TRENTO, dai nostri inviati Marco Corradi e Federico Sanzovo

Al termine della giornata conclusiva del Festival dello Sport, i nostri inviati hanno intervistato Riccardo Crivelli, firma della Gazzetta dello Sport e amico di Azzurri di Gloria: ecco le sue parole e le sue valutazioni sul nostro tennis, e non solo!

FESTIVAL DELLO SPORT, L’INTERVISTA A RICCARDO CRIVELLI: IL PUNTO SUL TENNIS AL MASCHILE

Riccardo Crivelli è una delle firme più eclettiche della Gazzetta dello Sport: passa con disinvoltura dal ciclismo, alla boxe, al nuoto e al ”suo” tennis, lo sport che ormai riempie le sue giornate, ed è un autentico tuttologo e appassionato di sport. È stato lui a moderare uno degli eventi più apprezzati del Festival dello Sport che si è tenuto a Trento dall’11 al 14 ottobre, raccontando la generazione d’oro del tennis al femminile e intervistando Francesca Schiavone e Roberta Vinci: a qualche ora dal termine della prima edizione del Festival, abbiamo intervistato Riccardo, che ci ha fornito un’analisi a tutto tondo sul tennis italiano e sul nostro sport. Ecco le sue parole ai nostri microfoni.

Ciao Riccardo, partiamo da un bilancio della stagione che sta per concludersi: il tennis maschile è cresciuto molto in questo 2018.

”Per la prima volta dopo tanto tempo, possiamo dire che il tennis maschile si è mostrato più vincente e vitale di quello al femminile. Era anche naturale, dato che il tennis in rosa ha visto chiudersi una generazione capace di conquistare quattro Fed Cup, di vincere due Slam (Roland Garros-Schiavone e US Open-Pennetta) e conquistare altrettante finali con sconfitta (Errani-RG, Vinci-US Open): era impensabile confermare quel livello. Mentre tra gli uomini sono emersi nomi nuovi come Berrettini e soprattutto Cecchinato, mentre Seppi si è confermato un giocatore solido nonostante si stia avvicinando al ritiro, e Fognini sta disputando senza dubbio la miglior stagione della sua carriera. Dietro Fabio, che può garantire 2-3 anni ad altissimo livello, Berrettini e Cecchinato hanno garantito un ricambio di spessore: non dimentichiamoci che la semifinale nello Slam mancava da 40 anni, e Ceck l’ha raggiunta quest’anno”.

A Fognini manca solo il grande passo negli Slam: spesso è sfortunato nel tabellone, ma in generale gli manca quello step nei grandi tornei e si ferma troppo presto.

”Credo che Fabio sia assolutamente consapevole di questo. L’ulteriore (e ultimo) salto di qualità per Fognini dovrebbe essere quello del grandissimo risultato in uno Slam o in un Masters 1000, dove ha raggiunto due semifinali (una a Montecarlo e una a Miami l’anno scorso), ma non ha mai vinto. Se dovesse vincere da qui a fine carriera un Masters 1000, o vincere/arrivare in semifinale in uno Slam, che dovrebbe essere il Roland Garros per le sue caratteristiche, allora la sua carriera sportiva verrà valutata come quella di un grande tennista. È ancora in tempo per ottenere questi risultati, e tra l’altro non dimentichiamoci che è numero 13 del mondo e migliorerà quella posizione: dobbiamo solo essere soddisfatti. Spesso siamo poco indulgenti con lui e col suo talento, ma le prestazioni che ha espresso nel 2018 sono assolutamente soddisfacenti”.

Anche perchè quest’anno è arrivato davvero vicino alla top-10.

”È ancora in corsa, formalmente. Deve fare benissimo negli ultimi tornei che gli mancano: dovrebbe giocare a Stoccolma, poi avrà Parigi-Bercy, che non ama molto per la superficie indoor. Però quest’anno ha vinto anche sul cemento, e dunque chissà che lo stimolo della top-10 da raggiungere non lo aiuti a chiudere in bellezza, e poi a disputare un 2019 ancor più straordinario”.

