La nostra intervista a Nadia Battocletti, argento nei 10.000 metri di atletica a Parigi 2024.

Fonte Foto: Grana/FIDAL

Nadia, questa è vera, eh? 

No, sono davvero molto felice e soddisfatta, sia del mio quarto posto che di questo secondo. L’avvicinamento non è stato semplice; ho fatto una risonanza due giorni fa, è risultato un affaticamento al soleo e mi tira tutto il tendine d’Achille e il calcagno. Stamattina ho corricchiato e finalmente stavo un po’ meglio, ma nel riscaldamento della gara, male. Dopo dieci minuti ho detto: “Stasera non va bene”. Papà mi fa: “Guarda, non facciamo niente, tranquilla”. Mi spiaceva perché tutti avevano organizzato e non è mai bello, personalmente, tirarmi indietro.

Quindi, se c’era la possibilità di correre senza farmi troppo male, quello è stato il caso. Ho fatto dieci minuti su venti di riscaldamento, quindi per fortuna avevo la crema riscaldante. Mettiamola così. Poi devo ringraziare lo staff medico perché appena ho finito il riscaldamento ero sbiancata. Ho detto: “Qui c’è qualcosa che non va”. Sono arrivati subito Carlo Ranieri e altri cinque fisioterapisti, due dottori. Mi hanno messo il tape che purtroppo giro dopo giro si stava staccando sempre più, finché poi è rimasto attaccato sotto la chiodata negli ultimi giri. Infatti ho detto: “Mamma mia, non ci siamo”. Ho cercato di essere il più intelligente, una volpe, mettiamola così. Prima della gara mi è arrivato un messaggino. Ne ho ricevuti tantissimi, molto belli, che mi diceva: “Stai attenta alla vecchia volpe perché lei non sbaglia mai”, quindi ho detto: “Va bene, proviamo a fare noi la vecchia volpe oggi”.

Mi sono concentrata soltanto su cosa succedeva davanti senza pensare dietro, europee se scoppiavo, se andava male, se non reggevo il ritmo. Gli ultimi metri, gli ultimi 800 metri, ho iniziato a lavorare un po’ sulle respirazioni per buttarle giù, perché sapevo che sui 5000, anche grazie alla Diamond League di Monaco, ho imparato che loro fanno i cambi secchi. Non è detto che tengano quel ritmo, infatti poi nel 5000 ho rosicato un pochettino. Qui invece ho detto: “No, devo stare con gli occhi proprio sbarrati”. Potrebbe essere sembrata una sciocchezza stare il più interna possibile, ma davanti avevo una ragazza, una delle più veloci che c’era in gara. Anche lei è una grandissima vecchia volpe, e quindi sapevo che mi avrebbe portato fuori. Poi, nel momento in cui sono arrivata agli ultimi 100 metri, non ho pensato più nulla. Ho ancora l’immagine di Kip Ken Boy e Chebet che inizia a partire. Ho provato a spingere più che potevo, la ragazza mi portava in esterna. Ho provato tutto per tutto, davvero.

Quando è stato il momento in cui hai capito che era argento?

L’ho capito quando ho attraversato la linea, perché quando sei a quelle velocità cerchi di stare il più composta possibile, il più dinamica ed economica possibile. Non potevo alzare lo sguardo, e c’era davvero un baccano enorme, quindi non avrei neanche sentito qualcuno arrivare. Quindi l’idea era semplicemente spingere, spingere, spingere. Quando poi ho superato il traguardo, ho capito che ero arrivata seconda.

Credi avessero paura di te, dell’avversario a un certo punto? 

Dopo il 5000 ho iniziato a essere tanto salutata, tanto apprezzata, tanti complimenti venivano dai capi del Kenya e dalle ragazze keniane ed etiopi. Quindi sicuramente lo sguardo un po’ a qualcosa di azzurro ce l’hanno. Immagino che sicuramente abbiano avuto un po’ di paura. Comunque molti atleti erano anche freschi, quindi penso che abbiano detto: “Vabbè, questa è italiana, ha fatto già due gare, cosa vuoi che sia”. Sicuramente però quando mi hanno visto lì negli ultimi giri, credo che si siano un po’ spaventate. Sentivo che parlavano, però parlavano più per chi deve andare davanti. Vedo che c’è sempre una vittima sacrificale e poi la si sposta e parte la più forte in pratica. Mettiamola così.

