Silenzioso, austero, determinato, orgoglioso e vincente, maledettamente vincente. Un campione nella vita ancor prima che nello sport, è questa la definizione più calzante quando ci si accosta ad un monumento dello sport italiano come Abdon Pamich. Il più grande marciatore azzurro di tutti i tempi ha imparato fin da piccolo cosa voleva dire crescere in fretta e passare lunghi momenti della propria giovinezza nella più profonda sofferenza, soprattutto interiore.
Classe 1933, Pamich è nato a Fiume, città cosmopolita, affacciata sull’Adriatico, crogiuolo di culture differenti che trovavano in quella italiana l’ideale sintesi. A 13 anni, con tutta la sua famiglia, viene scacciato dalla terra che gli ha dato i natali e rinchiuso in un campo di raccolta a Novara dove le sofferenze si sommano all’amarezza di non vedersi accettato, riconosciuto, nemmeno da coloro che dovrebbero essere i suoi connazionali. Per lui e per il fratello Giovanni sono momenti duri e complicati, con la mente rivolta al passato e carica di dubbi per il futuro. Sarà Genova ad imprimere una svolta alla sua esistenza. In questa città, infatti, suo fratello pratica la marcia a livello giovanile sotto l’egida di Giuseppe Malaspina; un giorno, quasi per caso, anche Abdon comincia a marciare. E marcerà, sotto ogni aspetto, per tutta la vita.
Con l’aiuto degli allenatori, Malaspina prima e Dordoni poi, prende sulle sue spalle l’onere o l’onore dell’eredità sportiva di altri due grandi marciatori italiani: Fernando Altimani, bronzo a Stoccolma 1912, e Ugo Frigerio per ben tre volte capace di vincere l’oro olimpico nella disciplina. All’inizio della sua carriera Abdon si cimenta sia nei 20 km che nei 50 km, distanze poi coperte nella prima rassegna olimpica a cui partecipa, Melbourne 1956. La prima grande affermazione arriva quattro anni più tardi, a Roma 1960, con il bronzo nella 50 km. Ha inizio il suo, personalissimo, “quinquennio aureo”, che prosegue già nel 1961 con lo strepitoso record delle 30 miglia coperte in 4h 04’ 56” 8 seguito dal record nei 50 km in 4h 14’ 02” 4, per un totale di 125 giri di pista.
Sul tetto del mondo
L’anno di grazia 1962 vede Pamich laurearsi campione europeo nei 50 km di marcia nell’edizione disputatasi a Belgrado. D’ora in poi questa distanza diventa quella prediletta dal fiumano che la raffina sempre più, con un unico obiettivo: vincere l’Olimpiade. L’appuntamento con il destino porta la data del 18 ottobre 1964. A Tokyo il clima è pessimo, piove e c’è vento. In realtà queste sono condizioni che esaltano Abdon, abituato già da tempo a marciare, anche in allenamento, a queste temperature. La selezione naturale fa emergere l’azzurro e il 25enne britannico Vincent Paul Nihill, anche lui a suo agio sotto i nembi. Sembra profilarsi un avvincente testa a testa quando, a meno 12 km dall’arrivo, Abdon accusa una crisi intestinale dopo aver bevuto un thè freddo pochi chilometri prima. Nihill ne approfitta e guadagna 40 metri che, in una disciplina come questa, possono risultare fatali. Il nostro però riesce a recuperare dopo aver assecondato le richieste del suo corpo, opportunamente celato dietro due addetti del servizio d’ordine giapponese. Parte la rimonta sul britannico che si conclude con la vittoria di Abdon con addirittura 19” di vantaggio. Terzo è lo svedese Ingvar Petterson. La forza e la grinta con cui il fiumano strappa il nastro dell’arrivo è una commistione di emozioni e sensazioni, emblema del passato e del presente che si intrecciano…
Dopo questa sensazionale affermazione il quinquennio aureo prosegue con l’affermazione europea a Budapest due anni dopo, e con il ruolo, definito dallo stesso come il più grande onore di sempre, di portabandiera a Monaco 1972. L’anno seguente cala il sipario sulla stratosferica carriera dell’azzurro, con la bellezza di 43 presenze nella selezione dei marciatori collezionate in 19 anni consecutivi di militanza. Il suo palmares annovera anche 40 titoli nazionali, suddivisi tra i 10 km, i 20 km e i 50 km.
Homo faber fortunae suae
Per molti atleti il ritiro dalle gare segna spesso un momento critico, di smarrimento, ma non per Pamich. La sua serietà e la sua continua voglia di migliorarsi, lo portano a studiare in Università. E anche qui egli ne esce da vincente, con l’abnegazione che lo ha sempre contraddistinto, conseguendo due lauree, rispettivamente in psicologia e sociologia. Gli torneranno molto utili. La sua professionalità infatti lo porta ad essere inserito nella squadra dei tecnici della nazionale italiana di pallamano.
L’altra grande vocazione di Abdon è la memoria, o meglio, la cultura della memoria di Fiume e di ciò che la città ha vissuto nei terribili anni quaranta del secolo scorso. Trasmettere alle nuove generazioni ciò che è stato diventa per lui una missione da assolvere giornalmente, sia nell’Archivio-museo storico fiumano a Roma, sia nell’Associazione Venezia-Giulia Dalmazia. In questo contesto egli è promotore di una marcia annuale, a Roma, ogni 10 febbraio, giorno della firma del Trattato di Parigi.
Pamich, campione nella vita e nello sport, esponente di una generazione d’altri tempi, purtroppo sempre più esigua, rappresenta, o dovrebbe rappresentare, per tutto lo sport italiano, la stella polare dell’uomo che si fa atleta e dell’atleta che fa dell’integrità morale il suo biglietto da visita.