Che fine hanno fatto i ricevitori italiani nella pallavolo maschile? Un dato preoccupante lancia l’allarme all’interno del movimento.
1998: L’ANNO DELLA RIVOLUZIONE PALLAVOLISTICA
Il 1998 è stato l’anno che ha rivoluzionato per sempre il volley.
Prima di allora c’era il cambio-palla, con i set che arrivavano a 15. Il libero non c’era e i centrali erano quindi chiamati a importanti compiti di ricezione e difesa che oggi possono quasi del tutto ignorare potendo ormai contare su veri e propri angeli custodi che svolgono il lavoro sporco al posto loro.
L’Italia della generazione di fenomeni vinse due mondiali e un argento olimpico con le regole vecchie e un mondiale, proprio nel ’98, in seguito all’introduzione del libero.
Assorbite completamente queste direttive, nel ventennio successivo gli azzurri conquisteranno ancora tre Europei e 3 medaglie olimpiche.
Nel frattempo il nostro campionato è diventato il più bello e competitivo del mondo, con la serie A1 2018/2019 che può contare su 4 squadre (Perugia, Modena, Trento e Civitanova), infarcite di campioni provenienti da ogni parte del pianeta. La Supercoppa Italiana 2018 le ha messe subito una contro l’altra, dando vita a quello che i fan della palla a spicchi d’oltreoceano non avrebbero esitato a definire un autentico All-Star weekend.
Un livello altissimo accompagnato da tutele importanti per i giocatori italiani. Tutte le contendenti devono infatti avere in campo non meno di 3 rappresentanti del Belpaese in ogni partita.
Un insieme di numeri che lascerebbero presagire a un vero e proprio idillio permanente per il nostro volley maschile. I recenti risultati, non ultimo quello del mondiale casalingo da poco terminato, dicono però tutt’altro. Cerchiamo di capirne il motivo.
AIUTO, NON RICEVE PIU’ NESSUNO!
Stando ai dati ufficiali forniti dalla Superlega, riportati anche dalla pagina Facebook di Problemi di Volley, nella stagione 2017/2018 solamente cinque schiacciatori italiani under 30 hanno ricevuto almeno 50 palloni nel corso di tutto il campionato.
Un dato allarmante al quale non si può e non si deve reagire, come da tipico costume italico, dando la colpa all’invasione degli stranieri nel nostro sport.
Poche righe sopra abbiamo spiegato come un regolamento che tuteli i nostri connazionali esista eccome. La vera domanda che dobbiamo porci è un’altra: si insegna ancora a difendere e ricevere alle nostre bande?
In passato avevamo avuto occasione di parlare con Samuele Papi, uno degli schiacciatori più completi di sempre nella doppia fase difesa/attacco, e Hristo Zlatanov i quali avevano sottolineato ai nostri microfoni di come ormai la tecnica stesse tristemente passando in secondo piano in una pallavolo italiana contemporanea in cui si dà molto più peso alla prestanza fisica e alla potenza che ai fondamentali di base.
L’ultimo Mondiale maschile e quello femminile ci hanno però immediatamente riportato sulla Terra. Tra gli uomini, la Polonia lo ha vinto anche grazie allo straordinario apporto di Michał Kubiak, “piccoletto” di 1 metro e 91 che ha difeso anche le mosche. Una banda fenomenale in ricezione e difesa che ha garantito l’equilibrio a una nazionale che in attacco si è prevalentemente appoggiata ai colpi del bombardiere Bartosz Kurek e che dal 2019 potrà contare anche sul neo-naturalizzato Wilfredo Leon.
Sul fronte femminile, per settimane abbiamo giustamente elogiato le capacità e i numeri di Paola Egonu, Miriam Sylla e delle nostre centrali. Meno si è invece parlato di Lucia Bosetti, 1.76 di altezza, che da schiacciatrice vecchio stampo ha fornito un apporto di importanza incalcolabile alla causa, dimostrandosi vero top player in fase difensiva.
Tutti gli sport, e non solo il volley, sono radicalmente cambiati nel corso dei decenni. Questo soprattutto a causa dell’evoluzione del corpo umano che con il passare del tempo ci rende più alti, più grossi, più agili e più veloci. Se è giusto e inevitabile che la genetica faccia il suo naturale percorso, è altrettanto fondamentale che non si perdano di vista le basi del gioco.
È impossibile primeggiare in uno sport se non se ne assimila al meglio la tecnica, offensiva o difensiva che sia.
A questo aggiungiamo anche che in campo maschile si gioca sempre di meno. Se in certi territori fino a inizio millennio era semplice organizzare un campionato under 15 o under 18 con almeno una decina di squadre iscritte, oggi si devono accorpare province o regioni per evitare che questi campionati si trasformino in semplici quadrangolari.
Una crisi numerica che a livello più alto è sfociata poi nell’accorpamento delle serie B1 e B2 maschili in una B unica. Situazione che, in campo femminile, non si è invece verificata perché i dati sono fortunatamente migliori.
Quale dunque la ricetta per riportare la pallavolo maschile ai fasti di un tempo, a fronte di un ricambio generazionale al momento decisamente problematico che sta colpendo la nostra nazionale maggiore?
Tanto lavoro sui territori, a cominciare dalle scuole che continuano a essere miopi sull’importanza della pratica sportiva nelle ore di educazione fisica, ma soprattutto tanto lavoro su tecnica e fondamentali in palestra a partire dalla tenera età.
Proprio come Roma, né Samuele Papi né Michał Kubiak sono stati “costruiti” in un giorno.
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