“E gli States scoprono Zanardi esordiente dell’anno in F. Indy”
“Pauroso schianto Zanardi lotta contro la morte”
“Alex Zanardi è medaglia d’oro a Rio: lacrime sulle note dell’inno di Mameli”
Questi tre titoli de La Stampa permettono di ripercorrere, riassumendola in pochissime righe, la vita di Alex Zanardi: dalle corse in Formula 1 e con le Indy Car degli anni Novanta fino alle medaglie paralimpiche conquistate a Londra 2012 e Rio 2016; in mezzo, naturalmente, il tragico incidente che gli strappò le gambe in quel funesto settembre del 2001. Una vita, la sua, piena di colpi di scena, di sconfitte e grandi successi. Zanardi è stato capace di rialzarsi più volte: sia negli anni da pilota, durante i quali passò dalle sfortunate stagioni in Formula 1 alle gioie nel campionato CART, che nella vita successiva all’incidente. Incidente dal quale è riuscito a trarre la forza, non solo per tornare in pista con le vetture Superturismo, ma anche per ottenere successi importantissimi con le handbike, diventando un idolo non solo degli atleti disabili, ma di tutti gli appassionati sportivi italiani. La sua notorietà e l’affetto con il quale viene seguito, infatti, hanno permesso alle discipline paralimpiche di ottenere una notorietà prima impensabile.
E gli States scoprono Zanardi esordiente dell’anno in F. Indy. È il 1996 quando lo storico quotidiano torinese decide di dedicare questo titolo al pilota emiliano che, all’età di trent’anni, viene eletto appunto Rookie of the Year.
Zanardi, infatti, dopo alcune esperienze in Formula 3000 e F1 decide di tentare fortuna nel campionato CART. Il pilota emiliano aveva conquistato fino ad allora un solo punto in Formula 1 e, dopo il fallimento della Lotus, era rimasto senza volante alla fine del 1994. Zanardi, non dandosi per vinto, si era deciso di provare a risollevare la sua carriera emigrando negli Stati Uniti.
Oltreoceano la fortuna lo bacia fin dalla felice stagione di debutto, annata nella quale è capace di diventare l’idolo degli appassionati statunitensi. “Domenica – scriveva Cristiano Chiavegato il 13 agosto 1996 – il bolognese al volante di una Reynard-Honda ha vinto, anzi dominato, la Ohio-200. È il secondo successo stagionale del pilota che corre per il team Ganassi. Si era imposto a Portland alla fine di giugno. E ora è diventato uno dei grandi protagonisti negli States, sempre fra i migliori”. Le gioie per Zanardi negli Usa, però, non si fermano qui e il pilota emiliano non si limita solamente a vincere qualche gara e a regalare spettacolo con la sua Reynard-Honda: nei due anni successivi, infatti, riesce a conquistare il campionato. Dopo un breve, e infelice, ritorno nel circus della Formula 1 al volante della Williams, Zanardi decide di ripartire, ancora una volta, dalle Indy Car.
Pauroso schianto Zanardi lotta contro la morte. “Il bolognese […] è giunto alla clinica Marzahnal in stato di coma, poi ha ripreso parzialmente conoscenza. I medici l’hanno sottoposto a un delicatissimo intervento chirurgico durato più di cinque ore ma – se anche Alex ce la farà – gli effetti del terrificante schianto resteranno comunque spaventosi. A Zanardi sono state amputate entrambe le gambe, una sotto al ginocchio, l’altra appena sopra. Il pilota presenta inoltre numerose fratture, tra cui quella del bacino”. Sono queste le parole con le quali, il 16 settembre 2001, La Stampa racconta le condizioni di Zanardi all’indomani del terribile incidente avvenuto in Germania sul circuito di Lausitz. Le condizioni del pilota, lo si capisce fin da subito, sono disperate: la sua auto, andata in testacoda dopo una sosta ai box, è stata centrata dalla vettura guidata, a oltre 300 all’ora, da Alex Tagliani spezzandosi a metà e strappando le gambe del pilota bolognese. In quei tragici e lunghissimi momenti nessuno sa cosa pensare: le sue condizioni sono gravissime e l’emiliano si trova a un passo dalla morte. Dopo gli interventi dei medici, però, Zanardi inizia, molto lentamente a recuperare. Un recupero già di per sé eccezionale, ma che assumerà proporzioni inimmaginabili pochi anni più tardi.
Alex Zanardi è medaglia d’oro a Rio: lacrime sulle note dell’inno di Mameli. Gareggiare e addirittura trionfare in due sport completamente diversi non è affatto semplice. Sono necessari talento e tanta forza di volontà. Eppure Alex, lasciato il volante e vestiti i panni dell’atleta paralimpico, ha continuato a vincere, anche più di quanto non avesse fatto prima. Tra il 2011 e il 2015 non si contano, infatti, le medaglie, quasi tutte d’oro, conquistate da Zanardi nei campionati mondiali di handbike. E sono diversi anche gli allori paralimpici che trovano posto nel palmarès del campione emiliano: quattro ori e due argenti in due edizioni dei Giochi. A Londra sono arrivati due ori nella Cronometro H4 e nell’In linea H4, mentre la staffetta mista H1-4 ha portato a casa un secondo posto. A Rio, infine, Zanardi ha conquistato nella Cronometro H5 e nella staffetta mista H1-5; l’argento nell’In linea H5 chiude questo lunga, ma doverosa, parentesi dedicata agli allori paralimpici del cinquantenne bolognese. Vittorie queste che hanno regalato tantissime emozioni ai tifosi italiani, consacrando ancora di più il mito vivente di Zanardi. Un uomo semplice che, nonostante le mille difficoltà, è riuscito a coronare i suoi sogni, come si legge in una vecchia intervista: “Mia sorella Cristina, di tre anni più anziana era una grande promessa del nuoto. Forte, brava, carina e piena di talento. Morì a 50 metri da casa, in un incidente stradale. La famiglia ne fu sconvolta, i miei erano terrorizzati alla sola idea che io chiedessi un ciclomotore, il sogno di tutti i ragazzi. Un giorno io e mio padre passammo davanti a un garage. C’era un go-kart. Decidemmo che io avrei rinunciato al motorino, lui mi avrebbe comperato il kart. Mi venne la passione. Ero piccolo, brutto e grasso: cominciai ad allenarmi. Ho continuato gli studi, sono geometra. Ma ormai ero segnato: volevo fare il pilota”. Probabilmente non immaginava, quando rilasciò quest’intervista nel lontano 1996, che la vita lo avrebbe messo davanti ad altre, incredibili, difficoltà e che poi, con la sua forza di volontà, sarebbe stato in grado di superarle così bene. Forse in quel pianto sul podio a Rio c’era la consapevolezza di essere riuscito a compiere gesta straordinarie che rimarranno per sempre, indelebili, nella memoria di tutti.