesemente amatoriale, quindi ci voleva qualcosa e io mi sono voluto buttare in questa avventura perché mi sono reso conto che c’erano la necessità da una parte e l’opportunità dall’altra. Quindi mi sono detto di farlo fatto bene e magari anche verso l’internazionale. Se l’Italia non sarà pronta noi comunque proveremo verso l’internazionale. E abbiamo subito avuto una grande spinta vincendo un torneo europeo di Fifa”.
– Uno dei titoli visti in questi giorni è Overwatch, di cosa si tratta?
“E’ un po’ particolare, perché si tratta di un gioco di squadra in cui ognuno dei giocatori ha un ruolo specifico. Immaginiamo le battaglie dei romani, con  una suddivisione specifica dei ruoli, c’era la fanteria, gli arceri, la cavalleria etc. Questo è un gioco di fantasia, ma il concetto è simile quindi c’è chi sta in posizione avanzata perché regge meglio gli urti, per permettere a chi sta dietro di lui di sparare contro i nemici e che può creare tantissimi danni, ma è leggerissimo quindi con lui il rischio è che possa morire con più facilità. Per questo serve il compagno che lo copra e lo tuteli dagli attacchi. C’è poi un altro giocatore che ha il compito di curare l’azione, un altro che si sposta e fa danni in altro modo e tutti devono essere perfettamente coordinati. Quindi non puoi buttarti nel mezzo con qualunque eroe. E’ molto di squadra e in questo per adesso i coreani sono i migliori, perché pur non essendo così forti singolarmente sono una macchina che va all’unisono e perfettamente disciplinata. La disciplina è fondamentale. Devi pensare prima al gruppo e poi ai numeri e questo è molto da sport“. 

Giulia Cannarella
Giornalista pubblicista, collaboratrice per Runner's World Italia. In precedenza redattrice per Agr-agenzia giornalistica radiotelevisiva e collaboratrice per la Gazzetta dello Sport inserto Milano-Lombardia

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