Abbiamo realizzato un’intervista ad Andrea Casadei, nuovo campione italiano di paraciclismo, categoria C2, che ci ha raccontato i suoi progetti futuri.
Da zero al titolo italiano. Questo è l’inizio di un post su Facebook scritto da un ragazzo romagnolo prossimo ai 36 anni di nome Andrea Casadei, che racconta attraverso il social network la sua storia. Una vera e propria favola sportiva, considerando l’infortunio ed i risultati ottenuti a tempo di record. A causa di un incidente nel 2009, Andrea ha perso una gamba ed è tornato in sella quattro anni dopo. Ha iniziato a gareggiare nella categoria C2 del paraciclismo solamente dal gennaio 2017 con una formazione pavese, il Team Equa, ed ora può già vantare un successo prestigioso come il Campionato italiano. Azzurri di Gloria ha avuto il piacere di intervistare questo volto nuovo del ciclismo paralimpico.
Andrea, come ci si sente da campione d’Italia?
<<Le sensazioni sono fantastiche. Ho cominciato a realizzare quello che è successo solo un paio di giorni dopo. Avendo appena iniziato, non mi aspettavo di raggiungere subito un risultato così. Sono strafelice anche per la mia città. Ho conosciuto il sindaco e la giunta del mio paese. I loro complimenti sono stati un motivo di orgoglio per me e per la mia famiglia>>.
E pensare che hai iniziato da pochissimo tempo.
<<Il mio ingresso dal mondo paralimpico è iniziato grazie alla conoscenza del mio presidente, Ercole Spada, e del mio direttore tecnico Federico Sannelli ad ottobre 2016. Siamo partiti con gli allenamenti da gennaio. In 5 mesi sono riuscito a migliorare sempre di più, fino a raggiungere questo risultato che è impensabile, almeno per me. Sono veramente felice. Tra l’altro ho ripreso a pedalare nel 2013, dopo aver perso una gamba 4 anni prima in un incidente in moto. Nel 2013 un mio amico, Alessandro Fabbri, ha fatto di tutto per rimettermi su una bicicletta, cosa che non volevo assolutamente fare, vista la dinamica del mio infortunio. Mi sentivo bloccato. Alessandro ha iniziato a farmi salire nuovamente in sella ed ho ripreso a pedalare. Ho fatto quei 3 anni ad allenarmi un giorno sì e due no. Praticamente uscivo quando avevo voglia, lo avevo preso come hobby e modo per tenermi in forma. Poi mi sono legato al Veloclub Cattolica. Lì ho avuto modo di fare qualche pedalata in più. L’ingresso nel mondo paralimpico è iniziato solamente a partire da ottobre, quando sono entrato in questa squadra, il Team Equa, grazie a Giovanni Achenza, medagliato di Rio 2016 nel triathlon. Da lì è partito tutto, nell’arco di poco tempo siamo riusciti a toglierci grandi soddisfazioni>>.
Quanto ha influito Rio 2016 sul tuo avvicinamento al ciclismo paralimpico?
<<Mi sono appassionato seguendo questo amico, Giovanni Achenza, alle Paralimpiadi di Rio 2016. Ho visto queste imprese straordinarie, realizzate da atleti incredibili. Mi è scattato qualcosa dentro ed ho deciso di mettermi alla prova. Anch’io voglio cercare di togliermi grandi soddisfazioni. Comunque ha avuto inizio tutto da lì, vedendo le imprese a Rio di questi ragazzi, che hanno dato spettacolo, conquistando medaglie e dimostrando cosa può fare una persona di fronte a certe disabilità. Quello mi ha dato un input in più per lanciarmi>>.
C’è qualche collega con cui ti sei trovato particolarmente bene?
<<Indubbiamente devo molto a Giovanni Achenza. Mi ha dato la possibilità di conoscere il Presidente della sua formazione e di entrare in questo movimento. Ma in generale, sin da subito, ho trovato una squadra fantastica ed ho legato praticamente con tutti. Ho trovato persone disponibili, pronte a dare consigli e supporto. Non voglio sembrare eccessivo, ma la considero come una seconda famiglia, un gruppo di persone straordinarie, a partire dal Presidente Spada, dal mio preparatore e da tutti i compagni. Non potevo trovarmi meglio>>.
