Da Rio la scherma azzurra è tornata a casa con 4 medaglie: un oro, Daniele Garozzo nel fioretto maschile individuale e tre argenti, Elisa Di Francisca, Rossella Fiamingo e gli spadisti nella gara a squadre. Eppure, nel nostro sondaggio su quali siano stati i flop più deludenti di questa Olimpiade, la scherma è stata proprio la più votata. Ma si può davvero parlare di flop? Proviamo a fare un analisi ragionata di quanto emerso dalle pedane brasiliane.
Vero, la scherma ci ha sempre abituati bene: basta fare un salto indietro di quattro anni a Londra, dove le medaglie furono ben 7 di cui tre d’oro. Se si vuole rimanere quindi sul mero criterio numerico, il passo indietro è evidente. Come è innegabile la delusione per la mancata medaglia di assi del calibro di Arianna Errigo e Andrea Cassarà, oppure quella della squadra di fioretto maschile che abdica nel peggiore dei modi dopo un quadriennio fatto di un oro olimpico e di due titoli Mondiali. Difficile trovare una spiegazione a una sconfitta come quella di Arianna contro un’avversaria che, per quanto meritevole di rispetto, non è certo paragonabile per levatura a una fiorettista del calibro della monzese. Nei quattro anni trascorsi da Londra a Rio la Errigo ha letteralmente dominato la scena. È però la legge delle Olimpiadi e di una gara tanto affascinante quanto spietata. Spesso si chiudono le porte in faccia anche a Campioni e Campionesse attrezzati di tutto punto per puntare all’oro e anche Rio non ha fatto eccezione, perché il medesimo destino di Arianna è toccato in sorte ad Andrea Cassarà – volendo rimanere in Italia – o anche a una fuoriclasse come Olga Kharlan sgambettata sul più bello dalla tensione che ne ha paralizzato mente e braccio in semifinale.
Un ulteriore aspetto negativo è da ricercare a monte dei Giochi Olimpici, ovvero la mancata qualificazione della squadra di spada femminile. Un crollo verticale, quello delle azzurre, cominciato ai Mondiali di Mosca e terminato con l’inevitabile disastro, senza che le ragazze – nonostante arrivassero da otto podi di fila ed fossero saldamente in testa al ranking prima della “fatal Russia” – riuscissero a trovare le adeguate contromisure. Ed è forse questa la mancanza più dura da mandare giù, perché il quartetto italiano aveva tutte le carte in regola per puntare alla medaglia. Ma al netto delle ombre, bollare la spedizione della scherma azzurra come flop è comunque un giudizio ingeneroso e parzialmente incompleto perché sono molti i fattori di cui tenere conto. In primis l’assurda regola della rotazione delle armi che a ogni edizione toglie dal programma due gare a squadre. La mannaia quest’anno ha colpito la sciabola maschile e, soprattutto, il fioretto femminile ovvero l’arma che a Londra ha portato 4 delle 7 medaglie. In Brasile le azzurre non solo non hanno potuto difendere il titolo a squadre di quattro anni fa, ma anche e soprattutto è stato impossibile – per mero dato numerico prima ancora che per esito agonistico – ripetere la tripletta meravigliosa messa a referto all’Excel Center. L’assenza di prova a squadre, infatti, presuppone un contingente massimo di due atleti – atlete in questo caso – per nazione.
Un secondo fattore da cui è impossibile prescindere in fase di giudizio è l’aumento della concorrenza. Rimaniamo sempre nel fioretto: nei tre anni di “cura” sotto la guida di Stefano Cerioni, demiurgo dei trionfi azzurri fino a Londra, la Russia è tornata prepotentemente a far sentire la propria voce. In particolare al femminile le gerarchie si sono ribaltate: fra 2015 e 2016, Inna Deriglazova – fiorettista di punta della Russia – ha fatto man bassa centrando Mondiale e Olimpiade, e anche nelle gare a squadre il dominio del “Dream Team” non è più così netto come una volta. Anzi, lo scorso aprile sono state proprio le russe a prendersi il Mondiale a Rio, prima di fare doppietta a giugno con l’oro Europeo vinto a Torun sempre a scapito delle azzurre. Ma non è solo la Russia a fare paura: gli Stati Uniti sono sempre più una realtà consolidata, la scuola magiara è tornata a far sentire la propria voce e un’altra pretendente, l’Africa, comincia a proporsi ad alti livelli, come dimostrato dallo storico bronzo di Ines Boubakri nel fioretto e dai quarti di finale centrati da Sarra Besbes (numero 2 del Mondo) nella spada.
Sono comunque tante le belle indicazioni uscite dall’avventura brasiliana. Rossella Fiamingo continua a riscrivere la storia della spada femminile, diventando la prima italiana a vincere una medaglia olimpica individuale nella spada e al contempo migliorando il record di Laura Flessel, che dopo due mondiali di fila fra 2002 e 2003, ad Atene non andò oltre il terzo posto. C’è poi la splendida realtà di Daniele Garozzo. In due anni ha letteralmente bruciato le tappe: entrato in nazionale nel 2014, si è distinto in Italia, sfiorato l’impresa all’Europeo di Montreux, quindi è passato al massimo incasso a Rio De Janeiro. E ancora, la conferma che quello della spada maschile è un gruppo tostissimo, capace di superare le difficoltà e passare nel giro di un anno dal baratro della mancata qualificazione olimpica a un argento che profuma di oro; il ruggito di Elisa Di Francisca, leonessa d’argento, alla seconda finale in altrettante partecipazioni alle Olimpiadi, e l’eterno Aldo Montano, a 37 anni lotta e dà spettacolo in pedana, prima di alzare bandiera bianca e recriminare per qualche decisione arbitrale poco digerita anche da un Signore delle pedane come il livornese. Non va poi dimenticata la prestazione coraggiosa e di cuore delle sciabolatrici, le meno accreditate alla vigilia per una medaglia e andate a un passo dal centrarla, guidate da una meravigliosa Loreta Gulotta. Han chiuso quarte, ma dopo aver svegliato le francesi dai loro sogni d’oro e tenuto testa all’Ucraina finchè Olga Kharlan non ha deciso di giocare con le sue regole, spegnendo sogni e in parte gli entusiasmi del gruppo azzurro, poi poco reattivo nella finalina contro gli Usa.
Che dire, quindi, dell’Olimpiade della scherma azzurra? Tutto sommato un bilancio sufficiente, in linea con le attese della vigilia, non certo trionfale. Tre, quattro medaglie, questo aveva messo in preventivo il Presidente Federale Giorgio Scarso. E così è stato, con due medaglie “impronosticate” a tenere su il bilancio dopo gli altrettanti impronosticabili crolli di Errigo e squadra del fioretto maschile. Ora ci sono le meritate vacanze, poi da ottobre si riparte: obiettivo, Tokyo 2020. Perché quattro anni volano in un baleno e l’Italia della scherma non vuole nemmeno perdere un secondo di tempo per tornare grande sulle pedane giapponesi.