Questa medaglia lo certifica, però è ormai questo il tuo status? Te la vai a giocare con loro?

Questo è il sogno, credo, di ogni mezzofondista. Anche quando andavo in mensa mi sentivo tanto Linge-Britzen, tenetemi il termine, ovviamente non voglio paragonarmi al grande atleta, però avevo tantissimo supporto anche dalle altre nazioni che iniziavano a dire: “Dai, che forse questa ci prova”. Quindi sono molto soddisfatta di come sono arrivata qui, della grinta e della cattiveria agonistica che ho avuto all’interno della gara.

Anche perché per fare quello che fai servono gambe, ma anche mentalità, caratteristiche psicologiche. Senti di essere cresciuta più come persona, dunque anche caratterialmente o come atleta?

Sicuramente come base gli allenamenti sono migliorati. Ammetto che però il mio chilometraggio settimanale, se ve lo dico vi mettete a ridere, arriva a malapena al fabbisogno, mettiamola così, del 5000, quindi figuratevi del 10000. Però, quando sono entrata in gara, sapevo che la gara sarebbe venuta così. I primi chilometri un po’ tranquilli, medio-alti, e poi però si iniziava a spingere. Ancora non ci credo di quello che sono riuscita a fare. Se guardate le mie gambe, sembra che un chirurgo abbia iniziato a usare i bisturi e la manetta.

Roma devo ringraziarla perché ha fatto un grandissimo salto mentale. Mi ha aiutato tantissimo Monaco, la Diamond League di Monte Carlo. Sembra una gara sciocca, per molti magari potrebbe essere andata male, ma sinceramente, dopo l’altura e buttarmi così, provare a correre con loro, mi ha dato quella convinzione in più e forse quella conoscenza in più. Magari prima, quando dovevano partire al 1000, dicevo: “Stanno per partire, dovevo essere pronta,” era molto più, non dico stressante, ci mancherebbe, però un pochino meno fluida la situazione. Ho imparato tanto anche nel 5000 alla finale, nel 5000 comunque di più non potevo recriminarmi. Ho fatto il record italiano nel 3000, nel 2000 e per due secondi nel 1000, quindi più forte di così davvero. Potevo staccarmi subito, ma i tempi erano davvero forti, e quello mi ha aiutato tanto perché mi ha fatto capire che quando partono, partono fortissimo, ma non è detto che tengano quel ritmo, anzi.

Domanda di rito: a chi dedichi questa vittoria, questa medaglia?

Sicuramente a mamma e papà, fidanzato, migliore amica, a tutti gli italiani, a tutti diciamo, però facciamone uno specifico, al mio staff che davvero lavora tanto sodo con me, il mio gruppo sportivo Le Fiamme Azzurre, sicuramente tutto lo staff medico della federazione che poverini mi vedevano, pensate, ogni giorno mi fanno: “Ancora qui in fisioterapia?” Già, ancora qui in fisioterapia. Fate conto, facevo due o tre ore la mattina, due il pomeriggio e due la sera tardi in fisioterapia a fare ultrasuoni, crioterapia, laser, massaggi, scarichi, bende, ho fatto di tutto. I miei piedi mi stanno chiedendo un po’ di mare, un po’ di pausa.

E adesso, vacanza?

No, in realtà vorrei continuare la stagione, mi spiacerebbe lasciarla così. Ovviamente devo valutare a modo; sicuramente farò un paio di giorni di riposo, di stop, anche perché l’affaticamento, se continuo ad allenarmi, non va via. L’obiettivo sono un 3000 metri alla Diamond League di Lausanna e il 1500 al Golden Gala, quindi si torna a gareggiare in casa.

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