Alla scoperta di Diana Bacosi, campionessa olimpica e mondiale in carica nello skeet femminile. Tra passato, presente e futuro.
Come sta vivendo l’avvicinamento a Tokyo?
Si tratta di un avvicinamento particolare, è tutto un po’ a rilento. Siamo sempre stati abituati a fare programmi a lungo termine, questa volta, invece, ci troviamo a programmare settimana per settimana. Siamo in aggiornamento continuo con gli organi competenti. La nostra routine è stata stravolta ma ci stiamo adattando, anche perché dobbiamo tenerci in allenamento.
Da atleta, cosa ha pensato quando ha sentito che l’Italia rischiava di partecipare alle Olimpiadi senza inno e senza bandiera?
E’ stato un tuffo al cuore. Rischiare di andare senza bandiera e inno è stato brutto. L’inno fa parte di noi, di noi come atleti che competiamo in un’Olimpiade ma che partecipiamo alle gare anche per cantarlo. Abbiamo comunque sempre avuto la speranza di riuscire a partecipare con bandiera e inno e, alla fine, proprio all’ultimo, fortunatamente la situazione si è risolta positivamente.
Quanto è importante per lei il supporto dell’Esercito?
Il supporto dell’Esercito è fondamentale. Da quando sono entrata nel 2005 nei ranghi per me l’Esercito è stato ed è una seconda famiglia. Lo staff lavora sempre per noi e per questo va ringraziato. Devo dire poi che dal Comandante al Colonello abbiamo un rapporto sincero. A Rio entrambi sono stati con me, erano presenti alla gara e hanno sofferto e gioito con me. Questo è stato molto importante per me, soprattutto perché a Rio non era presente la mia famiglia, rimasta a casa.
Mi racconta la sua esperienza a Rio?
Rio era la mia prima Olimpiade, per certi aspetti non sapevo come affrontarla ma avevo con me il mio allenatore Andrea Benelli, che ha fatto tante Olimpiadi e tante ne ha vinte. L’oro è stata una sorpresa anche per me, devo comunque dire che ci ho lavorato tanto e ci ho creduto tanto. Ci hanno creduto molto anche l’Esercito e il Presidente della Federazione Italiana Tiro a Volo, Luciano Rossi. Io il giorno prima della gara mi sono guardata allo specchio e ho detto a me stessa che avevo fatto tutto il possibile per essere lì, e questo mi ha dato molta forza.
Quale gara, nell’arco della sua carriera sportiva, l’ha vista trionfare nonostante le condizioni atmosferiche difficili?
Sicuramente la gara che ho vinto a Minsk agli European Games del 2019. C’era un gran freddo e una pioggia torrenziale. Non bastavano gli ombrelli per ripararci. C’erano 5°/6° gradi. In quell’occasione la mia formazione militare mi ha aiutato. Con la pioggia cambia la traiettoria del piattello, per esempio. Mi sono ricordata di una frase che il mio Capitano mi disse in un’occasione precedente in cui pioveva molto, ad Ascoli. Si rivolse a me dicendo: “un militare non è solubile all’acqua”. A Minsk, anche grazie a questo ricordo, non mi sono lasciata condizionare. In generale, comunque, le condizioni atmosferiche sono importantissime. Mi ricordo di altre gare in cui c’era il sole, con un caldo incredibile.
Qual è l’aspetto mentale più importante nelle gare di skeet?
L’aspetto in generale più importante è la capacità di crearsi la nostra bolla, la nostra teca di vetro in cui ci sono solo io e il piattello. Non è semplice. La vita quotidiana ti porta a pensare ad altre cose. Anche adesso, ritrovarsi in gara dopo un anno e mezzo non sarà facile. Dobbiamo adattarci. Per me alle Olimpiadi di Tokyo vincerà il più forte ma anche chi sarà in grado di adattarsi alle condizioni che troveremo in Giappone. Ad oggi sappiamo che arriveremo pochi giorni prima della gara, probabilmente 4/5 giorni prima, i campi non si potranno visionare antecedentemente e, poi, non ci sarà nessuna preolimpica. Nelle precedenti Olimpiadi arrivavamo 15 giorni prima delle gare e avevamo tempo di abituarci al fuso orario.
L’Italia è seconda nel medagliere olimpico per quanto riguarda il tiro a volo, dietro solamente agli Stati Uniti, eppure, secondo lei, nel nostro Paese questo sport è ancora visto come uno sport di nicchia, oppure no?
Sì, purtroppo il tiro a volo è considerato uno sport di nicchia. Ci sono anche da sostenere costi elevati per piattelli, cartucce e fucili. Quest’ultimi poi devono essere personalizzati, quindi direi che è uno sport di nicchia soprattutto per i costi che ha. L’Italia, comunque, vanta una grande tradizione storica nel tiro a volo. Solitamente chi lo pratica ha già qualcuno in famiglia che si era avvicinato precedentemente al mondo del tiro. Noi maneggiamo un’arma e chi non ha mai frequentato un campo da tiro può interpretare come pericoloso il nostro sport. Negli ultimi anni, però, la FITAV, con il “Progetto neofita” e con il “Progetto Scuola”, ha avvicinato molti giovani alla nostra disciplina. Le adesioni sono state numerose e molti ragazzi che si sono appassionati al tiro a volo hanno poi deciso di praticarlo a livello agonistico. Grande merito di tutto questo va al nostro presidente federale Luciano Rossi.
Quali sono le avversarie più forti e temibili per Tokyo?
L’atleta più forte è la statunitense Kimberly Rhode. Lei per me è uno stimolo costante. Gareggiare con lei è un onore, si esprime ad altissimi livelli da venticinque anni. Non la temo però mi piacerebbe tanto incontrarla. E’ un’atleta eccezionale. Spero di vedermela con lei in finale a Tokyo!
Cosa pensa o cosa non deve pensare un tiratore agli ultimi piattelli di una finale olimpica?
Io non ricordo molto di quegli attimi, nella mia mente ho solo degli spezzoni, dei fotogrammi. In ogni caso bisogna pensare al gesto tecnico e non al punteggio. Ovviamente l’emozione c’è. Anche dopo uno sbaglio si deve pensare al gesto tecnico. Se si entra in panico subentrano pensieri che poi pregiudicano il risultato finale.
Quanto incide avere negli allenamenti e nelle gare una compagna di squadra forte come Chiara Cainero?
Questa cosa mi ha aiutato molto perché Chiara mi ha insegnato tante cose. Io la osservo sempre, prendo spunto da lei. Ho un’ammirazione sportiva per lei. Ogni volta che ci incontriamo ai raduni ci confrontiamo, abbiamo uno splendido rapporto. Noi del tiro a volo, con il nostro commissario tecnico, siamo stati capaci di creare un bel gruppo. Ci confrontiamo su tutto, non solo su ciò che concerne il tiro a volo, ma anche sulle cose della vita quotidiana. A Tokyo avremo un equilibrio perfetto, io e Chiara siamo due mamme, mentre i ragazzi (Gabriele Rossetti e Tammaro Cassandro, ndr) sono più giovani.