Ludovico Fossali, classe 1997, racconta ai nostri microfoni l’emozione di portare l’arrampicata sportiva sul palcoscenico olimpico per la prima volta nella storia dei Giochi.
(Foto di copertina: profilo Facebook ufficiale Ludovico Fossali)
Come ti sei avvicinato al mondo dell’arrampicata?
Quando ero piccolo, prima di compiere cinque anni, mi arrampicavo in casa su qualsiasi cosa. In Trentino i miei genitori fecero costruire un cancello senza ringhiere in modo che non riuscissi a scavalcarlo, ovviamente non servì. Dopo i cinque anni, quando mi trasferii con la mia famiglia in Emilia, cominciai a praticare in palestra.
In generale, cosa provi quando arrampichi? Lo fai per provare soddisfazione nella progressiva ascesa o per goderti l’arrivo in cima?
Io sono un amante della velocità, in tutte le sue forme, anche quelle che non riguardano l’arrampicata. La cosa che mi rende veramente felice e che mi piace di più è la possibilità di fare con il mio corpo movimenti perfetti, alla massima potenza muscolare possibile.
Quando e come hai capito che la specialità dello speed sarebbe diventata la tua preferita?
In arrampicata ho praticato fin da subito tutte e tre le specialità. Fino al 2016 non c’è stata una vera preferenza da parte mia, non conoscevo ancora l’esistenza dei Gruppi Sportivi. Quell’anno però vinsi il Mondiale giovanile e nel 2017 ho iniziato a gareggiare tra i Senior. Mi sono detto: “Proviamoci!”.
Cosa si prova nel boulder ad arrampicarsi liberamente, senza corde?
Per me che arrampico da tanto è una cosa normale, comune. La cosa più bella del boulder è la possibilità di allenarsi a stretto contatto con la natura, in un luogo tranquillo, dove non c’è competizione e poter mettere alla prova il proprio corpo. In fin dei conti, comunque, il boulder viene fatto nelle massime condizioni di sicurezza possibili durante ogni competizione.
Quanto è importante il supporto del Centro Sportivo Esercito?
Per me il mio Gruppo Sportivo è come una seconda famiglia e li ringrazio sempre per il loro imprescindibile supporto. Al giorno d’oggi servono risorse per praticare uno sport del genere, per i viaggi, gli allenamenti e l’Esercito me lo permette, senza dover fare un secondo lavoro. Mi alleno cinque ore al giorno, divise in due sessioni diverse. Certe volte arrivo anche oltre le cinque ore complessive.
Che cosa hai pensato quando l’arrampicata sportiva è stata inserita nel programma olimpico?
Quando uscì la notizia ero già membro del Gruppo Sportivo dell’Esercito. Vedevo che era uno degli sport più belli e spettacolari che però non era ancora olimpico. Oggettivamente è stato un passo in avanti, l’intero movimento è cresciuto, a partire dalla Federazione Internazionale per arrivare alle varie Federazioni nazionali. Il livello di professionalità è cresciuto esponenzialmente da quando l’arrampicata sportiva è diventata olimpica.
Cosa ti porti di positivo con te da Tokyo 2020 e cosa invece vorresti migliorare?
E’ stata una grande esperienza e, partendo dalle cose positive, sono cresciuto come atleta perché lì ho visto il livello di competizione a cui non ero ancora pronto. Da lì è scattata una molla, il mio atteggiamento è cambiato, partendo dalla preparazione. La gara in sé non è stata soddisfacente, per questo, se si potesse tornare indietro vorrei vedere come gareggerei in quella gara con l’esperienza che ho oggi, a distanza di due anni.
Cosa hanno detto gli altri olimpionici azzurri a te e ai tuoi colleghi dell’arrampicata quando avete esordito a Tokyo?
