Il suo nome rientra a pieno diritto tra i punti di riferimento dello sport paralimpico, con una carriera che l’ha visto seguire ben 11 Paralimpiadi (tra estive ed invernali), oltre a lavorare (come editorialista e non) per Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, nelle cui fila ha vissuto da direttore anche la parentesi di Gazzetta TV: Claudio Arrigoni, che ha commentato le Paralimpiadi di Rio 2016 per la Rai, è un punto di riferimento per un sito come Azzurri di Gloria, e da qui nasce la lunga intervista ai nostri microfoni, nella quale abbiamo trattato svariati argomenti legati all’ambito olimpico e paralimpico. Di seguito le sue parole.
Ciao Claudio, partiamo dal primo ricordo legato ai Giochi, siano essi olimpici o paralimpici: qual è stato il tuo primo approccio allo sport a cinque cerchi?
”Partirei dal mio ricordo paralimpico, dato che quest’ambito mi appassiona di più: al di là delle Paralimpiadi vere e proprie, che sono arrivate con Seul, un’edizione nella quale le immagini erano scarne ed era uscito solo un pezzo sul Guerin Sportivo, anche se io seguivo già da tre anni lo sport paralimpico per Gazzetta, il primo ricordo che ho riguarda un evento legato alla disabilità intellettiva. Riguarda, più precisamente, una grande manifestazione che veniva fatta negli anni ’80, che si chiamava ”I giovani per i giovani”, ed era molto bella perchè in quel periodo non era facile andare a presentare lo sport paralimpico e la stessa parola ”paralimpico” era difficile da usare, perchè alcuni usavano paraolimpico o non usavano neppure parole specifiche: questo evento mi colpì molto, perchè c’erano migliaia di giovani e studenti, ed i campioni che c’erano sul campo erano tutti ragazzi con sindrome di Down. Quel momento mi fece pensare a quanto quei ragazzi avrebbero cambiato l’idea che potevano avere sulla disabilità, e nel tempo l’esperienza mi ha portato ad avvalorare quest’idea: quello però fu il primo momento in cui mi venne quel pensiero, è stata una manifestazione molto bella”.
Quali sono stati i Giochi più coinvolgenti, tra quelli che hai seguito? Dai tuoi commenti, leggevo parecchio entusiasmo per Londra 2012…
”Londra sicuramente è stata la Paralimpiade più bella di tutte, poi ognuna ha delle sue peculiarità: d’altronde sono arrivato con Rio all’11a e sono tante, ma quella che forse mi è piaciuta e che ho vissuto meglio è stata Sydney, non tanto come Paralimpiade, dato che tutte mi hanno sinceramente emozionato con forza, ognuna per motivi diversi e per dei personaggi da scoprire. Dico Sydney perchè lì, dal punto di vista organizzativo e dell’accessibilità non hanno modificato nulla rispetto all’Olimpiade: anche nelle altre ho riscontrato tutto ciò in buona parte, però a Sydney non c’era nessuna differenza tra Olimpiade e Paralimpiade, una cosa che si è vista anche a Barcellona, che è stata la Paralimpiade della svolta, però era chiaro che l’Olimpiade aveva una maestosità maggiore. Atlanta invece dal punto di vista organizzativo è stata la peggiore tra quelle che ho vissuto, mentre Sydney è stata quella in cui ho capito che si potevano organizzare Olimpiadi e Paralimpiadi di pari dignità e senza la minima differenza”.
Venendo a Rio 2016, come hai visto questi Giochi che erano partiti con tutta una serie di problemi, tra la Zika e le problematiche legate all’organizzazione delle gare ed al Villaggio Olimpico?
”I Giochi Olimpici li ho vissuti da lontano ed un po’ mi preoccupava il fatto che, essendoci meno gente rispetto al previsto nell’Olimpiade, ce ne fosse ancor meno alla Paralimpiade: invece mi sono dovuto ricredere perchè innanzitutto i brasiliani sono stati molto bravi ad organizzare, senza avere sbavature di nessun tipo ed avendo solo qualche leggerissimo problema nei trasporti per le alte distanze di una città grande come Rio. La gente ha avuto una risposta eccezionale, anche perchè 15 giorni prima della Paralimpiade si parlava della vendita di pochissimi biglietti e poi, anche grazie ad una campagna eccezionale organizzata dal Comitato Paralimpico Internazionale (#filltheseats), che ha aiutato a riempire, ci siamo ritrovati con un primo sabato al Parco Olimpico nel quale c’erano 150mila presenze, mentre all’Olimpiade ce n’erano 130mila. C’era più gente alla Paralimpiade che all’Olimpiade, ed anche nella scherma abbiamo avuto un palazzetto pieno, che invece presentava vari vuoti nell’edizione olimpica: anche lo stadio dove sono stato principalmente io da commentatore, quello del Botafogo nel quale si facevano le gare d’atletica, ovviamente non si riempiva perchè era molto grande, però aveva spesso più gente che ai Giochi, dove si è riempito solo per Bolt. La risposta del pubblico è stata bellissima ed oltre le aspettative, quello che lasciano queste Olimpiadi e Paralimpiadi è sicuramente positivo, e se posso andare off-topic tutto ciò fa aumentare il rammarico per aver abbandonato la rincorsa a Roma 2024”.
