Siamo arrivati alla seconda tappa del nostro viaggio nel mondo degli Esports. Un percorso del tutto nuovo per capire come mai il Comitato Olimpico Internazionale sta valutando l’idea di aprire le Olimpiadi ai videogiochi. Al Lucca Comics and Games, dove si sono tenuti gli Italian Esports Open 2017, abbiamo incontrato Thomas De Gasperi, cantante degli Zero Assoluto e proprietario del team di Esport Mkers, insieme al suo socio e responsabile gaming Amir Hajare. In esclusiva per Azzurri di Gloria Amir Hajar ci ha spiegato nel dettaglio in cosa consiste la figura di responsabile e procuratore, ma anche tutto il lavoro e la preparazione che si nascondono dietro gli Esports.

Amir Hajar Mkers


– Con l’apertura del Cio alla possibilità di avere gli Esports alle Olimpiadi come cambia il tuo lavoro?
Il mio compito è quello di cercare talenti a livello italiano e internazionale, principalmente europeo. Sulla parte italiana stiamo crescendo molto negli ultimi anni e la comunicazione del Cio che sta valutando la possibilità di ammettere gli Esports alle Olimpiadi ha dato un ulteriore slancio. L’unico dubbio che adesso rimane, ed è anche quello più complesso per chi fa il mio tipo di lavoro, è capire dove e su quali titoli andranno a scegliere i partecipanti. Un conto infatti è parlare di sport e diverso invece parlare di Esports. Gli Esports nascono e crescono da una community che si gioca il titolo e crea da sola una competizione, anche se aiutata dal creatore del videogioco. Il videogioco è lo strumento, ma sono poi i giocatori che crescono di livello, diventano più forti, si organizzano e fanno squadra. Il problema adesso è proprio la scelta di quali titoli saranno presi in considerazione, perché ci sono giochi in cui muoiono dei personaggi. Una cosa che non viene vista in maniera negativa dai bambini o dai ragazzi che giocano, perché c’è una catarsi particolare, come veder un film in cui c’è la parte di immedesimazione, ma è una cosa che non faresti mai, è però diverso molto più difficile comunicare questo aspetto. Anche pensando alle parole che dovranno essere usate durante l’evento sportivo, per quanto uno cerchi di stare attento, si dovrà però parlare di un avversario o un giocatore che è stato ucciso. Questo potrebbe spostare la scelta sui simulatori di sport veri. Nel caso in cui vengano scelti publishers da milioni di dollari allora cambierà la storia, ci saranno diversi interlocutori, e anche i giocatori stessi saranno diversi. Il compito più difficile sarà proprio quello di capire in quale direzione si andrà o perlomeno comunicarla in tempo in modo che il pubblico abbia tempo di seguire, guardare e condivider, che è quello che caratterizza proprio il mondo degli esports.
– Quante ore di allenamento e preparazione servono di solito?
Molto dipende dal titolo e dal tipo di approccio del giocatore. Io passo moltissimo tempo con i ragazzi sul tipo di lavoro che devono svolgere, un giocatore inizia a farsi vedere quando spende tante ora su un gioco. Funziona come un calciatore che ha la partita la domenica, ma deve allenarsi tutta la settimana e oltre alla parte con la palla deve dedicare spazio anche alla corsa pura e al potenziamento. Stessa cosa per il videogiocatore, deve passare tempo sul gioco stesso, ma deve allenare anche delle parti importanti della propria mentalità, perché si tratta di uno sforzo principalmente di testa. È vero che per giocare si usano le mani e la vista, ma si deve fare in modo che gli occhi non siano mai affaticati, avere la mente lucida, restare idratati e fare anche molta attività fisica. Come dicevo non devono passare troppo tempo su quello specifico titolo, ma allenarsi anche in altre cose. Esistono dei mini giochi che sono adatti per migliorare delle singole azioni, solo la mente o giochi di squadra che migliorano l’affiatamento del gruppo.
– Una delle critiche mosse agli Esports è che non si tratta di una vera attività fisica, che al contrario associamo comunemente allo sport.
