Giusy Versace tra teatro ed atletica: ecco la nostra intervista alla protagonista dello spettacolo “Con la testa ed il cuore si va ovunque”.
Sapete qual è il bello di Giusy Versace? La sua schiettezza, la capacità di parlare di tutto, anche della sua disabilità, con il sorriso. Piace perché insegna ad apprezzare ciò che si ha a disposizione mettendoci testa e cuore, come dice il titolo del suo spettacolo. Dopo un drammatico incidente nel 2005, costatole l’amputazione delle gambe, la calabrese ha saputo risollevarsi, diventando una delle atlete migliori del movimento paralimpico ed una delle portavoce principali del mondo disabile. Nel corso di “Minuti di Gloria”, la nostra trasmissione in onda sulle frequenze di Radio Ticino, Giusy ha raccontato le sue impressioni dopo l’esordio a teatro ed i ricordi delle tappe più importanti di questa seconda vita.
Giusy, hai debuttato alla grande a teatro: prima al Manzoni di Milano e subito sold out. Ma da dove è nata l’idea di questo spettacolo realizzato con Edoardo Sylos Labini?
<<Lui è stato il mio incubo per questi ultimi tre mesi ed io sono stata il suo. Ancora non sono riuscita bene a realizzare quello che siamo riusciti a fare al Manzoni. Sembrava che venisse giù il teatro. Non mi aspettavo di riempirlo e di fare addirittura questo sold out cinque giorni prima. E poi il calore, la reazione della gente mi hanno colpito molto, insieme alle risate, agli applausi, ai pianti, all’affetto. Non so cosa siamo riusciti a fare… Lui è stato bravo perché ha saputo mantenere e rispecchiare quello che era stato il mio racconto nel mio libro. Lo spettacolo è tratto dal libro che ho scritto quattro anni fa con la Mondadori ed è un diario in cui racconto questa altalena di emozioni presenti nella mia vita. Ha mantenuto anche la mia volontà nell’ironizzare in alcuni momenti. L’ha rispecchiato. Poi non lo so, starà agli spettatori dire se ci siamo riusciti a mantenere questo equilibrio o meno>>.
IL RAPPORTO CON LA FEDE
Sempre a proposito del tuo spettacolo “Con la testa e con il cuore si va ovunque”, hai parlato anche del tuo rapporto con la religione. Quanto ha influito la fede in questa tua seconda vita?
<<La fede l’ho sempre avuta. Non ho avuto una sorta di conversione dopo l’incidente. Sicuramente si è rinforzata molto perché ho visto questa mia nuova vita, nonostante l’invalidità, come una seconda opportunità per cui provo un forte senso di gratitudine. Poi sono andata anche a Lourdes un anno dopo l’incidente. Lì ho conosciuto questa meravigliosa famiglia quale è l’Unitalsi, che mi ha dato l’occasione di vivere con loro il pellegrinaggio e di diventare una sorella, aiutando quindi nel mio piccolo, per quel che si può fare. Sicuramente è stato il posto in cui sono riuscita a trovare le risposte alle domande che mi turbavano in quel periodo. Il “perché a me?” è diventato il “perché non a me?”. Tante volte, quando capita una cosa brutta, è umano e spontaneo chiedersi “ma perché a me? Perché proprio io?”. Forse non c’è un perché o non ci è dato saperlo adesso in questa vita. Tanto vale dare un senso a tutte le cose che possiamo fare, senza piangere per quello che non possiamo fare più. Queste risposte sono riuscita a trovarle sicuramente grazie alla fede, perché mi ha impedito di arrabbiarmi, di incattivirmi con la vita. Poi il dolore fisico è talmente grande che non ci sono aggettivi con cui descriverlo. Ma questo a cosa porta? Porta ad incattivirsi, ad inasprirsi, provoca nervosismo. La fede mi ha aiutato nella gestione del dolore>>.
LE MILLE “SFIDE”
E in questa seconda vita hai fatto veramente di tutto: atleta paralimpica, concorrente a “Ballando con le stelle”, conduttrice della “Domenica Sportiva” ed ora attrice teatrale. Quale tra questi ruoli è stato il più difficile?
