Erano i primi giorni di marzo quando Gianmarco Tamberi, per tutti Gimbo, si laureava campione d’Italia nel salto in alto. Un titolo abbastanza scontato per uno come lui, ma che avrebbe dato il là a un inizio di stagione straordinario.
Immediatamente dopo lo contattai e lui, gentilissimo, mi rispose in pochi minuti. Ci accordammo per un’intervista nei giorni seguenti.
Fu la chiacchierata più bella nella mia, finora breve, vita da direttore responsabile di Azzurri di Gloria. Capii subito che stavo parlando con una persona dotata di immenso talento ma che, allo stesso tempo, nonostante quella strana barba fatta a metà e un po’ di sana follia, rimaneva concentrata a mille sul proprio obiettivo riuscendo a farsi amare da tutti, bambini e adulti. Quel sorriso e quella simpatia trascinanti di cui l’atletica leggera italiana, e più in generale tutto lo sport azzurro, avevano maledettamente bisogno.
Da quel giorno fu una crescita senza sosta: mondiali indoor a Portland, europei ad Amsterdam e Diamond League a Montecarlo, la sua vittoria più triste.
Dopo ogni suo successo mi premuravo di scrivergli su WhatsApp e lui, nonostante fossi solo uno dei tanti, aveva sempre il tempo di rispondermi.
Vedere il suo volto dolorante e piangente dopo quel maledetto tentativo a 2.41 sulle pedana dello stadio monegasco Louis II mi ha gelato il sangue e mi ha fatto cadere nello sconforto, proprio come se tutto questo fosse successo a un mio caro amico.
È proprio questo il merito di Gimbo: sapere coinvolgere tutti e portare tutti, o quasi, dalla sua parte. In molti lo hanno criticato per le sue parole su Alex Schwazer. Erano le parole di un atleta della medesima Federazione che, come tanti, era stato preso in giro dal marciatore altoatesino qualche anno prima. Era un atleta, Gianmarco, che aveva fatto rialzare la testa a tutto il movimento azzurro dopo quel presunto caso doping, poi rivelatosi un’autentica pagliacciata, che aveva colpito la FederAtletica lo scorso dicembre.
Da quelle sue dichiarazioni su Schwazer, Gimbo attirò su di sé molte antipatie. Antipatie che, nonostante la seconda accusa di doping per Alex con conseguente impossibilità a partecipare a Rio 2016, si sono acuite, in modo morboso e antisportivo, dopo l’infortunio alla caviglia di venerdì scorso.
Basta andare sulla sua pagina Facebook per leggere i commenti di alcuni che recitano “è il karma, te lo sei meritato” e altre idiozie simili. A questo punto chiedo una cosa a questi signori: avete capito la differenza tra saltare un’Olimpiade (anzi, ora due) per doping e il dovervi rinunciare per un infortunio al termine di una stagione da numero uno al mondo?
Siamo sicuri che se Tamberi avesse strappato l’oro nel salto in alto a Rio, questi grandi cultori dello sport sarebbero stati i primi a saltare sul carro del vincitore. Purtroppo, e dico purtroppo, questo non sarà possibile perché Gimbo non potrà volare in Brasile a dimostrare quello che tutti sappiamo: che è il più forte di tutti e che, nonostante tutto, aveva molti più estimatori che denigratori.
Alcuni gli hanno anche contestato di aver esagerato a tentare quel 2.41 nonostante vittoria e record italiano già in tasca. Il punto è un altro: la sfortuna è la sfortuna e quando vuole colpire non c’è niente a cui appellarsi. Quante volte avrà provato quel salto in allenamento senza subire alcun danno? Centinaia? O forse migliaia?
Il crack di venerdì alla Diamond League ha gettato nella tristezza milioni di connazionali. Mai nessuno, nella storia dell’atletica azzurra, ha saputo ricevere così tanto affetto sincero da parte degli italiani ed è per questo che da quel giorno siamo tutti un po’ più tristi.
L’Italia sportiva ha perso una grande occasione. Una sua vittoria avrebbe definitivamente fatto avvicinare molti bambini e ragazzi alla disciplina del salto in alto.
Io però voglio essere ottimista e pensare che il tempo sia galantuomo. Quattro anni possono essere lunghissimi, se non addirittura eterni. Ma a Tokyo 2020, caro Gimbo, ti riprenderai tutto con gli interessi e potremo nuovamente vederti con il volto che tutti abbiamo imparato a conoscere in questo, comunque meraviglioso, 2016.
Ricordati di Jury Chechi, il quale saltò ben due edizioni dei Giochi per infortunio (Barcellona ’92 e Sydney 2000) proprio quando era il migliore al mondo, proprio come te. Avrebbe dovuto vincere 4 medaglie olimpiche. Purtroppo ne vinse solo due.
Pensa a guarire, caro Gimbo, e a sorridere nuovamente. I tuoi tifosi, noi compresi, saranno lì ad aspettarti, anche se non avrai quella maledetta medaglia al collo.