Come valuti l’annata di Cecchinato? Dopo il grande exploit a Parigi, è un po’ tornato ”sulla terra”, facendo fatica in qualche torneo e non riuscendo a ripetere quelle grandi prestazioni…

”C’è una considerazione da fare. Quando sei numero 200 del mondo e giochi i Challenger, affronti giocatori del tuo livello, mentre quando entri nei migliori al mondo ti ritrovi sempre ad affrontare giocatori di valore: non dobbiamo dimenticarci del percorso di Marco, e questo aspetto del livello degli avversari va messo in conto. L’altro aspetto è dato da una questione di superficie: quando giochi nei Challenger, e nella fattispecie nei tornei che solitamente vengono affrontati dagli italiani, ti trovi molto spesso a fronteggiare la terra rossa, che è la superficie migliore per Cecchinato e per il suo gioco. Ha dimostrato di poter essere competitivo sull’erba con una semifinale prima di Wimbledon, mentre credo che per rendere al meglio sul cemento debba solo sbloccarsi dal punto di vista mentale. Va anche detto, però, che i suoi movimenti e soprattutto quel dritto non sono colpi adatti a una superficie veloce. Io credo che possa adattarsi bene, ma è innegabile che ormai tutti quanti ci aspettiamo grandi risultati da lui sulla terra: quando giochi una semifinale del campionato del mondo sulla terra rossa, il Roland Garros, è naturale che tutti si aspettino molto da te su quella superficie negli anni a venire. Credo che lui sarà uno di quei giocatori che, in carriera, potrà togliersi tante soddisfazioni nei grandi tornei sulla terra e non solo”.

Si parlava di cemento, una superficie che potrebbe essere molto adatta a Berrettini, che è esploso in questo 2018.

”Berrettini a mio avviso è adatto a ogni superficie. L’erba resta una cosa a sè, è difficile adattarsi e ci si gioca solo quattro settimane all’anno, ma non dimentichiamoci dei suoi risultati: a Parigi sulla terra ha messo in difficoltà il finalista (Thiem) strappandogli un set, ha vinto un torneo sulla terra, ha fatto discrete cose a Wimbledon e gioca bene sul veloce. Ha ampi margini di crescita, anche se ora verrà guardato con maggior attenzione e faticherà maggiormente a sorprendere nel 2019: la sua crescita però è evidente, basti pensare che il suo allenatore (Santopadre) ha rivelato che il progetto era di portarlo intorno ai primi 50 al mondo tra due anni, e lui ne ha 22 e si trova al numero 52 e con buone chances di entrare nella top-50. Nel processo di crescita può starci qualche caduta, ma se fisicamente reggerà, io credo che Berrettini potrà raggiungere la top-10 e restare stabilmente tra i migliori al mondo”.

DA CAMILA GIORGI ALLA NUOVA ITALIA: RICCARDO CRIVELLI COMMENTA IL TENNIS FEMMINILE

Parlando di crescita, non può passare inosservata quella di Camila Giorgi, che sembra aver fatto il salto di qualità. O forse, ha semplicemente ritrovato quella maturità che sembrava perduta: come valuti la sua stagione?

”Commentare le prestazioni della Giorgi è sempre difficile. Il talento è enorme, il suo tipo di gioco è perfetto per il tennis attuale e lei ci aggiunge una grinta che la porta a non temere nessuna avversaria, e a giocarsela con tutte: poi può sbagliare, giocare meglio o giocare peggio, ma non teme il confronto con nessuna delle big al mondo. Il suo grande problema resta la continuità: a Wimbledon ci aveva sognare col quarto di finale contro Serena Williams e una partita fantastica, però poi l’abbiamo ritrovata solo quattro mesi dopo e con la vittoria del WTA di Linz. Ha dimostrato che nella settimana in cui è in forma, è una giocatrice di alto livello, e ora si trova al numero 28 al mondo: una tennista col suo talento, però, non può limitarsi a giocare ad alto livello solo per qualche mese all’anno. Ha avuto qualche problemino fisico e speriamo che lo risolva, ma deve ancora maturare al 100%: il giudizio resta sospeso, ha quasi 27 anni e un grande futuro davanti. La Giorgi rimarrà l’atleta capace di abbagliarci una settimana e poi eclissarsi, oppure troverà la continuità? Speriamo nella seconda ipotesi, anche perchè nel tennis femminile attuale regna l’incertezza: manca la dominatrice, e si vede. Camila e la Nazionale? La pace è fatta e solida: Tathiana Garbin aveva chiesto espressamente di ricomporre la frattura tra la Giorgi e la FIT, e tutto è andato secondo i programmi. Anche perchè, dopo gli addii di Schiavone, Pennetta e Vinci e le vicissitudini della Errani, non poteva essere altrimenti: a questa nazionale servono leader e giocatrici esperte, e le giovani faticano a esprimersi ad alto livello”.

