È una delle firme del tennis della Gazzetta dello Sport, ma segue per la Rosea anche il nuoto, il canottaggio (sua grande passione) e… le Olimpiadi, il nostro terreno di caccia: Riccardo Crivelli si è raccontato ai nostri microfoni in una lunga intervista (durante la nostra visita in Gazzetta), trattando vari temi, dalla stretta attualità, alle prospettive azzurre per Rio 2016, alla storia dei ”suoi” Giochi, da spettatore prima e da giornalista poi.
Azzurri di Gloria ha scelto di dividere in due parti la chiacchierata con Riccardo, separando la parte ”storica” da quella riguardante le prossime Olimpiadi ed i casi doping, ed ecco le parole di Crivelli, che ringraziamo per la sua disponibilità e cortesia.
Allora Riccardo, partiamo con questo racconto delle Olimpiadi: qual è il tuo primo pensiero, se ti nomino la rassegna a cinque cerchi?
”Per me, che seguo lo sport da quando avevo 6 anni, le Olimpiadi hanno rappresentato la realizzazione di un sogno: nelle mie idee, una volta diventato giornalista, l’obiettivo principe era quello di andare a seguire i Giochi, e una volta che ho realizzato questo obiettivo, mi sono sentito davvero al settimo cielo, perché ho potuto coronare il mio sogno”.
Qual è stata la tua prima Olimpiade?
”La mia prima Olimpiade è stata quella di Torino 2006, nei Giochi Invernali, mentre i miei primi Giochi estivi sono stati quelli di Pechino: ho vissuto quindi due esperienze agli antipodi, da un lato c’erano delle Olimpiadi a 100 km da casa che, pur essendo emozionanti per il loro svolgimento in Italia, rientrano quasi nel lavoro quotidiano, dall’altro invece dei Giochi vissuti a moltissimi km di distanza, con una cultura diversa, che ti danno un’emozione decisamente differente ”.
Qual è stato l’atleta che ti ha maggiormente impressionato, nei Giochi che hai seguito?
”Sicuramente Phelps, sia perché seguivo il nuoto a Pechino, quando lui ha ottenuto quei risultati impressionanti, sia perché mi è sempre piaciuto il nuoto, e lui mi ha dato moltissime emozioni. Atleti italiani? Sarebbe facilissimo dire la Pellegrini, ma vi faccio il nome di Daniele Molmenti: è un amico, sapevo tutti gli sforzi che aveva fatto per ottenere quel risultato, dato che lo seguivo da quattro anni, e dunque vederlo trionfare è stata una bellissima soddisfazione. Anche se, devo confessarlo, sogno e spero di vedere un oro nel canottaggio in futuro, dato che non ci sono ancora riuscito”.
Quali Olimpiadi, tra quelle che hai seguito come spettatore e come giornalista, ricordi particolarmente? E quali imprese ti hanno colpito?
”La prima Olimpiade che ricordo veramente è stata quella di Mosca 1980, avevo 12 anni all’epoca e dunque ero maggiormente preparato, mentre ho dei ricordi sfumati riguardo a Montreal 1976: ricordo particolarmente l’oro di Damilano, in una gara che non veniva ripresa dalla televisione, con quell’annuncio del telecronista che continuava a ripetere ”Damilano” ed aveva confuso un po’ tutti, dato che pensavamo che fossero in arrivo delle notizie da Milano (ride, ndr). Ci siamo accorti della sua vittoria solo quando è entrato nello stadio ed hanno dato l’annuncio, e poi ricordo benissimo l’impresa di Mennea, la Simeoni, dato che ho seguito interamente quei Giochi, anche grazie all’orario favorevole, mentre Los Angeles e Seoul erano più difficili da seguire per il fuso orario. Tra quelle seguite personalmente da giornalista, invece, vince Pechino: sia perché era la prima in assoluto, sia perché è stata una bellissima Olimpiade. Per quanto riguarda le imprese, sicuramente quella del mio concittadino Parisi (Riccardo è di Voghera, ndr) mi ha emozionato particolarmente, poi essendo un appassionato di canottaggio non posso non citare gli Abbagnale: avendo seguito Pechino, merita una menzione il favoloso successo di Bolt nei 200, che ho seguito da spettatore. Vedere lui e Phelps vincere in quel modo ha rappresentato una grande emozione”.
Da Pechino, passiamo a Londra: quale immagine delle ultime Olimpiadi ti è rimasta maggiormente impressa?
”Oltre a Molmenti, mi è rimasta impressa la finale di Cammarelle: ero lì, lui non aveva perso ed ho vissuto particolarmente quella serata. La cosa emozionante, quel giorno, è stato il tifo del pubblico londinese quando combattevano gli inglesi: un tifo che si può definire quasi scorretto, che creava pressione sui giudici, ma che durante il combattimento di Cammarelle è stato assolutamente di segno opposto, come se anche loro avvertissero la grande prova del nostro pugile. Ricordo anche un pubblico ”calcistico” e molto nazionalista nella finale tra Federer e Murray, anche se è veramente difficile tifare contro Roger”.
Com’è cambiata la tua visione dei Giochi rispetto a quando li vivevi da spettatore? Ti emozioni maggiormente, oppure le sensazioni sono le stesse?
”Allora, vivendole da fuori, le Olimpiadi ti appassionano e ti colpiscono, ma alla fine puoi scegliere cosa vedere e cosa no, mentre quando le segui da giornalista vivi tutta l’atmosfera, giri nel Villaggio Olimpico e ti accorgi di cosa significhi un’Olimpiade per gli atleti, e alla fine ti appassioni a delle storie che magari non avresti nemmeno calcolato da spettatore. I Giochi, per la gran parte di coloro che partecipano, sono l’approdo finale, il sogno di una carriera, e l’atmosfera, la tensione ecc sono diversissime anche rispetto ai Mondiali dello stesso sport: per gli atleti questo è un appuntamento fantastico, impareggiabile, e solo vivendolo dall’interno capisci tutto questo”.
E con queste frasi si chiude la prima parte dell’intervista a Riccardo Crivelli: non perdetevi l’opinione del giornalista della Gazzetta su Rio 2016 e sugli argomenti d’attualità, inserita nella seconda parte.