Vittorio Podestà ha denunciato a più riprese lo scarso interesse per il movimento paralimpico e per la disabilità. Qual è il tuo pensiero a riguardo?
<<Su questo aspetto, mi trovo d’accordo. Sono entrato da poco nel movimento, ma sto notando sin da subito che veniamo considerati poco. C’è poca visibilità da parte di televisioni e giornali. Si parla veramente troppo poco e non solo per quanto riguarda le imprese degli atleti. Lo sport paralimpico deve essere uno spunto per ragazzi con problematiche simili. Deve aiutare ad integrarsi, dare autostima. Mi trovo d’accordo con Podestà al 100%. E ti parla un atleta che è entrato da poco. Eppure l’ho notato subito: c’è troppa poca visibilità per gli sport paralimpici in generale>>.
Quale potrebbe essere la soluzione a questo problema?
<<Forse le città in generale dovrebbero riuscire a creare più centri sportivi di inserimento per ragazzi. Quello potrebbe essere un punto di partenza per avvicinare le persone, oltre ovviamente ai media che darebbero una sferzata ulteriore: se si desse più importanza ad iniziative simili, la visibilità sarebbe ben diversa. Ho conosciuto un ragazzo, Gianni Sasso, che gioca nella Nazionale di calcio degli amputati; alcuni amici non erano nemmeno a conoscenza dell’esistenza di questa formazione. Veramente se ne parla troppo poco>>.
Tu comunque non ti limiti solamente alla bici. Ho visto che ti sei cimentato anche nel basket in carrozzina.
<<A Cattolica c’era una settimana dedicata allo sport paralimpico. Fortunatamente la mia città è molto attenta ad iniziative simili. Sono anni che si organizzano gare o partite, grazie a varie associazioni. Ogni sera c’era un evento differente. In piazza c’è stata un’esibizione di questi ragazzi e mi sono cimentato anch’io. Mi sono divertito tantissimo>>.
Torniamo al momento dell’incidente: com’è stato il percorso di riabilitazione post infortunio?
<<Ho perso la gamba nel 2009. Per fortuna o per volontà, non mi sono buttato giù moralmente. Basti pensare che l’anno successivo ero tornato in montagna. Prima praticavo snowboard a livello amatoriale. Ho fatto ritorno in montagna con la mia protesi, sperando di praticare ancora snowboard, ovviamente senza successo perché non avevo strumenti idonei. Da lì ho iniziato una serie di adattamenti. Quando subisci un’amputazione, c’è un percorso che può durare dai 2 ai 3 anni. Il moncone deve abituarsi alla protesi. Ho passato un triennio abbastanza difficile. Poi la situazione si è stabilizzata. Ho iniziato a condurre una vita normale. È stata dura, ma era anche la prassi>>.
Hai mai avuto un idolo, non necessariamente paraciclistico, a cui ispirarti?
<<Guarda, sono sempre stato appassionato di calcio e sono un tifoso juventino. Quindi ho sempre avuto una predilezione per Alessandro Del Piero. Poi, adattandomi al ciclismo, il mio idolo è diventato Fabrizio Macchi, il più forte C2 italiano di sempre. Anche lui ha contribuito a dare visibilità al movimento. Mi sto tuttora ispirando a lui>>.
Alcuni amici sui social ti hanno già fissato come prossima meta Tokyo 2020: ci pensi veramente o hai altri progetti?
<<Ho iniziato a pedalare con il sogno di arrivare a Tokyo 2020. Quello è il mio obiettivo. Per il momento, rimane un sogno. Farò di tutto per raggiungere questo risultato, per partecipare alle Paralimpiadi. Ho iniziato a pedalare guardando gli azzurri a Rio 2016. Vedendo loro, ho iniziato a pensare di voler essere con loro un giorno. Fra quattro anni voglio esserci. Quello è il mio sogno. Ci credo veramente>>.