 E infatti, nel tennis in rosa c’è questa anarchia per cui, con qualche torneo positivo, ci si trova nelle posizioni importanti della top-10…

”Esatto. Basti pensare alla Muguruza, che un anno fa lottava per il numero 1 e ora è uscita dalle dieci dopo qualche mese negativo. La Kerber sembrava essere tornata nel limbo, e invece in pochi mesi ha recuperato tantissime posizioni. Manca la giocatrice in grado di ”spaccare” il circuito, in tante possono inserirsi e sorprendere: c’è una sorta di livellamento per cui, ad ogni Slam, dobbiamo indicare 10-15 possibili favorite. E magari la favoritissima delude, com’è successo alla Halep, che ha vinto uno Slam, ma non è mentalmente solidissima. Il tennis femminile è molto cambiato: 10-15 anni fa quando la numero 1 al mondo affrontava la numero 70 tutto era scritto, ora contro le tenniste nelle retrovie si fa fatica e si perde. Ormai il tennis femminile è talmente omogeneo e monotematico che, nella giornata giusta, ogni atleta può mettere in difficoltà le big”.

Prima hai parlato delle giovani giocatrici, e dunque ti chiedo: com’è messo il movimento del tennis ”in rosa”? Quanto ci vorrà per ottenere una nuova generazione d’oro come quella formata da Vinci, Pennetta, Errani e Schiavone?

”Le giovani non sono ancora pronte per eccellere ed emergere. Chiesa, Paolini e Trevisan stanno facendo esperienza e hanno la fiducia della Garbin, che le convoca in Nazionale perchè le conosce a menadito e spera che, com’era successo a Errani e Vinci sotto la spinta di Schiavone e Pennetta, possano crescere e compiere quello scatto a livello tecnico e mentale necessario all’Italia intera. Sono giocatrici che giocano bene a tennis, ma sono carenti dal punto di vista fisico e anche da quello mentale, perchè quando giochi poche partite ad alto livello è difficile alzare l’asticella ed essere all’altezza della situazione quando ti trovi in Nazionale. E poi c’è la Cocciaretto, che mi sembra una giocatrice con la testa a posto e di talento, ma ha un problema: somiglia troppo alla Errani per fisico e gioco, e io credo che ormai il tennis femminile stia togliendo spazio a quel tipo di tenniste. Ormai tutte le giocatrici superano i 180cm e tirano le palle ad altissima velocità”.

E inoltre, queste giovani hanno un compito arduo: sostituire una generazione fantastica, che abbiamo visto all’opera nell’evento con la Vinci e la Schiavone…

”Il paragone con quella generazione verrà sempre naturale, ed è normale: abbiamo vissuto qualcosa di irripetibile, con delle atlete che hanno vinto la Fed Cup e sfruttato anche qualche annata favorevole (ricordo una finale contro la Russia a Cagliari, con le ospiti che non avevano giocatrici di altissimo livello), ma soprattutto giocatrici che si giocavano grandissime partite negli Slam, e ne hanno vinti due con Schiavone e Pennetta. Il nostro movimento aveva una dimensione internazionale che andrà ritrovata e ricostruita con questa nuova generazione: il paragone sarà pesantissimo per tutte quelle che verranno, e forse noi dovremmo abituarci ad avere la bocca meno buona nel tennis femminile, e dare tempo alle nuove generazioni di crescere. Credo, anche se spero di sbagliarmi, che questa generazione (Paolini, Trevisan ecc) difficilmente otterrà grandissimi risultati, però le giovani che stanno emergendo dai 14-16 anni vanno seguite con attenzione, e senza metter loro troppo pressione”.

È una situazione simile a quella dell’Italia calcistica, non trovi?

