”A Saint Louis non gareggiò neppure un italiano”: per quante volte, quando venivano rievocate quelle insolite e pittoresche Olimpiadi, abbiamo sentito questa frase? Tante, tantissime, decisamente troppe, oppure manco una, dipende dal livello di conoscenza delle storie a cinque cerchi.
Ma tant’è, il non aver avuto italiani in gara nei Giochi del 1904 ha rappresentato per anni una delle grandi certezze dell’Italia sportiva. Ma anche le più grandi certezze sono poi destinate a vacillare, ed è successo proprio questo: perché un italiano c’era eccome nella città eletta a sede olimpica in concomitanza dell’Esposizione Mondiale, e in quelle Olimpiadi diventate ben presto il simbolo di come non si deve gestire questo tipo d’opportunità.
E qui un excursus su questi Giochi è quasi d’obbligo: sorvolando sul lunghissimo viaggio in un’epoca ancora pionieristica, e sul fatto che la modesta St. Louis avesse battuto la concorrenza di Chicago e New York, ci si trova infatti di fronte ad un’Olimpiade nella quale arrivano come sperimentali degli sport insoliti come il lacrosse ed il roque, oltre 500 atleti su 687 sono di marca USA (paese che vincerà 76 ori su 90, facile così) e De Coubertin aveva vietato la partecipazione delle donne (dopo una fugace esperienza nel 1900). E, come se non bastasse tutto ciò, ecco qualche leggera difficoltà logistica, per una città totalmente impreparata all’evento: una pista d’atletica di oltre 500 m (cosa vuoi che sia?) e coperta di cenere, il nuoto gestito in un bacino artificiale (piscina e/o acquitrino) all’interno dell’università, che tra l’altro ospitava il bagnetto degli animali dello zoo. Un bacino che, con la sua ”pulizia”, causò 4 morti per tifo nella pallanuoto: e poi, una maratona nella quale il vincitore (Lorz) viene squalificato per aver percorso alcuni km in auto, il secondo (Hicks) invece si era dopato in maniera alternativa a suon di albume d’uovo, brandy e stricnina e per poco non resta sul posto all’arrivo, e il vincitore morale è il quarto, un cubano velocissimo (Carbajal) che dovette cedere nel finale alle vesciche causate dall’aver corso 42 km con degli stivaloni da cowboy, ed ai crampi allo stomaco dovuti a delle mele marce mangiate come spuntino.
Il tutto corredato da quell’abominio delle ”giornate antropologiche”, il trionfo del razzismo che fece vergognare De Coubertin (per la cronaca, il CIO aveva optato per Chicago e fu Roosevelt a cambiare le carte in tavola), e venne presentato come esperimento scientifico che metteva di fronte le varie etnie (indiani, filippini, pigmei ecc) in discipline mai viste, nel più classico degli sberleffi: insomma, un quadro decisamente pittoresco, che però aveva visto la partecipazione di un italiano, contrariamente a quello che è stato il pensiero generale per tantissimi anni.
E quell’italiano risponde al nome di Frank Bizzoni, il protagonista della nostra storia olimpica: o per meglio dire, Francesco Filippo Bizzoni, quello che è il suo vero nome (vagamente austroungarico), sorvolando sul soprannome dato dagli americani all’emigrante italiano che partecipò a quei Giochi, e rappresenta il nostro unico alfiere a St. Louis. Bizzoni nasce a Lodi il 7 maggio 1875, ma la sua vita ha una significativa svolta nel 1898, quando lascerà l’Italia per trasferirsi a Bournemouth (Inghilterra) per lavorare come cameriere e tentare di fare fortuna: cinque anni a tinte UK e poi via, verso il nuovo mondo, con un approdo a New York nel novembre 1903 che rappresenterà il suo trasferimento definitivo, eccezion fatta per una capatina tricolore nel 1906, giusto il tempo di un matrimonio e di una visita ai parenti.
Frank però, oltre al duro lavoro, aveva un’altra passione, quella del ciclismo su pista. Fu proprio questo sport che lo porterà a partecipare ai Giochi USA del 1904 nel quarto di miglio, una disciplina che allora era parecchio in voga, e che si disputava su una distanza pari a 402,33 m: il Francis Field della Washington University rappresentava il teatro di gara. Una batteria gli era valsa la qualificazione, ma poi una mesta eliminazione in semifinale gli tolse la gioia di una potenziale medaglia.
E quell’essere stato iscritto come atleta USA, vista la sua residenza a NY, a togliergli per molto tempo la gioia di essere l’unico azzurro alle Olimpiadi americane, per una nazionalità poi correttamente ristabilita solo nel 2008, a sancire la partecipazione italiana a tutte le edizioni della rassegna a cinque cerchi: una medaglia mancata, quindi, per Bizzoni, che però ormai si era inserito alla perfezione in America, e decise di non tornare indietro.
Il portacolori azzurro, infatti, combattè per l’esercito americano nella prima guerra mondiale, e nel 1917 divenne ufficialmente cittadino USA, per poi proseguire una vita tranquilla sino alla triste morte sopraggiunta il 25 dicembre del 1926, all’età di 51 anni. Bizzoni però aveva lasciato il segno a New York, e la locale società ciclistica lo celebrò istituendo nel 1928 il memorial ”Francesco Bizzoni”, una corsa in suo onore.
In onore di un ragazzo partito da Lodi e finito a New York prima e a Saint Louis da olimpionico poi (sul suo viaggio verso la città sede dei Giochi, regna ancora il mistero), ma soprattutto dell’unico azzurro ai Giochi del 1904: una storia che non va assolutamente dimenticata, quella di Bizzoni, oscurata per anni da un errore di nazionalità e da quell’edizione ricordata solo per i suoi risvolti pittoreschi…