Esistono splendide storie olimpiche di vittorie. Ma esistono storie di sconfitte non meno affascinanti.
Quella della nazionale di volley è una vera e propria “maledizione”.
Perché l’Italia maschile, nella pallavolo, è sempre stata un pezzo grosso. Tre vittorie ai Campionati mondiali (1990, 1994, 1998), una Coppa del Mondo, addirittura sei titoli Europei.
Medaglie d’oro alle Olimpiadi? Zero. E quelle d’argento fanno quasi più male delle volte che all’Olimpiade la squadra non è nemmeno riuscita a qualificarsi.
Basta rivedere le facce da funerale degli azzurri sul podio di Atlanta 1996 per capirlo. Avevano perso contro l’Olanda 3 a 2 al termine di una battaglia di oltre due ore: 16 a 14 nel set decisivo, dopo una rocambolesca serie di muri e difese.
E, se non bastasse, lo si può leggere sul volto dell’opposto Andrea Sartoretti al fischio conclusivo della finale di Atene 2004, persa 3 a 1 contro il Brasile.
Proprio Sartoretti, il nostro letale opposto mancino, è l’uomo simbolo di questo traguardo sfiorato. Andrea era anche soprannominato “SartorACE” perché “Ace”, in inglese, è il termine per identificare il punto diretto in battuta, la sua specialità.
Lui le due storiche finali le ha giocate, e perse, entrambe.
Nel momento decisivo del quarto set l’attaccante brasiliano Giba, in stato di grazia durante l’Olimpiade di Atene 2004, sfoderò due tremende schiacciate sul nostro libero Damiano Pippi. Ironia del destino, fu proprio Sartoretti, nel tentativo di compiere un salvataggio, a mettere la mano al di là della rete e commettere fallo. Fu il match point che valse la medaglia d’oro per i verdeoro.
Mentre i brasiliani esultavano, le telecamere indugiarono, forse per caso, sulla maglia numero 7 di Sartoretti: era piantato in mezzo al campo con lo sguardo perso nel vuoto. I compagni di squadra gli scorrevano davanti uno a uno per andare a fare il “saluto” con gli avversari.
È l’immagine che più di ogni altra racconta l’emozione di un uomo che vede il sogno di una vita spezzarsi davanti agli occhi. Andrea Sartoretti, dopo aver regalato ai tifosi italiani innumerevoli gioie ed emozioni, diede il suo addio alla maglia azzurra proprio quell’anno, con una preziosissima medaglia d’argento al collo, che però pesava come un macigno.
In questa storia olimpica non c’è lieto fine, ma quell’oro irraggiungibile è ancora oggi una grande motivazione per la nazionale italiana: il sogno di una vita per tutti i pallavolisti. E quando lo conquisteranno, perché prima o dopo succederà, sarà una giornata che entrerà nella storia.
Chissà, magari a Rio 2016.