<<In realtà sono tutte difficili. Devo dire che io trovo sempre il modo per non annoiarmi. Questo ce l’ho proprio per deformazione caratteriale (ride ndr.). E poi sono una che ama le sfide: le cose che hai citato sono tutte delle grandi sfide non cercate o calcolate. Nel racconto della mia nuova vita, non avrei mai scommesso nemmeno mezzo euro su di me e su tutte le cose che sono riuscita a fare. Ho sempre cercato di vivere molto alla giornata, valutando tutte le cose che mi capitavano o mi incuriosivano. Ho iniziato a correre per dare uno schiaffo morale a quelli che dicevano che sculettavo e cadevo. L’ho fatto per ripicca. “Ballando con le stelle” è stato una sfida perché volevo portare la disabilità a fianco di gente comune. Non avrei mai pensato di alzare la coppa e di vincere. La “Domenica Sportiva” è stata un’altra Olimpiade. L’edizione di quest’anno durava forse leggermente meno, ma quella della scorsa stagione era di due ore e mezza di diretta. E nel mentre mi dovevo allenare. Mi piaceva che potessi parlare di sport non dal punto di vista di una giornalista, ma da sportiva. Quindi mi sono potuta confrontare con personaggi del mondo dello sport con storie particolari. Mi ricordo quando abbiamo invitato Acerbi, calciatore del Sassuolo, con una vicenda unica, dettata dalla lotta contro il tumore. E nonostante la malattia, è tornato più forte di prima. Questi sono messaggi piacevoli da portare alla gente. Non bisogna solo parlare di moduli e di risultati. L’idea del teatro è nata dopo “Ballando” insieme a Todaro. In questi due anni avevamo fatto spettacoli a teatro insieme. Nel momento in cui ho visto che la gente era curiosa ed io potevo portare il mio messaggio, mi sono lanciata. Edoardo ha accettato la scommessa. Nessuno ha portato la disabilità a teatro in questo modo, mettendosi a nudo. Ho fatto vedere le mie gambe, ho cercato di abbinare il termine “normalità” con la parola “disabilità”. Fa parte della vita. Lui è riuscito ad accompagnarmi in questo percorso in maniera unica. Abbiamo fatto un bel lavoro. Adesso c’è anche la tournee, a Roma, Bologna, Firenze, Venezia e forse a Norcia. Vorremmo portare questo spettacolo alla gente, per darle un po’ di energia>>.
RIO 2016: IL RACCONTO DI GIUSY
Parliamo della Versace atleta: com’è stato partecipare alle Paralimpiadi di Rio 2016?
<<Pazzesco, qualcosa di difficile da spiegare. È stata un’esperienza faticosa, abbiamo trascorso 25 giorni a Rio, in Brasile e non eravamo proprio in vacanza… Non siamo mai usciti dal villaggio olimpico, mangiavamo sempre le stesse cose, condividevamo le stesse abitazioni. Ho sbagliato la gara decisiva. Ho avuto la possibilità di conquistare un bronzo nei 400m, ma purtroppo ho commesso un errore. Non cerco alibi. Ho perso l’equilibrio in una curva, ho pestato la riga bianca che divide le corsie e mi hanno squalificato. Peraltro era la mia gara d’esordio. Insomma, prima gara, finale diretta e possibilità di conquistare un bronzo… Quando ho letto sul tabellone “disqualified”, mi è dispiaciuto molto. Correndo mi ero accorta di aver pestato la linea bianca, ma da buona “terrona” ho pensato: “Dai che non se ne è accorto nessuno”. Faccio sembrare tutto facile, ma, credimi, c’è da fare molta fatica. In compenso mi sono riscattata con la gara dei 200m. Devo ringraziare mia madre, che era a Rio insieme a mio padre e a mio fratello. Prima che ci riportassero al villaggio, lei mi disse: “Ricordati che tu sei ad un’Olimpiade, qui ci arrivano solo i più grandi. Hai bisogno di una medaglia per guardarti allo specchio e ricordarti che hai vinto?”. Queste sue parole mi hanno dato la carica ed il giorno dopo mi sono mangiata quel tratto di pista. Addirittura il mio allenatore mi ha chiamato allarmato: “Ma ti sei dopata? Poi ti fanno i controlli” (ride ndr.). Ero agguerrita e concentratissima sulla finale. Tra l’altro sono stata l’unica italiana a parteciparvi e sono felice di ciò che ho vissuto>>.