Azzurri di Gloria ha avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Luca Righetti, il paraciclista campione italiano di Mountain Bike. Andiamo a scoprire la sua storia in questa intervista esclusiva.
UN ATLETA SENZA LIMITI
“Sembrava la fine del mondo, ma sono qua”. “E non solo, io addirittura raddoppio”, sembrerebbe rispondere Luca Righetti al celebre motivetto della canzone “Eh già” di Vasco Rossi. Non è da tutti superare un grave incidente e costruirsi una nuova vita. È ancora più complesso riuscire a diventare un atleta paralimpico, capace di partecipare alle Paralimpiadi di Sochi 2014 e decidere successivamente di rimettersi in gioco ancora, cambiando nuovamente. Dopo aver accantonato lo snowboard, questo ragazzo parmense classe 1978 ha scelto la Mountain Bike ed è stato subito protagonista ai campionati italiani. Vittoria e titolo nazionale: non male per un debuttante. Luca ha raccontato in esclusiva ad Azzurri di Gloria le sue sensazioni in seguito alla conquista del tricolore, la sua storia e le sue ambizioni per il futuro.
Luca, come ci si sente da campione d’Italia?
<<Finalmente posso allentare la presa. È sempre bello centrare un obiettivo, ma ora il primo pensiero è quello di respirare e rilassarmi. Sono stati tre mesi di allenamenti provanti. Allenarsi dopo il lavoro con il caldo dell’ultimo periodo non è stato semplice. Sono state stravolte le mie abitudini, è cambiata la routine. Tutti sacrifici per raggiungere l’obiettivo prefissato>>.
Cosa ti piace maggiormente dello sport che pratichi?
<<La passione per la bici è nata come un modo per recuperare da un infortunio rimediato nello snowboard. Ho avuto la fortuna di incontrare amici che mi hanno portato per mano facendomi conoscere questa disciplina. Grazie a loro ho iniziato a fare anche le prime salite. Nonostante la fatica, ho continuato ad appassionarmi a questo sport, ho continuato ad allenarmi e mi sono dedicato oltre che alla strada anche alla mountain bike. E pensare che prima non ero un amante di questo sport. Mi chiedevo come mai si spendessero tanti soldi per fare fatica. Ora, invece, non riesco a farne a meno. Il ciclismo è un aspetto importante nel mio tempo libero>>.
In precedenza hai praticato anche lo snowboard. Cosa ti ha spinto a scegliere quella disciplina invernale?
<<La montagna è sempre stata per me una passione. Prima dell’incidente sciavo. Dopo l’incidente negli anni 96-97 andava di moda lo snowboard. Così, con i miei amici mi sono iscritto ad un corso. Abbiamo pensato che questa potesse essere un’esperienza nuova, qualcosa da imparare insieme. Solo dopo molto tempo e dopo un sogno premonitore ho deciso che quella sarebbe stata la mia disciplina agonistica, nella notte del 12 agosto 2012. Può sembrare surreale, ma ho sognato di indossare la maglia della Nazionale Italiana mentre utilizzavo lo snowboard. Al mattino, ho cercato su internet la nazionale snowboard per disabili. Ho notato che esisteva la FISIP, ovvero la Federazione Italiana Sport Invernali Paralimpici e collegata ad essa esisteva la Nazionale di Snowboard Paralimpico. Non era la prima volta che pensavo di gareggiare: ho avuto un desiderio iniziale con le Olimpiadi 2010. In quel momento già andavo a sciare e pensavo: “Chissà che bello poter partecipare ad una Paralimpiade”. Avevo un sogno ed un’idea, avevo scoperto alcuni punti di riferimento importanti a cui appoggiarmi. È iniziata così un’avventura che tutt’oggi mi rende orgoglioso>>.
Hai accennato anche al tuo incidente. Cosa è accaduto e come hai reagito a quello che ti è accaduto?
<<L’incidente stradale si è verificato nell’ottobre del 1994. Avevo 16 anni, stavo guidando una Cagiva 125. In una strada secondaria, una persona si è immessa nella stessa carreggiata. Uscendo ci siamo scontrati. È stato un urto abbastanza forte. L’impatto mi ha scaraventato in avanti. Ho riportato una frattura strana del bacino, strana a tale punto da provocarmi una lesione vertebrale lombo-sacrale (L5-S1). Questa tipologia di lesione provoca la completa paresi della gamba sinistra, lasciandomi senza sensibilità, ma con il parziale controllo del ginocchio. Ora Riesco a reggermi in piedi ed a camminare senza stampelle ma con l’ausilio ti un tutore. Dopo l’incidente, ho perso la scuola. La riabilitazione è durata 8 mesi. Non era solo la frattura a rappresentare un problema. La paresi mi ha provocato perdite di funzioni di vario tipo, riuscivo a camminare ma solo con le stampelle, non riuscivo a correre e fare gli scalini era davvero un’impresa. Ho ricominciato a vivere come se fossi un bambino. La ripresa non è stata semplice, devo ringraziare soprattutto i miei famigliari ed amici che mi hanno incitato a dovere…io ero molto più arrendevole. Per quanto mi riguarda, vivevo male la mia situazione. Non riuscivo ad accettare la mia condizione. È difficile pensare di non poter fare nulla a 16 anni. Insieme ai miei amici, ho cercato di provare cose nuove, ma ho finito per pagare varie problematiche. Mi sono rotto un braccio ed una spalla. I medici mi hanno spesso sconsigliato di comportarmi così, ma a quell’età non è semplice rimanere fermo>>.