E qui anticipi una delle domande che avevo in mente: ho letto il tuo editoriale sul sito del Corriere nel quale reputavi Roma 2024 un’occasione persa, soprattutto a livello paralimpico. Abbandonare la corsa olimpica è stato un errore imperdonabile?
”Sicuramente è stata un’occasione persa, più a livello paralimpico che olimpico: la Paralimpiade cambia la percezione della realtà e del mondo come diceva Steven Hawking, ma anche della disabilità, ed è un investimento per il futuro: non è facendo i conti e facendoli anche male, perchè per prendere una decisione del genere è stato indicato uno studio, quello di Oxford (mentre tanti altri dicono il contrario), che comunque si riferiva ad Olimpiadi e Paralimpiadi con le vecchie regole d’ingaggio del CIO, e dunque non poteva dare dei giusti parametri economici, che si può dir no ad un’opportunità del genere. Ma comunque, tornando a noi, non si è pensato all’investimento per le generazioni future dal punto di vista culturale e sociale ed ai miglioramenti che si potevano fare nel corso degli 8 anni che ci avrebbero eventualmente portato alle Olimpiadi dal punto di vista urbanistico: saremmo stati costretti a rendere accessibile la metropolitana in tutta la città, a rendere accessibili strade, alberghi ed il Parco Olimpico. Su tutto questo non si è ragionato e questo porta grande rammarico, quindi per me l’occasione persa è sì per le Olimpiadi, ma anche ed in misura maggiore per le Paralimpiadi: perdendo l’occasione di correre per una Paralimpiade hai perso l’occasione di migliorare la tua città e fare in modo che il futuro riguardo alla percezione della disabilità sia migliore di quello odierno”.
Anche perchè saremmo andati a migliorare una città, Roma, che viene criticata da anni per le sue barriere architettoniche e per le difficoltà che crea ai suoi disabili…
”Assolutamente, lo abbiamo visto anche nelle ultime inchieste giornalistiche che sono state fatte: è per quello che il rammarico è grosso e lo è in particolare per le Paralimpiadi”.
Tornando alle Olimpiadi, qual è l’impresa (italiana e non) che ti ha emozionato maggiormente?
”Alle Olimpiadi mi ha molto emozionato la Cagnotto, perchè comunque arrivava da un passato in cui non era mai riuscita ad esprimere tutto quello che aveva: è una ragazza veramente d’esempio sotto mille profili e quindi vedere che è arrivata ad affrontare quella che sarà l’ultima Olimpiade in quel modo, è stato veramente molto bello”.
Il bello delle Olimpiadi è anche, però, l’amore che nasce per sport che magari nel quadriennio non vengono considerati: mi vengono in mente il tiro con l’arco, che ormai è uno dei nostri punti di riferimento a livello paralimpico ed olimpico, ma soprattutto quel beach volley che ha emozionato tutti con le notti perse per seguire le imprese di Lupo e Nicolai…
”Il beach volley è uno di quegli sport che magari poi scompaiono, ma ce ne sono tanti altri, cito magari il judo o il tiro a segno: trovo che questo sia abbastanza normale, e che anche per questo sia molto bella l’Olimpiade, perchè comunque è come se fosse una grande piattaforma virtuale dove riesci a far risaltare ciò che normalmente non rientra nella visione del grande pubblico. Questa è la potenza dei Giochi, ed è anche l’essenza dell’Olimpiade e della Paralimpiade: trovo che sia normale e bellissimo tutto questo, che anche gli sport minori abbiano grande visibilità. Poi quello che viene dopo va gestito anche dai dirigenti di questi sport, e quello che non mi piace sono i paragoni con la gestione del calcio: il mondo è bello perchè ci sono delle differenze, ciò che conta è dare pari dignità a tutti. Come dici giustamente tu, Roma 2024 poteva essere fondamentale anche per aumentare il numero di praticanti negli sport minori: un’Olimpiade in casa sarebbe stata fondamentale, avremmo potuto cambiare la percezione verso gli altri sport ed attirare tanti giovani o famiglie verso la pratica di sport meravigliosi che magari sono sconosciuti o poco apprezzati. Questa è una riflessione che non è stata fatta, riducendo tutto a una questione economica: pensare solo alla questione economica, per chi fa politica ad altissimo livello e deve pensare anche al futuro e non solo al presente, è stato imperdonabile”.