”Vero, vero. Abbiamo in mente la Nazionale del 2006, dei Pirlo, Gattuso, Del Piero ecc, e ora che non li abbiamo più e facciamo fatica a trovare giocatori di quello spessore internazionale, il paragone e la nostalgia verso i ”bei tempi andati” vengono spontanei. Le generazioni d’oro del calcio e del tennis ci hanno regalato talmente tante emozioni che sembrano successi accaduti ieri, ma i brividi di cui si parlava nell’incontro con Schiavone e Vinci si riferivano a successi che hanno qualche anno alle spalle. Dobbiamo dimenticare quello che è stato, e cercare di preparare giocatrici e giocatori che possano essere in grado di competere ad altissimo livello”.

GLI ALTRI SPORT, LA PASSIONE PER IL CICLISMO E QUALCHE GIUDIZIO SUL 2018 SPORTIVO

Qual è stata l’impresa sportiva che ti ha emozionato maggiormente nel 2018?

”Da vecchio suiveur del ciclismo, la vittoria di Vincenzo Nibali alla Milano-Sanremo mi ha dato un’emozione particolare. Poi comunque, per affetto verso gli atleti e una disciplina che ho seguito particolarmente, sono sempre affascinato dai successi del nuoto, però credo che Nibali con quello che ha fatto nella Sanremo abbia riportato il ciclismo a una dimensione mitica e ”antica”: è un po’ il filo conduttore della carriera di Vincenzo, i suoi successi non sono mai monotoni e banali, nè nelle classiche, nè nelle corse a tappe”.

Restando sul ciclismo e sulle corse a tappe, abbiamo assistito a tanti trionfi ”non banali”: la grande rimonta di Froome, il primo Tour di Geraint Thomas e la Vuelta del riscatto di Simon Yates.

”Il ciclismo ha regalato momenti molto interessanti, e andrebbe studiata questa incredibile situazione per cui i grandi giri li vincono solo i britannici. La spiegazione viene dalla loro cultura sportiva, dai loro investimenti sulla strada e sulla pista e da tanti fattori. L’Italia l’ha dimostrato per anni che, quando vai forte su pista, allora puoi essere molto forte anche su strada, ma quella tradizione è scemata negli anni perchè l’impianto di Montichiari è aperto a targhe alterne per questioni burocratiche, e perchè il Vigorelli è uscito dai radar (anche se ultimamente la pista azzurra sta tornando di primissimo livello, grazie al grande lavoro del ct Villa e alla spinta di Davide Cassani), e così ci sono altri paesi a colmare questo vuoto e costruire campioni partendo dalla pista. E poi, paghiamo anche il fatto di non avere una squadra puramente italiana nel World Tour: la vecchia Liquigas affiancava a Nibali ecc corridori italiani emergenti, mentre le squadre straniere hanno ovviamente altri interessi e magari affidano ai nostri giovani ruoli di secondo piano. Si fa fatica a raccogliere i giovani attorno ai grandi campioni, mentre gli inglesi hanno il Team Sky che, oltre a essere una squadra all’avanguardia per tecnologia e preparazione, è una sorta di nazionale britannica. E inoltre, ha corridori che sarebbero capitani in ogni team”.

Chiudiamo parlando del Festival dello Sport: qual è il tuo bilancio su questa prima edizione della manifestazione, che si è tenuta a Trento?

”Il mio bilancio è assolutamente positivo. In prima persona, mi sono immerso come appassionato in questa manifestazione, vedendo tantissimi sportivi di alto livello e vivendo le loro storie. Non l’ho vissuto solo da giornalista e da moderatore degli eventi a cui ho partecipato, ma anche e soprattutto da ”tifoso” dello sport, vivendo a contatto con la città e le persone. Credo che il bilancio complessivo sia andato oltre le aspettative per il coinvolgimento della città di Trento e degli appassionati, e credo che lo sport sia trasversale: coinvolge uomini, donne, vecchi e bambini, e quando porti al pubblico il grande campione, susciti ricordi e brividi che difficilmente appaiono in un altri ambiti”.

Riccardo Crivelli

Riccardo Crivelli è un grande amico della redazione di gloria: qui la foto risalente alla prima intervista realizzata per ADG, nel dicembre 2015 e nella redazione della Gazzetta dello Sport

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Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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