Mi pare di capire che gli amici hanno avuto un ruolo molto importante nella tua rinascita e nella tua vita.
<<È fondamentale avere accanto persone che, anziché remare contro, diano maggiore carica. A differenza di medici e fisioterapisti, che spesso mi hanno invitato a lasciar perdere, i miei amici volevano che io tornassi come prima, magari facendo qualcosa in più, non nascondendomi dietro ad un incidente. Hanno fatto la cosa giusta. Oggi, la loro decisione ha ripagato in termini fisici. Ho avuto la fortuna di vivere una nuova vita>>.
Hai deciso di passare dallo snowboard al ciclismo. Quali sono le difficoltà nel passaggio da uno sport invernale ad uno estivo?
<<Indubbiamente è stato veramente difficile cambiare sport. Lo snowboard è una disciplina che richiede forza esplosiva con tempi limitati. Serve una preparazione e struttura fisica specifica. Il ciclismo è uno sport di endurance, occorre una discreta capacità di resistenza allo sforzo fisico continuativo nel tempo. Richiede una forza diversa rispetto allo snowboard. Per esprimersi su alti livelli è necessario modellare la propria fisicità. E poi c’è l’abitudine a stare in bicicletta per tante ore. Il risultato ottenuto ai Campionati Italiani di MTB ha confermato la qualità della strada che sto percorrendo>>.
A proposito di snowboard, nella tua “nuova vita” hai partecipato anche alle Paralimpiadi di Sochi 2014. Qual è il tuo ricordo di quell’esperienza?
<<Credo che Sochi sia l’esperienza della vita. Non è da tutti. È senz’altro agonismo, ma mi ha permesso di conoscere e vivere tante altre sfumature della vita da atleta. È l’esperienza della vita, ripeto. Solo dopo Sochi ho capito tante cose. Solitamente, dopo un grande appuntamento, capita di avere un periodo di ricaduta. In quel momento, ho avuto modo di ripercorrere la strada percorsa. Ho capito il perché di diverse decisioni. Sochi mi ha insegnato moltissimo. Mi ha fatto crescere sportivamente e umanamente, anche come padre. Indubbiamente un’esperienza unica>>.
Come ti sei trovato nel team Equa e con gli altri atleti italiani?
<<Far parte di questa famiglia è il top che ci possa essere in Italia. È una formazione fatta di campioni, ma l’aspetto più piacevole è il rapporto tra gli atleti. C’è disponibilità, aiuto, sostegno. E poi ci sono i risultati. I recenti campionati hanno visto la conquista di 12 titoli. Il mio nella Mountain Bike è stato il tredicesimo. Merito anche del Presidente Ercole Spada, una persona fantastica>>.
Come vedi il tuo futuro? Pensi di seguire l’esempio di atleti come Zanardi, capaci di correre anche in età più avanzata?
<<Non metto limiti al futuro. Comunque, a 39 anni un limite fisico c’è. Nelle gare ci possono essere avversari con 15 anni di differenza. Fortunatamente il ciclismo è un po’ diverso dagli altri sport. Il gap fisico può essere colmato con astuzia ed intelligenza. La dote atletica può fare la differenza, ma in base al momento cambiano diversi aspetti. A volte, basta una giornata storta di un favorito per mutare l’esito della gara. E poi l’esperienza unita alla tattica può fare la differenza>>.
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro? Hai già pensato a Tokyo 2020?
<<Tokyo è il traguardo. È inutile nascondersi. Sogno di partecipare alla mia seconda Paralimpiade da quando ho scelto di passare dallo snowboard al ciclismo. Alla base della mia decisione c’era anche l’amarezza per la mancata qualificazione al Mondiale snowboard, ma allenandomi in bici mi sono accorto di aver fatto la scelta giusta. Farò di tutto per realizzare il sogno di partecipare ai Giochi Paralimpici del 2020. Ho ancora tre anni davanti. Vedremo come andranno le cose>>.
Ripensando alla tua trasformazione, cosa è rimasto del “vecchio” Luca?
<<Il cambiamento è stato enorme. Persino i miei amici mi hanno detto che non sono quello di prima. In precedenza ero molto più egoista, nel senso negativo del termine. Pensavo a me stesso e mi bastava. Ora cerco sempre di salvaguardare il mio benessere, ma sono molto più attento ad altri aspetti. E sono anche meno impulsivo, rifletto maggiormente prima di prendere una decisione. Questo fa anche parte della vita, con gli anni si acquista esperienza e si impara a non sbagliare. Inoltre, tanto ha fatto Sochi. Le Paralimpiadi mi hanno veramente cambiato profondamente>>.