Se si pensa però alle freccette nemmeno in questo caso si tratta di una vera attività fisica, usi una mano e fai perno sul piede. Nei videogiochi si sta seduti e si usano due mani, ci sono dei movimenti tuttavia che sono studiati e che ogni persona fa propri. La mentalità che devono portare durante la partita è come quella di una partita a scacchi, nel momento in cui faccio una mossa devo pensare a quella che potrebbe essere la risposta dell’avversario e la mia contromossa. Devi pensare a cosa succederà immediatamente dopo, ma in tempo reale. Ci sono giochi che parlano di risorse, altri di capacità di mira, in ogni caso però lo scopo è quello di avere una “mens sana in corpore sano”. Bisogna avere la prontezza di riflessi per reagire alla situazione, ma anche la mente reattiva e in grado di prevedere cosa succederà a cascata dopo la prima mossa. Si deve fare un’attività da mental coach come per le partite di pallavolo, noi come team Mkers per esempio abbiamo un mental coach che segue psicologicamente i ragazzi. Io passo tutto il giorno con loro quando si allenano, perché si deve sapere anche cosa succede internamente, i problemi di uno infatti non devono ricadere sugli altri e sulle sue qualità in partita perché avrebbe un effetto a cascata negativo su tutto il team. C’è quindi un lavoro alla pari di tantissimi altri sport, non viene percepito perché il problema principale è che anche squadre veramente forti non hanno aperto delle vere e proprie sedi. Questo accade perché per esempio nel nostro team un giocatore è francese, uno è russo, due sono italiani e vivono in città diverse. Loro giocano da casa, quindi la tua immagine è quella di un ragazzo chiuso nella sua stanza, ma in effetti sta giocando con il mondo intero. Vederli allenarsi quando sono insieme al contrario, intanto aiuta tantissimo per la crescita del rapporto umano tra di loro, la velocità di chiamata di quello che sta succedendo, con tempi di ricezione sempre più rapidi, ma anche cambiare la percezione che ci sia solo una persona da sola nella sua cameretta.
– La concentrazione è un altro aspetto fondamentale e si associa, come dicevi, alla cura del corpo
Un problema è che i ragazzi hanno un deficit di attenzione molto alto e tendono a distrarsi facilmente. A differenza di quello che si immagina il videogioco aiuta i ragazzi a concentrarsi su quello che stanno facendo avendo dei risultati e avere dei risultati in un tempo immediato li aiuta a voler continuare. C’è una reiterazione della partita. Il mio compito è quello di insegnargli che la ripetizione è giusta, ma non si tratta solo di iniziare e finire una partita, ogni volta si deve capire come migliorare. Alcuni titoli per esempio richiedono un lavoro e una concentrazione di 5-6 ore al giorno, quindi non giocare solamente. Si fa un’ora di studio delle mappe, le posizioni, la squadra avversaria, per altre 2-3 ore si trovano degli sparring partner nel mondo che si conoscono e che però magari non condividono il tuo lavoro di preparazione, quindi si testano delle tattiche per vedere se funzionano. Devi fidarti degli altri, perché ognuno ha compiti diversi e se sbaglia uno sono fuori tutti. A maggior ragione nei titoli di simulazione non puoi permetterti errori perché si basano sulle stesse regole degli sport veri, quindi se in un Gran Premio sbagli una curva e la prendi larga hai finito la gara. Per questo motivo i ragazzi devono essere preparati psicologicamente e fisicamente, devono sopportare un grande stress per giocare. Devono seguire una dieta equilibrata, la prima cosa che si va a levare ai giocatori professionisti sono tutti quei cibi ricchi di zuccheri, durante la partita infatti non puoi assumere altro che acqua. Questo anche per una questione di sicurezza, perché ci sono stati dei casi in passato di doping con l’uso di alderan, che di solito è una sostanza usata dagli studenti per superare gli esami e che nei videogiochi aumenta la percezione. I ragazzi sono quindi molto controllati, sia prima che durante le partite quando sono sul palco. Devono mangiare quello che gli viene preparato e seguire una dieta corretta per evitare quelle che vengono definite botte di zucchero, che portano poi a un calo e alla successiva ricerca di zuccheri da trasformare in energia.  A differenza di quello che si pensa infatti i giocatori professionisti, o almeno la maggior parte di loro, sono persone fisicamente allenate. L’immagine del ragazzo grasso e fortissimo ai videogiochi esiste, però non è la regola e non è soprattutto l’immagine veritiera dei giocatori professionisti che al contrario sono in forma.

Giulia Cannarella
Giornalista pubblicista, collaboratrice per Runner's World Italia. In precedenza redattrice per Agr-agenzia giornalistica radiotelevisiva e collaboratrice per la Gazzetta dello Sport inserto Milano-Lombardia

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