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Una foto d’epoca di Enrico Brusoni: sono pochissime le immagini riguardanti l’atleta che vinse il primo oro azzurro nel ciclismo olimpico

Vincere un oro alle Olimpiadi, restando però perfettamente invisibili: è questa la strana storia di Enrico Brusoni, uno dei primi vincitori italiani ai Giochi, rimasto però nell’anonimato per svariati anni e morto senza sapere di aver raggiunto questo prestigioso traguardo. Ma soprattutto senza ricevere, ancora oggi, il minimo riconoscimento dal CIO.

Insomma, una medaglia di nuova scoperta, quella del buon Brusoni, nato ad Arezzo il 10 dicembre del 1878, e specializzato inizialmente nel ciclismo su pista: da dilettante, Enrico (o forse Ernesto Mario, anche qui c’è discordanza) si metterà in luce vincendo la Coppa del Re nel 1898 e stabilendo il record dell’ora dietro moto (54,785 km: non lontano da quello che si fa ai giorni d’oggi, ma senza la moto), e poi andrà a tentare la grande sfida a Parigi, in quei Giochi del 1900 che, insieme all’edizione seguente di St. Louis, si giocheranno la palma dell’edizione organizzata peggio nella storia delle Olimpiadi.

Nei fatti, il governo francese estromise il barone de Coubertin, ideatore dei Giochi, dall’organizzazione delle Olimpiadi e destinò un budget pressoché nullo all’evento, e così le gare furono inserite a mo di attrazione all’interno dell’Esposizione Universale che diventerà famosa per aver visto spopolare il cinematografo dei fratelli Lumiere. Da qui nasce l’incertezza riguardo a cosa fosse davvero olimpico e cosa no, e la titubanza del CIO nell’accettare Brusoni tra gli olimpionici, ma la scoperta dell’oro del ciclista si deve agli studi di Bill Mallon, fondatore dell’Associazione Internazionale degli storici olimpici, che inserì la ”corsa delle volate”, il nome che aveva nel 1900 l’attuale corsa a punti, tra le gare a cinque cerchi in base a quattro criteri: gare aperte a tutti, gare per dilettanti, gare senza partenza ad handicap, gare senza premi in denaro.

E, di fatto, gli studi di Mallon fornirono la necessaria gloria a Brusoni, seppur con un secolo di ritardo: il ciclista azzurro, infatti, dopo aver fallito le semifinali nella velocità olimpica, specialità che lo vedrà uscire due volte nelle semifinali mondiali, e aver partecipato a una corsa ad handicap non olimpico, era stato l’assoluto protagonista della corsa a punti disputata sul velodromo di Vincennes sulla base di 10 giri, con sprint e punti ai primi tre ad ogni passaggio, e un punteggio doppio assegnato allo sprint finale. Una gara che, come si scopre andando ad analizzarla nel dettaglio, vide al via 28 atleti di tre paesi (Francia, Germania, Italia), e portò al netto trionfo di Brusoni sul tedesco Duill e il francese Trousellier, che poi si prenderà la sua rivincita vincendo Tour e Roubaix nel 1905: l’italiano vinse infatti il secondo, il terzo, il quinto e l’ottavo sprint, e raggiunse poi l’apoteosi dominando anche la volata finale stracciando così tutti gli avversari.

La classica gara stravinta per il corridore che in realtà risiedeva a Bergamo, e non saprà mai di aver vinto l’oro a cinque cerchi: la sua carriera infatti proseguirà senza il riconoscimento tanto sperato, proprio a causa di quella confusione che non farà percepire agli atleti la gara di Vincennes come facente parte delle Olimpiadi, e così Brusoni, a soli due anni dalla vittoria che poteva cambiare la sua vita, passerà professionista e si farà notare vincendo due edizioni della Gran Fondo La Seicento (di 540 e 600 km), mostrando ancora una volta le sue doti e quella velocità che gli permise di stracciare tutti a Parigi ed ai Giochi del 1900.

Il resto della vita di Brusoni si perde nella nebbia. Dopo il ritiro dalle corse avvenuto nel 1906 al termine di una carriera breve ma portatrice di una grande notorietà, come testimonia l’omaggio ricevuto dalla Gazzetta nel 1941, ma sappiamo che l’aretino morirà il 26 novembre del 1949 a Bergamo, all’età di 71 anni, senza aver ancora ottenuto il minimo riconoscimento della sua medaglia: un riconoscimento che arriverà solo 50 anni dopo quando il CONI, che non esisteva ancora ai tempi delle prime Olimpiadi (nascerà nel 1914), sfrutterà lo studio di Mallon per riconoscere lo status di olimpionico a Brusoni, inserendolo insieme a Trissino e Conte (oro rispettivamente nella scherma e nell’equitazione), tra i campioni italiani di quell’edizione dei Giochi.

Essere un campione olimpico senza saperlo o avere un minimo riconoscimento: è stato questo il triste destino di Enrico Brusoni, il ciclista che conquistò la fama all’inizio del Novecento (diventando anche il testimonial di una nota marca di biciclette), senza che nessuno, lui in primis, fosse però a conoscenza del suo trionfo a cinque cerchi…

Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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