Olimpiadi di Roma, 1960. Sono dei Giochi storici, con immagini rimaste nell’immaginario comune: tra tutte, Abebe Bikila che taglia il traguardo della maratona scalzo. Ma anche per la boxe sarà un anno da ricordare: un pugile italiano ventiduenne vince quattro incontri su quattro che gli valgono la medaglia d’oro dei pesi welter. Quel giovane impressiona il mondo della boxe che decide di premiarlo anche con la Coppa Val Barker, premio che viene assegnato al pugile dotato di migliori doti tecniche e stilistiche. Un grandissimo riconoscimento, che tra gli italiani può essere vantato solo da lui e da Patrizio Oliva e che vince a scapito di un altro pugile, americano, di colore, che ha appena vinto l’oro nei mediomassimi con uno stile di combattimento mai visto prima. Forse il nome Cassius Clay vi dice qualcosa…
Questa è la storia di Nino Benvenuti.
Nino, al secolo Giovanni, nasce a Isola, che nel 1938 era parte del territorio italiano. Come spesso accade in storie come queste, è il padre a instillare in lui l’amore per la boxe, che inizia a praticare a tredici anni. Fin dagli inizi dimostra un talento enorme, riuscendo ad arrivare in Nazionale, nel 1955, da imbattuto. Questo personale record verrà infranto solo l’anno successivo, in Turchia, in un incontro molto controverso: in molti sostenevano meritasse lui la vittoria, tanto che a più riprese la Federazione italiana tenterà, invano, di cancellare tale sconfitta dal suo palmarès.
È un anno difficile, il 1956: oltre a questa prima sconfitta, Nino quell’anno perde la madre. Come se non bastasse, viene scartato dai selezionati per le Olimpiadi che quell’anno si sarebbero tenute a Melbourne. Ma non importa. Non erano quelli i Giochi del suo destino. Il suo destino lo avrebbe spinto, dopo due ori europei vinti tra 1957 e 1959, alle già citate Olimpiadi casalinghe, con l’oro nei welter e quello “sgarbo” al futuro Muhammad Alì. Sarà il suo ultimo anno della sua carriera da dilettante, che chiude con un ruolino di 120 vittorie e una sola sconfitta.
Simile sarà la sua ascesa nel mondo professionistico: dopo aver vinto tutti e ventinove i match disputati, nel 1963 vince il titolo italiano dei pesi medi, il suo primo da professionista, battendo Tommaso Truppi. Dopo questa vittoria e la scalata della classifica mondiale, la stampa italiana inizia ad aver voglia di “derby”: inizia perciò a caldeggiare un incontro con Sandro Mazzinghi, grandissimo rivale di Nino e campione mondiale dei pesi superwelter, con cui i rapporti non saranno mai facili (ancora oggi, a distanza di decenni, l’ascia di guerra tra i due non è ancora stata sepolta). Alla fine, l’incontro ci sarà e verrà fissato il 18 giugno 1965 a San Siro: lo stadio sarà pieno come durante i migliori “derby della Madonnina”.
L’atmosfera è calda ben prima dell’ingresso sul ring: Mazzinghi, reduce da un grave incidente d’auto, accusa la Federazione di non avergli dato tempo di recuperare dall’infortunio; Benvenuti, dal canto suo, ribattette che Sandro aveva combattuto già diverse volte dopo quell’incidente e che fu lui, Nino, a dover accettare “condizioni improponibili” per il combattimento. Acredini che verranno riversate poi sul ring, dove Benvenuti riuscirà a mandare KO il rivale e conquistarne in titolo mondiale.
Subito dopo aver vinto il titolo europeo dei pesi medi, concederà a Mazzinghi la rivincita, prevista dal contratto. Teatro del match sarà questa volta Roma. Nino ne uscirà nuovamente vincitore, anche se ai punti: di nuovo Sandro non riconoscerà la legittimità della vittoria, accusando la Federazione di aver voluto far vincere il beniamino del pubblico.
Non c’è pace però per Nino, che si ritrova così detentore del titolo mondiale dei superwelter e italiano ed europeo dei pesi medi: proprio quest’ultimo riuscirà a difendere, poco dopo la rivincita con Mazzinghi, dal tedesco Jupp Elze.
Ben altro epilogo avrà invece la difesa del titolo mondiale dei superwelter: sfidato dal coreano Ki-Soo Kim, Nino volerà nel suo Paese per affrontarlo, ma troverà un incontro sulla cui regolarità aleggiano moltissimi dubbi. Durante la quattordicesima ripresa, mentre Benvenuti stava per mettere al tappeto il coreano, il ring improvvisamente collassa, interrompendo il match per un quarto d’ora e permettendo perciò al padrone di casa di riposarsi. L’incontro finirà perciò ai punti, con la vittoria (e quindi il titolo) assegnata incredibilmente proprio a Kim. Sarà questa trasferta a far maturare in Nino la decisione di lasciar perdere la categoria superwelter e di concentrarsi solo sui medi.
