Scherma: la straordinaria carriera di Giovanna Trillini, leggenda del fioretto femminile italiano. Dall’incredibile oro di Barcellona alla finale tutta italiana di Atene 2004, fino a oggi.
Giovanna Trillini: l’inizio della leggenda del fioretto femminile azzurro
“O scherma, o tennis”. Inizia così, probabilmente per una decisione del fato, la gloriosa carriera di Giovanna Trillini, tra gli schemidori più medagliati di sempre alle Olimpiadi, seconda tra le atlete in pedana ai Giochi, alle sole spalle della compagna di Nazionale, e rivale, Valentina Vezzali.
Come per quest’ultima, l’avventura di Giovanna inizia a Jesi, nelle Marche, una delle capitali mondiali della scherma, destinata a diventare la città ad aver vinto più medaglie olimpiche nella storia. E comincia quasi per caso: perché tale sport alla famiglia Trillini viene consigliata quale sport per recuperare dopo la rottura della clavicola subita dalla piccola di otto anni, giocando a calcio col fratellino.
La scherma non solo è la disciplina della cittadina in provincia di Ancona, ma è anche quella di famiglia, dei fratelli Ezio e Roberto. E, ciliegina sulla torta, dello zio, che è il fondatore del Club Scherma Jesi (palmares da ventitré medaglie olimpiche; tra i top player in attività figurano Elisa Di Francisca, Alice Volpi, Francesco Ingargiola, Tommaso Marini e Tommaso Marini), nonché uno degli innumerevoli guru della scherma azzurra, Ezio Triccoli. A quest’ultimo, la disciplina fu insegnata negli anni Quaranta, durante la seconda guerra mondiale, da un sottotenente inglese, come lui imprigionato nel campo di Zonderwater, Sudafrica: gli allenamenti vennero svolti con dei bastoni di legno.
Un inizio tra molte vittorie e alcune delusioni
Gli inizi di Giovanna Trillini sono, a dir poco, incoraggianti: inizia a vincere prestissimo. A sedici anni è la più giovane campionessa assoluta italiana e, nello stesso anno, ai Campionati del mondo under-20 di Stoccarda 1986, a sorpresa, conquista la medaglia d’argento. Il primo podio internazionale “tra i grandi” non si fa attendere: ai Mondiali assoluti di Sofia del medesimo anno, infatti, è seconda nella gara a squadre.
Anche le delusioni, però, parte del percorso di crescita d’ogni campione, non tardano ad arrivare. Nel 1987, ai Mondiali Losanna, esce inaspettatamente ai gironi, performance che le costa il posto nella successiva gara a squadre. Nel 1988, però, il colpo più duro: lo staff tecnico non la convoca alle Olimpiadi di Seoul; al suo posto vengono preferite Dorina Vaccaroni, Margherita Zalaffi, Francesca Bortolozzi, Lucia Traversa e Annapia Gandolfi, che saranno medaglia d’argento nella gara a squadre.
Più che due sconfitte, però, Losanna e Seoul diventano due punti fermi da cui ripartire: la lezione, sportiva e di vita, è dolorosa, ma Giovanna Trillini la apprendere. Da quel momento, infatti, è una pioggia di successi: nel 1989 conquista l’oro individuale ai Campionati del mondo giovanili di Atene e il terzo posto individuale alle Universiadi di Duisburg, mettendo la propria firma anche sul titolo a squadre della competizione giovanile in Renania e sul bronzo azzurro dei Mondiali assoluti di Denver; nel 1990 sfiora l’affermazione individuale ai Mondiali di Lione, ma a quell’argento fa seguire la medaglia d’oro nella gara a squadre sulle pedane francesi. Il 1991 è l’anno della definitiva consacrazione: oltre all’en plein alle Universiadi, oro sia nell’individuale che nella gara a squadre, conquista la prima Coppa del Mondo (da quel momento, nelle successive ventotto edizioni, l’Italia la vincerà ben venticinque volte) e il primo titolo del mondo assoluto nel contesto individuale, complici alcune autorevoli rimonte da schermitrice navigata, non certo da ventunenne; ai Mondiali di Budapest bissa anche l’oro a squadre dell’anno precedente.
Dall’alto del tetto del Mondo, lo sguardo di Giovanna Trillini si proietta immediatamente all’estate del 1992: a Barcellona la attende sua prima Olimpiade. Tuttavia, il destino le riserva l’ennesima sfida: lei accetterà.
