Sguardo accattivante, occhi da birbante, cuore scintillante: il tuo nome è Robin Hood… Robin Hood, Robin Hood, Robin Hood: tu fai sempre breccia se dall’arco scagli una freccia! Robin Hood, Robin Hood, Robin Hood: combattiamo l’ingiustizia assieme a te! Così cantava Cristina D’Avena, così si rivede il protagonista di questa storia: Mauro Nespoli, il Robin Hood dell’Oltrepò Pavese. “Il mio primo ricordo legato al tiro con l’arco è sicuramente il cartone animato. La volpe che ruba ai ricchi per dare ai poveri era un mito da imitare”. Le colline dell’Oltrepò Pavese fanno da sfondo a questa storia: storicamente terra di vini D.O.C. e di salumi pregiati, a volte terra anche di arcieri. Mauro è l’oro di mamma Annamaria e papà Paolo da ventotto anni, Nespoli è l’oro azzurro da quattro anni or sono. “Londra 2012 mi ha regalato una grandissima gioia che ha ripagato anni di sacrifici non solo miei, ma di tutta la squadra”.
Seduto a un tavolo della Compagnia Arcieri DLF di Voghera, l’oro classe ’87 ci ha raccontato come tutto è cominciato. “Nel 1997 ero in vacanza in montagna coi miei genitori ad Aprica, un piccolo comune in provincia di Sondrio: lì organizzavano i campionati italiani di tiro con l’arco e davano la possibilità ai ragazzi presenti di provare questa disciplina. Avevo dieci anni e ho iniziato a tirare così, per caso”. Il rientro da quella vacanza ebbe un sapore particolare: “Tornato a casa, io e la famiglia abbiamo scoperto che a Voghera c’era una società di tiro con l’arco. Era gestita da due istruttori: Luciano Malovini e Filippo Clini. Ho cominciato a tirare con loro e da quel giorno non ho più smesso”. Entrambi sono stati due figure determinanti per la crescita di quel ragazzino che aveva appena iniziato a impugnare le frecce: “Luciano mi ha accompagnato nelle prime esperienze in Nazionale giovanile: lui all’epoca era stato nominato responsabile dei settori giovanili. Abbiamo condiviso la stessa esperienza pur ricoprendo due ruoli differenti. Da lì in poi i nostri percorsi hanno viaggiato paralleli. Ci siamo incontrati di nuovo a cavallo delle Olimpiadi di Londra. Filippo invece è il tecnico della Nazionale che mi ha portato a Pechino nel 2008: anche lui è di Voghera e la nostra collaborazione continua tuttora. In questo periodo stiamo cercando di mettere a punto l’attrezzatura in vista dei prossimi impegni”. Crescendo l’interesse attorno per Mauro, è cresciuto numericamente anche lo staff che lo circonda: “Penso al professor Roberto Finardi, che gestisce tutto l’impianto metodologico dei miei allenamenti, e alla dottoressa Valentina Onorato, la psicologa dello sport con la quale collaboro. Tutti insieme facciamo una grande squadra”.
Eppure Mauro ci tiene a precisare come tutto sia nato davvero per caso: “Fare del tiro con l’arco un lavoro non è mai stato il mio obiettivo, perlomeno all’inizio. La voglia di dedicarmi a questa disciplina a tempo pieno mi è scattata solo in un secondo momento. I primi successi sono arrivati senza pensare che un giorno magari mi avrebbero potuto portare alle Olimpiadi”. Ma col tempo qualcosa cambiò: “Nel 2002 vinsi i miei primi campionati italiani, guadagnandomi la convocazione nella Nazionale giovanile. Poi nel 2004 Marco Gagliazzo vinse l’oro alle Olimpiadi di Atene: seguii la gara da casa, vederlo vincere mi fece credere che avrei potuto farlo anche io. Nel 2006 c’è stata la convocazione nella Nazionale seniores, nel 2007 sono arrivate anche le prime trasferte con la Nazionale maggiore: lì ho iniziato a puntare alla Olimpiadi”.
A Pechino 2008 Mauro conobbe i suoi miti in carne e ossa: “Avevo 21 anni. Fu emozionante conoscere di persona atleti come Igor Cassina, Jury Chechi, Antonio Rossi. Loro erano dei miti, io non ero nessuno. Ero un semplice arciere che tirava con l’arco per la prima volta alle Olimpiadi”. A Londra 2012, quattro anni dopo, Nespoli tirò per la secondo volta davanti agli occhi di tutto il mondo. E fu oro: “Nel 2012 si è chiuso un cerchio: vincendo quella medaglia nella competizione a squadre ho realizzato un sogno. Gestire il rientro da quelle Olimpiadi fu faticoso, ma al tempo stesso più gratificante rispetto a quattro anni prima”. Un successo che rese sì lucente il suo palmarès, senza cambiare nulla però: “Io ero Mauro Nespoli prima dell’oro di Londra e sono Mauro Nespoli adesso. È cambiata solo la percezione che i bambini del settore giovanile hanno nei miei confronti. Quando mi incontrano c’è una sorta di timore reverenziale, forse perché ho vinto le Olimpiadi. La cosa più bella in assoluto è il fatto di poter andare nelle scuole, nei centri sportivi e negli oratori a raccontare la mia esperienza restituendo ad altri quello che è stato il tiro con l’arco per me”. Tra pochi mesi scatterà l’ora di Rio 2016, dove Mauro probabilmente non sarà più il più giovane della comitiva azzurra: “L’arrivo del giovanissimo David Pasqualucci ha scardinato un po’ gli equilibri. La sua presenza in generale ha alzato il livello di attenzione di ogni singolo atleta. Con David parliamo molto, rivedo in lui alcuni passi che io ho già percorso. Cerco di dargli la mia chiave di lettura, ma lungi da me la presunzione di volergli insegnare qualcosa. Probabilmente non sarò più il più giovane dei tre, ma non sarò nemmeno il più vecchio: sono nella condizione perfetta di età per gareggiare. Vogliamo riconfermarci come squadra e vorrei fare bene nella gara individuabile, dove ho spesso faticato”.