Sicuramente il nostro ingresso è stata una grande novità per tanti. Il villaggio olimpico a Tokyo era chiuso, e ciò mi ha impedito di andare a vedere le gare degli altri sport appena entrati nel programma dei Giochi Olimpici. Gli altri azzurri erano molto curiosi di conoscere questa disciplina e come vivevamo noi praticanti questa sensazione.
Nello speed come si gestisce l’adrenalina di battere sul tempo l’avversario?
E’ la cosa più complicata in assoluto, io personalmente non ho una ricetta magica. Ritengo però che in competizioni del genere la testa valga per il 70% della testa e il 30% del corpo. Il fisico, infatti, a questi livelli ce l’hanno tutti. Andando avanti con le gare, acquisendo esperienza e parlando con gli altri miei colleghi ho maturato la convinzione che la testa conti anche per il 90%, e il fisico per il 10%. Io prima di una gara mi parlo, ascolto la musica, poi ognuno ha la sua routine.
In che cosa ti senti di aver fatto la differenza per vincere il Mondiale 2019 in Giappone?
Ho fatto la differenza con la testa. Europei e Mondiali sono competizioni molto strane poiché il livello è quello che vedi in Coppa del Mondo, ma le gare sono secche e tutto può succedere. Al Mondiale del 2019 non mi ero qualificato bene, non ero tra i favoriti e lo sapevo. Però mi sono concentrato esclusivamente sulla prestazione, sui gesti atletici. Alla finale per il primo-secondo posto siamo arrivati io e Jan Kriz, ed entrambi eravamo piacevolmente sorpresi di essere arrivati fin lì a giocarci il titolo. Prima di entrare eravamo tranquilli, ben sapendo ovviamente qual era la posta in palio. Io di solito nel pregara rimango nel mio angolo, in disparte, ma quella volta invece ho parlato tanto con Jan e ci siamo abbracciati prima di entrare.
A Salt Lake City, poche settimane fa, hai stabilito il nuovo record europeo nello speed, quanto lavoro c’è dietro?
Devo fare una doverosa premessa: io non valuto molto il tempo di gara in sé. Il tempo è un numero: se è verde hai vinto, se è rosso hai perso. E quel giorno il mio tempo era rosso, quindi il mio record non è servito a nulla. Il lavoro che c’è dietro, comunque, è tanto e colgo l’occasione per ringraziare apertamente il mio preparatore atletico, Stanislao Zama, con il suo team SZ Performance; la mia mental coach Valentina Marchesi e il mio fisioterapista, Paolo Ferrari.
Quali sono i tuoi prossimi impegni sportivi?
Il primo obiettivo è il Mondiale a Berna, ai primi di agosto, perché lì l’oro e l’argento varranno due carte per la qualifica alle Olimpiadi di Parigi 2024. Il livello è cresciuto tantissimo, gli indonesiani e i cinesi dominano. Poi ci sono due tappe di Coppa del Mondo, molto ravvicinate, a Villars in Svizzera e in Francia, a Chamonix. Sono due gare che si svolgono in piazza e in entrambe c’è sempre un bell’ambiente. Verso fine anno, invece, se non si vince il Mondiale, ci saranno altre gare che valgono la qualifica olimpica, ma per il momento non ci sto pensando. Rimango concentrato sugli obiettivi temporalmente più vicini.
Condividi il nuovo regolamento per Parigi 2024 con una medaglia assegnata solo nello speed e l’altra consegnata dopo le due prove messe insieme di boulder e lead?
Sono favorevole a questo nuovo regolamento, anche perché a Parigi una medaglia sarà assegnata solo per lo speed che è la mia specialità, quindi posso concentrarmi maggiormente su quella. Tanti in occasione di Tokyo hanno criticato la medaglia unica, frutto delle tre discipline conteggiate insieme ma io ero d’accordo già all’epoca. Ritengo che quella scelta fosse la migliore perché quello era il passo fondamentale del nostro sport per poter accedere all’Olimpiade. In futuro, magari dopo Parigi, sarebbe bello veder assegnate tre medaglie, una per ogni specialità.