Barcellona 1992: l’oro impossibile
“Allora tu volevi andare alle Olimpiadi?”. Che domande? Ovviamente, quale atleta non vorrebbe andarci? Quale schermidore che ha vinto Coppa del Mondo e Mondiale non vorrebbe mettersi alla prova nel più prestigioso dei palcoscenici? “Scordatele”.
Marzo 1992. Roma. Giovanna è sul lettino d’un ospedale e sta aspettando i risultati di una risonanza. Due settimane prima, il 21 febbraio, infatti, ha sentito un dolore lancinante, tanto forte da dover abbandonare quei tifosi che così calorosamente la stavano sostenendo. Era a Torino, tappa tra le grandi classiche del circuito della Coppa del Mondo di fioretto, quando il ginocchio sinistro cede. Ovviamente è forfait, ma resta da capire il perché. È stata immediatamente trasportata in ospedale, ma i medici piemontesi non si sono sbilanciati. A Roma, però, passati una ventina di giorni circa, la diagnosi è certa: “Lesione del legamento crociato anteriore”. Generalmente, quando a uno sportivo capita un infortunio del genere seguono domande quali: “carriera finita?”; oppure pessimismo dal sottofondo realista: “non tornerà più quella di prima…”. Altre volte, ci si limite alle certezze: “Stagione finita”. Che nel caso di Giovanna, a cinque mesi da Barcellona 1992, significa, nelle parole di quel medico: “Le Olimpiadi? Scordatele”. Ma l’azzurra ci crede. E, fortunatamente, non è la sola. Con lei il preparatore atletico Bruno Cacchi e il medico Arrigo Giombini. Oltre, ovviamente, al maestro Stefano Cerioni.
Dapprima la fisioterapia, dunque il lavoro di potenziamento: allenamenti durissimi, in semi solitudine, ovviamente dolorosi, necessariamente costanti. Da coniugarsi a un fitto percorso tecnico, poiché urge, contestualmente, rivoluzionare il suo stile.
30 luglio 1992. Palacio de la Metalurgia di Barcellona: va in scena la finale del fioretto femminile individuale. Giovanna è in pedana, arma in mano. E, pur celato dal bianco della divisa che ogni schermidore in pedana indossa, si intravede un vistoso tutore, anche perché ha le dimensioni di un rostro della battaglia di Milazzo. Il supporto è scomodo, pesante, ma l’ha alleggerita da un’operazione che era forse la via più semplice, e logica, ma lontana dai Giochi. Trillini ha sconfitto in semifinale la temibile ex sovietica Sadovskaia; la attende la cinese Huifeng Wang. Un’outsider. Un po’ come l’azzurra, che sulla carta sarebbe una “predestinata”, se non fosse che il destino, a più riprese, ha cercato di metterla ko. La teoria, tant’è, la vorrebbe a Jesi, non certo in Catalonia: in pratica, nonostante tre sconfitte nelle prime sei gare di giornata, è lì, a giocarsi l’oro, tra le migliori del mondo dopo un percorso arduo, tanto nei mesi che hanno preceduto la rassegna, così in quel caldo giorno di fine luglio.
La portacolori FederScherma parte bene, ma la cinese, che fa della parata-risposta la sua arma, rimane a contatto, aggiudicandosi per 6-5 il primo assalto. Il secondo assalto, invece, è azzurro: 5-3; freddezza, letture e determinazione: le doti di Trillini prevalgono. Tutto si decide al terzo e ultimo assalto. La cinese mette la prima stoccata, ma la jesina recupera e si porta avanti: 3-1. Sembra fatta, ma non è così, perché Wang non si arrende: 3-3, a sette secondi dalla fine. Si decide, tutto, con una stoccata: sono due minuti sostanzialmente eterni, con gli spettatori in religioso silenzio e le atlete a studiarsi. Giovanna attacca, e la luce verde, la sua, precede la rossa di Wang. L’azzurra si toglie immediatamente la maschera, alza le braccia, urla e guarda a fondo pedana: è lì che si dirige, dai suoi allenatori, dalle sue compagne, tenendo le braccia al cielo, prolungando quell’urlo di gioia. Giovanna Trillini, dopo Irene Camber nel 1952 e Antonella Ragno nel 1972, è medaglia d’oro olimpica nel fioretto femminile individuale.
Qualche giorno dopo seguirà anche l’oro a squadre, insieme alle compagne Margherita Zalaffi, Francesca Bartolozzi, Diana Bianchedi e Dorina Vaccaroni: è il primo nella storia del fioretto femminile italiano a squadre (ne seguiranno altri tre, nelle successive quattro rassegne). E Giovanna Trillini è la prima schermitrice azzurra due volte d’oro nella medesima rassegna olimpica.
