Daniele Garozzo, oro nel fioretto maschile individuale a Rio 2016 ed attualmente vicecampione olimpico in carica nella medesima disciplina, si racconta a tutto tondo ai nostri microfoni, spaziando dallo sport allo studio.
(foto di copertina: profilo Facebook ufficiale Daniele Garozzo)
In che modo ti sei avvicinato alla scherma e perché hai scelto come arma il fioretto?
Mi sono avvicinato alla scherma un po’ per caso, mio fratello ha iniziato prima di me a fare scherma. Sicuramente hanno contribuito i tanti Carnevali trascorsi ad Acireale, durante i quali ci vestivamo da Zorro e da d’Artagnan. Successivamente sono andato in palestra a fare karate, ma dove andavo io si faceva solo il kata, e non il kumite, la disciplina che più mi piaceva. Direi, un po’ scherzando e rimarcando una battuta tipica del nostro ambiente, che ho scelto il fioretto come la maggior parte dei giovani che si avvicina a questo sport, ma poi ho continuato con esso perché solo chi è bravo non cambia arma, gli altri optano per la spada o la sciabola.
Ti confronti spesso, sportivamente parlando, con tuo fratello Enrico che è uno spadista?
Con mio fratello parlo tanto e molto spesso, di tante cose: preparazione fisica, atteggiamento mentale, preparazione della gara. Lui mi ha aiutato tanto negli anni, e per me è e rimane un grande fratello maggiore.
Qual è l’avversario più forte che hai affrontato finora?
Ho affrontato tanti atleti forti. Però i primi a venirmi in mente sono gli altri azzurri, che poi ho il piacere di dire che sono anche compagni di squadra: Andrea Cassarà, Andrea Baldini ed Alessio Foconi.
Come si fa a conciliare la disciplina sportiva con la disciplina nello studio, alla luce della tua laurea in Medicina e Chirurgia?
E’ stato senza dubbio complicato conciliare le due cose, però ci tengo a sottolineare che con organizzazione, serietà e dedizione si possono raggiungere grandi obiettivi. Il percorso che mi ha portato alla laurea è stato lungo, infatti è durato 10 anni. L’Università di Tor Vergata mi ha aiutato molto nella conciliazione con i miei impegni sportivi. In generale, però, l’Università italiana non sempre è organizzata e avvezza a supportare l’atleta, quantomeno con la stessa attenzione che si può riscontrare negli atenei anglosassoni. D’altronde è capitato anche a scuola di avere magari un professore tra i tanti che non valorizzava lo sport in generale, sottostimando chi lo praticava.
Ad un anno di distanza dal tuo congedo dal Gruppo Sportivo Fiamme Gialle come valuti quella scelta?
E’ stata una decisione giusta perché non ritenevo opportuno aspettare un altro anno per fare il medico. A fine anno sono arrivato stanco anche per la contemporaneità delle due cose: sport e studio. In sintesi, comunque, non volevo rimandare di un anno la mia carriera da medico. L’incompatibilità contrattuale poi non ha fatto altro che obbligarmi a fare la scelta.
Quando a Rio hai capito che avresti potuto sbaragliare tutto e tutti?
Di per sé credevo molto in quell’Olimpiade, la fame e la voglia di emergere per dimostrare appieno il mio valore erano all’apice. Il percorso olimpico a Rio, poi, è stato fantastico, un crescendo continuo. In ogni caso non c’è stato un momento topico in cui ho capito questa cosa. All’ultima stoccata della finale ho realizzato di aver fatto l’impresa.
Come vivi i momenti prima delle gare?
Io, anche se può non sembrare, sono molto emotivo. Mi capita di essere molto teso, alcune volte agitato, altre volte per nulla, al punto da sentirmi coraggioso. Ho alti e bassi come tanti. Vivo il pre-gara in maniera diversa, a seconda di come mi sento. Alcune volte ascolto musica, altre volte sto in silenzio, dipende dal periodo.
Quali sono le principali caratteristiche tecniche che un fiorettista deve assolutamente possedere per eccellere?
Sicuramente la capacità tecnica vera e propria, ovvero una buona mano. Poi conta molto la forza fisica, assieme all’altezza. Io sono alto un metro e ottanta e sono il più basso tra i primi sedici atleti del ranking mondiale. Infine, a quanto detto finora, occorre coniugare l’intelligenza tattica.
Al termine della finale olimpica di Tokyo eri molto deluso, come hai superato quel momento?
L’ho superato in maniera naturale. Il tempo passa e lenisce le ferite, poi però resta senza dubbio l’orgoglio della prestazione portata in pedana. Col tempo si riescono a vedere le cose in prospettiva, in controluce. Per esempio si realizza il fatto che nessun atleta azzurro nel dopoguerra era mai riuscito a centrare due finali olimpiche consecutive nel fioretto individuale (l’ultimo fu Nedo Nadi tra Stoccolma 1912 e Anversa 1920, ndr). Rimane un pizzico di rammarico, oserei dire fisiologico.
Qual è la sconfitta che ti ha insegnato di più e quale la vittoria più difficile da conquistare?
Sembrerà paradossale ma il piazzamento meno scontato di tutti e quello a cui dò più valore è l’argento olimpico di Tokyo poiché riconfermarsi ai massimi livelli è molto ma molto più difficile che vincere. Dall’altra parte, tutte le sconfitte mi hanno insegnato qualcosa, non ce n’è una che non abbia influito nel mio percorso di miglioramento, facendomi crescere come atleta e come uomo.
Qual è, secondo la tua visione, lo stato di salute della scherma azzurra?
Lo stato di salute della nostra scherma è ottimo e ne abbiamo avuto la dimostrazione migliore ai Mondiali di scherma di Milano, con l’Italia prima nel medagliere e a podio con tanti atleti diversi, nelle tre armi.
Cosa ti aspetti dall’Olimpiade di Parigi?
L’Olimpiade di Parigi è ancora lontana e devo ancora qualificarmi. Comunque dopo la qualifica voglio pensare alla gara vera e propria, a dare tutto quello che ho e a divertirmi veramente tanto.
Come giudichi il tuo 2023 sportivo?
Sufficiente: mi do un 6 come voto. Sicuramente non è stata la miglior stagione della mia carriera. Mi sono infortunato in maniera abbastanza seria al polso, poi ho iniziato anche a fare il medico e questo ha influito. Tuttavia, sono riuscito nonostante tutto a confermarmi nella top ten del ranking mondiale maschile della disciplina, al 10° posto. Sono sinceramente convinto di poter fare ancora bene.