Oggi tocca a lui faticare. In passato a faticare è stata molto anche la sua famiglia, soprattutto nel dover mantenere i costi dell’arco quando Mauro era solo un bambino: “La Corea è il paese più forte al mondo in questa disciplina. Lì cominciano a tirare nelle scuole con un’idea diversa dalla nostra, lì lo Stato ti incentiva affinchè tu possa provare qualsiasi sport. In Italia certi sport hanno costi più alti di altri e ciò condiziona le scelte dei ragazzi. Un arco completo e di livello costa 2500 euro e prima di arrivare in Nazionale la sua manutenzione è esclusivamente a tuo carico. Mia madre ha sempre scherzato, dicendomi: ma scegliere la corsa campestre non era più comodo? Bastavano un paio di pantaloncini e un paio di scarpe”. E riecco un buon motivo per scomodare di nuovo il mito Robin Hood: “Ricordo la scena in cui, nella versione della Walt Disney, lo sceriffo di Nottingham tira la freccia e Robin Hood la colpisce: ogni freccia costa 50 euro, tentando quel colpo nella realtà ne hai rotte due, cioè hai perso 100 euro. Da bambino a volte provavo quel tiro: quando mi riusciva tornavo a casa tutto contento. Mia mamma non la pensava così: ogni volta avrebbe voluto recuperare almeno una freccia, ma io non glielo permettevo”. I costi iniziali sono onerosi, ma col professionismo cambia tutto: “Noi abbiamo il sostegno economico delle forze armate, del CONI e delle aziende interessate a fornirci il materiale. Il tiro con l’arco per me è quasi a costo zero, ma lo è diventato solo dalle Olimpiadi del 2008. Negli undici anni precedenti il contributo economico della mia famiglia è stato decisivo per la mia carriera successiva”.
E il ruolo dell’aereonautica militare? “Per me farne parte è fondamentale. Mi alleno otto ore al giorno, dedicandomi a questa attività di fatto a tempo pieno. Se non ci fosse l’aereonautica oggi sarei da qualche altra parte a lavorare e dovrei ritagliarmi gli spazi per potermi allenare nelle pause pranzo o dopocena con ovvie conseguenze in termini di risultati. A me è sempre piaciuta l’idea di poter fare il pilota: quando c’è stata la possibilità di entrare nel gruppo sportivo, seguendo Marco Gagliazzo e Michele Frangilli, non ci ho pensato un secondo di troppo”.
Tre anni fa, all’indomani dell’oro londinese, Mauro Nespoli è stato ospite all’inaugurazione dell’Anno Accademico Sportivo dell’Università di Pavia, ateneo presso il quale frequenta la facoltà di Scienze Motorie: “Me lo ricordo: è stato bello essere lì quel giorno. Io sono stato anche tesserato per il CUS Pavia. Dopo Pechino 2008 i campionati mondiali universitari sono stati la molla per farmi tornare subito in sella: volevo scacciare il demone dell’oro mancato. Abbiamo vinto due medaglie in una competizione a squadre: oro nel mix team e bronzo con la squadra maschile. Quel successo mi ha incoraggiato, facendomi capire che vincere una medaglia d’oro era nelle mie corde”. E come procedono gli studi? “Quanto all’Università, non è facile gestire studio e sport. Da parte dell’ateneo pavese c’è stato sempre il massimo sostegno per cercare di farmi portare avanti i due percorsi in parallelo. Mi fossi impegnato di più io, forse avrei anche già finito. Questo sport però assorbisce completamente la testa, tirare con l’arco comporta un grosso impegno mentale. E diventa faticoso mettersi sui libri dopo sei ore di allenamento”.
E il tempo libero? “Che cosa, scusa? Scherzi a parte, il calendario delle nostre gare mi permette spesso di andare in vacanza a ottobre: solitamente vado all’estero oppure vado a fare la vendemmia. A me il vino piace, il salame anche: sono dell’Oltrepò del resto. Ma il vero tempo libero lo puoi ritagliare solo una volta ogni quattro anni”. Alla prossima vacanza non manca molto, ma prima c’è Rio: dove Mauro Nespoli, il Robin Hood di questa storia, disputerà la sua terza Olimpiade all’età di 28 anni. Inseguendo un altro sogno, un’altra freccia: quella che punta all’oro individuale.