Atlanta 1996 e Sydney 2000: dall’oro da portabandiera al sacco australiano
Se vincere è difficile, ripetersi lo è ancora di più. Specie ad appena ventidue anni. Sulla strada per le Olimpiadi di Atlanta 1996 vince due Coppe del Mondo consecutive, nel ’94 e nel ’95, chiudendo alle spalle di una rampante, giovane Valentina Vezzali nell’anno dei Giochi; ai Mondiali de L’aja 1995 torna sul podio individuale, al cui argento appaia l’oro nella gara a squadre, dopo l’argento di Atene 1994, anno in cui conquista il primo piazzamento individuale europeo, un bronzo a Cracovia.
Nel centenario olimpico, Giovanna Trillini è la portabandiera dell’Italia; a ventisei anni, come Nedo Nadi. In squadra con lei, a formare il “Dream Team”, calco del podio della Coppa del Mondo di quell’anno, Valentina Vezzali e Francesca Bortolozzi. Tailleur bianco, polo azzurra e tricolore al collo, sfila con passo cauto, per paura, confesserà, di inciampare. Nessun timore, nonostante la pressione, invece, in pedana, dove da anni è più che a suo agio: medaglia di bronzo nell’individuale, oro nella gara a squadre. Al cui termine, Andrea Magro, CT dell’arma futuro Commissario tecnico della Nazionale, dice: «Giovanna, non si offendano gli altri azzurri, è inequivocabilmente l’atleta più importante dello sport italiano. La sua determinazione, la sua capacità di agire e, soprattutto, di reagire sono i valori che hanno determinato il successo della gara a squadre. Se non ci fosse stata lei a rimetterci in corsa contro l’Ungheria», 45-42 in una rocambolesca semifinale, il match più sofferto delle azzurre, «non celebreremmo oggi l’impresa di festeggiare la continuità di questa squadra».
Così come a Barcellona e ad Atlanta, i successi di Giovanna Trillini proseguono. Ai Mondiali: titolo individuale e a squadra a Città del Capo 1997; bronzo individuale e oro a squadre a La Chaux de Fonds 1998. E in Coppa del Mondo: successo nel 1997, due secondi posti nel ’98 e nel 2000. Anno in cui la scherma sarà impegnata alle Olimpiadi di Sydney.
Ai Giochi in Australia conquista un bronzo individuale, gara in cui Valentina Vezzali conquista l’oro. L’articolo di racconto della giornata, firmato dal corrispondente de “La Stampa” Marco Ansaldo si apre così: «Come dicono a Jesi, quell’arbitro l’hanno pagato a Falconara». Il protagonista della semifinale tra l’azzurra Giovanna Trillini e la tedesca Rita König, tant’è, è l’arbitro polacco Sypniewski, che con una serie di decisioni alquanto discutibili impedisce – a caldo Giovanna, ritratto di calma e lucidità, usa il verbo “rubare” – una finale tutta azzurra. Ansaldo, in un piccolo editoriale affianco all’articolo di cronaca, esordisce: «La scherma per fortuna non ha il pubblico del calcio, altrimenti saremmo alla rivolta». Nella finale della gara a squadre, con Trillini e Vezzali, Diana Bianchedi e Annamaria Giacometti, è ovviamente oro. Dedicato al maestro di Jesi, Ezio Triccoli, scomparso due mesi prima dei Giochi.
Atene 2004: “la coppia più bella del mondo”
La finale olimpica tutta azzurra, però, è solo rimandata. Ai Giochi di Atene 2004.
18 agosto. Complesso Olimpico Helliniko, ultima gara del tabellone individuale del fioretto femminile: Giovanna Trillini contro Valentina Vezzali. Percorso in scioltezza per la prima, qualche difficoltà in più per la seconda, tra cui un’importante rimonta in semifinale contro la polacca Sylwia Gruchała. Quattro anni le separano all’anagrafe, 150m e un bar, il cui ex proprietario è Roberto Mancini, a Jesi. Dove spesso le due si incontrano, anche fuori dalla palestra: la rispettiva competitività, però, concede all’altra solo un saluto.
