Sono passati 44 anni dalla storica volata di Barcellona, che incoronò Felice Gimondi campione del mondo. Riviviamo quella straordinaria pagina di ciclismo azzurro.
LA STOCCATA DI FELICE
Mangia e bevi, sali e scendi. Il percorso del Mondiale di ciclismo 1973 a Barcellona non dà tregua, non concede pause. Costringe i protagonisti a non distrarsi e ad inventarsi la strategia vincente lungo i suoi 248,6 km. La collina catalana del Montjuic diventa il punto cruciale della corsa. Il favorito è sempre il solito: Eddy Merckx. Il Cannibale è in una delle sue ultime annate di grazia e può contare su una squadra completa. Lo sfidante resta l’inossidabile Felice Gimondi. L’azzurro si misura ancora una volta contro la sua nemesi, contro quel campionissimo capace di offuscare anche lui, talento cristallino bergamasco, nelle sue stagioni di dominio incontrastato. Eppure, anche il belga è umano, anche lui può perdere. Felice ripete dentro di sé questo mantra, portandolo anche lungo le strade catalane. Ed in effetti si verifica qualcosa di inaspettato: Merckx resta contuso da un sasso sollevato dal passaggio della corsa. Il ginocchio colpito fa male, ma il fuoriclasse non lo dà a vedere e reagisce a modo suo, con il ricongiungimento al gruppo dei favoriti ed un attacco all’undicesimo dei diciassette giri previsti. Ritmo impressionante e selezione fatta. Resistono solamente gli spagnoli Domingo Perurena e Luis Ocaña, l’olandese Hendrik Zoetemelk, gli azzurri Gimondi e Giovanni Battaglin e l’altro belga, il velocissimo Freddy Maertens. Merck sgrana ulteriormente il gruppo. Troppo evidente il suo strapotere. Eppure, nella foga e nella convinzione di vincere nuovamente, il belga non si gestisce a dovere e commette un errore di valutazione. Infatti, il suo forcing non stacca Gimondi, Ocaña e Maertens. Sono loro a giocarsi il titolo. Felice corre come sempre, con tutta la generosità di cui dispone. Appena il Cannibale cambia ritmo, lui si piazza alla sua ruota e non lo lascia andare. È una vera e propria marcatura. Eppure contro il più forte bisogna aggrapparsi alla volontà, alla tenacia, consapevole che potrebbe non bastare. Eppure, bisogna mettere da parte il senso di frustrazione e mulinare sui pedali, cambiare i rapporti quasi in simbiosi con il rivale, cercando di sorprenderlo e di non farsi sorprendere, incrociando il suo sguardo, sperando di intravvedere difficoltà negli occhi del rivale e che lui a sua volta non comprenda quanto male fa l’acido lattico sempre più insistente nei muscoli. Quel 2 settembre 1973 Felice scorge fatica nello sguardo e nella pedalata del belga. Merckx capisce che la partita a poker stavolta non gira a suo favore, ma tenta di bluffare ugualmente facendo tirare la volata al proprio compagno Maertens, che pure è più fresco e rapido nello sprint. Scelta errata perché quando il secondo belga tenta l’allungo all’ultimo chilometro Eddy non riesce a seguirlo rapidamente. È un attimo: Felice capisce tutto al volo, scavalca Ocaña ed il rivale di sempre, affianca Maertens e lo salta proprio sul traguardo. L’Italia esulta: Felice è sul tetto del mondo, come Alfredo Binda, Learco Guerra, Fausto Coppi, Ercole Baldini e Vittorio Adorni prima di lui.
GRANDISSIMO NONOSTANTE IL CANNIBALE
La vittoria al Mondiale è soltanto una delle pagine più belle della carriera di un campione assoluto come Felice Gimondi. Nato a Bergamo il 29 settembre 1942, ha vinto tutti i Grandi Giri, oltre alla conquista di Classiche monumento e del titolo iridato. Risultati straordinari che denotano la sua incredibile duttilità ed il suo senso di adattamento per competizioni diverse tra loro. Ovviamente rimane il dubbio di quanto avrebbe potuto vincere senza trovarsi di fronte “quello là”, come l’orobico soprannominava Merckx. Sicuramente, Felice avrebbe trionfato molto di più, ma non sarebbe entrato nel cuore dei tifosi. Sono le rivalità ad accendere lo sport, ad entrare nella leggenda e nella memoria. Senza un grande avversario, i numeri rimangono cifre prive di valore. Gimondi non sarebbe lo stesso senza Merckx e viceversa. I trofei vinti dall’uno e dall’altro assumono un’importanza notevole proprio perché la battaglia era tra di loro, due campionissimi, trasposizione ciclistica degli omerici Achille ed Ettore. Cosa ne sarebbe stato del Pelide se non avesse trovato sulla sua strada il figlio di Priamo? Allo stesso modo, Eddy e Felice possono solamente ritenersi grandi ripensando alle loro interminabili sfide, mai sfociate in una rivalità sgarbata, ma confinate in un’amicizia via via sana e genuina. Forse è anche per questo che ora, quando ripensa a quel belga capitatogli dinnanzi nel suo cammino, Gimondi ci scherza sopra, come in occasione della chiacchierata a Lido Cult sul lungomare di Lido di Camaiore: <<Quando correvo con lui, quello là ha vinto 5 Giri, 5 Tour, una Vuelta, 7 Milano-Sanremo, 3 Roubaix, 5 Liegi… E, ripensandoci, sai che dico? Ma vaffa…! (ride ndr.)>>.