Si arriva perciò nel 1967, anno in cui inizia la rivalità e profonda amicizia con Emile Griffith, che sarà anche padrino alla cresima di uno dei figli di Nino, e al tempo campione mondiale dei pesi medi. L’incontro verrà fissato il 17 aprile 1967 al Madison Square Garden, ma non sarà tanto il talento di Benvenuti, anzi ritenuto non all’altezza dell’americano, a convincere il comitato, bensì un mero razzismo: la speranza era che un bianco, dai capelli biondi e gli occhi azzurri, riuscisse a trionfare sul campione di colore.
Nino inizierà ad allenarsi in America, dove nessun europeo aveva mai vinto il titolo mondiale. Mentre perciò negli States la vittoria di Griffith non viene nemmeno messa in discussione, in Italia l’eccitazione è alle stelle: la RAI, che trasmetterà l’incontro via radio, registrerà tra i 16 e i 18 milioni di ascoltatori, cifre toccate solo da Italia – Germania 4-3.
L’incontro sarà di altissimo livello e, nonostante i pronostici, Benvenuti trionferà ai punti, aggiudicandosi dieci round su quindici e diventando il primo italiano campione del mondo dei pesi medi WBC e WBA (le due principali federazioni mondiali di boxe).
Il tempo per festeggiare però è minimo: anche in questo caso nel contratto firmato per l’incontro è presente una clausola di rivincita, che si sarebbe disputata il 29 settembre 1967 allo Shea Stadium: nuovamente i pronostici, questa volta ribaltati, si riveleranno errati. Nino subirà la frattura di una costola al secondo round: il pugile descriverà l’esperienza come “drammatica” ed estremamente dolorosa, ma l’orgoglio e il rifiuto di essere messo KO lo terranno in piedi fino al verdetto ai punti, con Griffith nuovamente campione del mondo.
Il “pareggio” sui due incontri non può che prevedere una “bella”, nuovamente disputata al Madison Square Garden: lo stadio sembra essere un portafortuna per Benvenuti che, dopo un incontro questa volta estremamente equilibrato, strapperà definitivamente il titolo con un verdetto al limite della parità.
Mentre il pugile italiano difende il titolo dei medi dagli assalti avversari, punta gli occhi anche su quello dei mediomassimi, detenuto dal nigeriano Dick Tiger, detentore proprio dei titoli medi prima di Griffith. Una frattura alla mano subita nella prima ripresa debiliterà pesantemente Benvenuti, che perderà il match ai punti.
Sicuramente più fortunato nella difesa del proprio titolo, che riesce a difendere per ben quattro volte: i primi due, contro Don Fullmer e Fraser Scott, senza nemmeno troppa fatica. La terza difesa racchiude in sé invece tutta l’essenza del pugilato di Benvenuti: forza, resistenza, orgoglio. A sfidarlo è Luis Manuel Rodríguez, ex campione dei welter (anche in questo caso perso poi contro Griffith) che atterra in Italia con un palmarès da brividi: 96 vittorie e solo 7 sconfitte. Il match viene definito dallo stesso Nino “proibitivo”, con Rodríguez che tiene le redini dell’incontro e ferisce più volte al viso il campione. Nonostante un esito che sembrava ormai scritto, Benvenuti manda al tappeto lo sfidante con un singolo, potentissimo gancio sinistro.
L’ultima difesa del titolo sarà contro Tom Bethea, che in un precedente incontro “amichevole” aveva fratturato una costola a Nino, riuscendo a sconfiggerlo. La voglia di riscatto è enorme e l’italiano riesce a mandare KO l’australiano all’ottavo round.
Quando ormai sembrava impossibile scucire al campione le cinture, alla quinta difesa Benvenuti cade. Scelse l’allora carneade Carlos Monzón (primo nel ranking WBC, sesto WBA), argentino dall’invidiabile ruolino (67 vittorie, 3 sconfitte, 9 pareggi) ma che mai era stato lontano dalla patria anche a causa di ristrettezze economiche (lo stesso Nino lo definì “un oggetto misterioso”). Monzón, come molti pugili, si dichiara sicuro di sé (celebre la frase “Da questo ring scenderò o vincitore o morto”), mentre Benvenuti inizia a dimostrare un calo fisico dovuto all’età e alla lunga carriera pugilistica.
Questo logorio si farà evidente durante l’incontro, in cui l’argentino mostrerà tutta la sua forza ed esplosività fisica, riuscendo a mandare KO l’eroico Nino. Questa volta sarà l’italiano a poter sfruttare la clausola di rivincita, ma non andrà come sperato: nonostante un’ottima preparazione atletica, l’incontro durerà solo tre riprese. Lo staff di Benvenuti infatti, vedendo il proprio pugile che, preso dalla troppa foga, stava rapidamente perdendo terreno, deciderà di gettare la spugna sul ring per evitare una pesantissima umiliazione, fisica e psichica.
Dopo quest’ultima sconfitta e dopo i quattro anni da campione del mondo, Benvenuti deciderà, nel 1971, di lasciare il pugilato piuttosto che ricominciare da categorie più basse.
La sua forza e il suo orgoglio, oltre al suo ruolino da professionista con 82 vittorie, un pareggio e 7 sconfitte, lo rendono uno dei pugili, italiani e non, più forti di tutti i tempi.