Ad Atene va in scena uno scontro di stile: la varietà e la generosità di Giovanna, sempre all’attacco, innamorata del gesto; la pazienza e l’opportunismo di Valentina, dall’essenziale astuzia. Composta e rispettosa la prima, nevrile e pronta a chiudere l’aiuto del pubblico la seconda. Compagne alla palestra a Jesi, nella medesima stanza del villaggio olimpico in Grecia, dove la convivenza ha come unico intoppo una finestra rotta: diverse e rivali, ma unite nel mutuo rispetto e riconoscimento del talento dell’altra. «È come scegliere il più bravo tra Platini e Zico» dice alla vigilia coach Andrea Magro, che si accomoderà in tribuna, insieme ai molti tifosi che, in un’atmosfera irreale, di contemplazione più che di tifo, assistono quasi in silenzio allo spettacolo delle migliori interpreti del fioretto italiano, il migliore sul pianeta.
Passano i primi due minuti e mezzo a studiarsi, glaciali, come vuole l’esperienza e la maturità di Giovanna, come pretende da se stessa Valentina, che tra riscaldamento e semifinale ha pianto ogni lacrima a disposizione. Primo terzo di gara: 1-0 Trillini. Che prova ad allungare, 4-1, 5-3, fino al 6-6. Da quel momento esce Vezzali, che sul 14-11 mette la stoccata decisiva. Giovanna Trillini è medaglia d’argento, il quarto podio individuale in altrettante rassegne olimpiche consecutive; si congratula con la neo campionessa olimpica, la abbraccia e la bacia due volte sulla guancia: poco dopo, con lei andrà poi a saltare durante la premiazione. Prima, però, mentre Valentina Vezzali festeggia, togliendosi il giubbetto e poi il corpetto, Giovanna firma una bandiera italiana e saluta il pubblico, con un cenno della mano. È «il simbolo della scherma italiana», certificherà quel simbolico momento il Presidente del CONI, Giovanni Petrucci. A coach Magro, invece, spetta dire quello che tutti gli appassionati italiani stanno pensando: «Il futuro potrà darci altri campioni, ma non potrà cancella cosa abbiamo visto oggi. Non esisteranno mai più due così». Che all’entrata di Casa Italia, ingiustamente libere dalla prova a squadre, in ragione del sistema di rotazione delle armi, abbracciate cantano: “Siamo la coppia più bella del mondo”.
Pechino 2008: l’ultimo valzer, ma non a fondo pedana
A un anno da Atene, dopo una pausa, per la maternità, l’azzurra torna in pedana, firmando due settimi e un terzo posto nelle successive stagioni di Coppa del Mondo. Ai Mondiali, appuntamento più importante dell’anno, chiude sul terzo gradino del podio sia a Torino 2006, dove l’Italia è argento, che a San Pietroburgo 2007.
Le Olimpiadi di Pechino sono le ultime: in Cina Giovanna sfiora nell’individuale la medaglia di bronzo, venendo sconfitta in semifinale dalla sudcoreana Nam (che in finale porterà Vezzali all’ultima stoccata) e poi nella finalina dalla connazionale Margherita Granbassi. Nella gara a squadre, Trillini tira fino alla semifinale, persa, nuovamente tra molte polemiche, ai supplementari con la Russia, 22-21. Alla fine l’Italia conquisterà la medaglia di bronzo, con Valentina Vezzali, Ilaria Salvatori, Margherita Granbassi e, appunto, Giovanna Trillini.
È l’ultima esperienza olimpica di Jo. Non, però, l’ultima gara, perché il richiamo della scherma è ancora troppo forte. Competerà fino al 2012, a quarantadue anni, chiudendo ufficialmente la propria carriera internazionale con un ventitreesimo posto sulle pedane del Grand Prix di Marsiglia. Quanto meno quella in pedana: perché proprio da quell’anno inizia a seguire la nuova stella del fioretto azzurro, ovviamente jesina, Elisa Di Francisca.
Sette medaglie Olimpiche, di cui quattro d’oro; sedici ai Mondiali, nove i titoli; quattro medaglie europee e dodici piazzamenti sul podio finale della Coppa del Mondo, quattro da campionessa e sette da vice: questi i risultati di Giovanna Trillini in pedana. Tra le stelle più luminose nel firmamento della storia della scherma, Giovanna Trillini è ancora lì, dopo molti anni, nel tanto caro fondo pedana. Dove si dirigeva, festante, con le braccia alzare e un urlo incontenibile, come a Barcellona, quando competeva nell’individuale; il luogo da cui, nelle gare a squadre, aiutava le compagne, con letture tecniche e tattiche degli assalti. E da fondo pedana, oggi, da maestra, dispensa consigli affianco di coach Andrea Cipressa e al resto dello staff azzurro, ovviamente dell’arma che ha sempre amato: il fioretto. Perché campionesse e campioni vanno e vengono, ma le leggende restano.
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