Passiamo ora alle Paralimpiadi, che sono state fantastiche per l’Italia: 39 medaglie e tantissime storie da raccontare, ma soprattutto una Bebe Vio spettacolare. Il suo urlo, a mio modo di vedere, resterà l’immagine-simbolo di Rio 2016…
”Quell’urlo è un’immagine che gira anche negli highlights che sono stati fatti a livello internazionale dal Comitato Paralimpico e da Channel 4: chi ha paragonato quell’urlo a quello di Tardelli nell’82 non ha fatto un paragone azzardato, è uno di quei modi di esultare che danno grande emozione e rimarranno nel tempo. Si tratta di un’immagine-icona di Rio 2016, anche perchè poi Bebe in sè ha dentro dei valori come persona e sportiva che sono altissimi, ed in questo incarna molto i valori dell’olimpismo, dei 101 atleti italiani presenti e dei 3400-3500 atleti delle Paralimpiadi. Tutti gli atleti hanno in sè questi valori, ma lei sa esprimerli molto bene. Sicuramente poi, con la rimonta della finale a squadre, è riuscita nuovamente ad emozionare un paese intero: lei in questo è fantastica, perchè dice che non guarda il punteggio e pensa sempre di esser sotto, l’ha detto anche in una recente intervista che ha sempre paura, perchè pensa sempre di dover recuperare anche se magari è avanti, e questo le dà una grande carica che si percepisce ogni volta, anche stando davanti alla tv. Capita spesso che Bebe rimonti, perchè è molto brava a rimontare e riprendere situazioni difficili, le è successo ai Mondiali ed in altre occasioni: poi, quando vedi quella rimonta, soprattutto dopo che le avevano tolto due stoccate buone perchè si staccava il segnalatore dei colpi all’atleta di Hong Kong, non puoi far altro che emozionarti. Poteva chiudere il match prima ed ha dovuto fare tre stoccate per vincere in quel modo: è stato tutto molto bello”.
Quello che colpisce della Bebe Vio atleta è il furore agonistico che mostra ogni volta che scende in pedana, quest’attitudine che la porta a dominare le avversarie e fare anche assalti da 15-1…
”Tutto vero, ha un agonismo fuori dal comune: in questo lei è bravissima, ed anche nel far dimenticare, con questa carica che esprime ed arriva a tutti, tutto il resto, compresa la sua carrozzina o le amputazioni ai suoi arti. È una straordinaria atleta”.
Un altro dei grandi protagonisti è stato ovviamente Alex Zanardi, che è entrato nuovamente nella storia insieme al paraciclismo, che ha vissuto una fantastica Paralimpiade: come nasce questo movimento, che ha vissuto il suo apice a Rio?
”Sicuramente il fatto che Alex abbia scelto l’handbike è stato fondamentale per la crescita del paraciclismo in Italia, ma a questo si sovrappone il declino dell’atletica paralimpica in carrozzina: quindi molti atleti che si sarebbero rivolti maggiormente all’atletica hanno trovato nell’handbike una maniera di stare in forma, fare sport ed essere all’aperto come succede nel ciclismo. Non so se l’esplosione dell’handbike sia una conseguenza del declino dell’atletica in carrozzina o viceversa, però si vede chiaramente questo travaso: oggi purtroppo l’atletica in carrozzina è veramente ai minimi termini, con poche gare in programma. Abbiamo visto anche a Rio, dov’è arrivata la splendida medaglia di Alvise De Vidi, che però ha 50 anni: non c’è ricambio, ed anche a livello internazionale si assiste a questo cambiamento, nel quale in Italia Alex ha certamente influito molto, portando ad innalzare il livello e costruire una Nazionale che macina medaglie sia ai Giochi, che a Mondiali e Coppe del Mondo. Avere Zanardi è servito molto, ed al femminile servirà molto l’arrivo di Francesca Porcellato: lei è una delle grandissime figure paralimpiche, anche a livello internazionale, e quello che ha fatto Francesca l’hanno fatto in pochissimi. Tanti hanno partecipato a più sport, pochi hanno vinto in tutte le discipline come ha fatto lei: è una delle più grandi di sempre nel mondo, e pensate che è arrivata a Rio non al massimo della forma. I suoi bronzi potevano essere ori, se fosse stata al 100%: il suo risultato resta comunque fantastico”.
Una delle cose che sorprende degli atleti paralimpici è la loro versatilità, la disinvoltura con cui si cimentano negli sport estivi ed invernali, oppure quei cambi di disciplina che non si vedrebbero mai nello sport tradizione. È solo la forza di volontà a permettere tutto questo?
”Ci sono molte motivazioni per questa versatilità, uno è legato al fatto che la base è minore. Però va anche detto che in molti sport il gesto atletico è decisamente simile, e questo aiuta: per farti un esempio, Francesca Porcellato, mentre si stava allenando per lo sci di fondo, ha scelto di sperimentare nel periodo estivo l’handbike per sviluppare sia dal punto di vista fisico che del gesto tecnico i movimenti del fondo, e poi ci ha gareggiato a Rio. In alcuni casi la versatilità nasce da questo, poi d’altro canto credo che lo sport paralimpico dia più occasioni e faccia venir voglia di provare esperienze nuove: un atleta paralimpico si mette in gioco sempre, anche solo quando deve fare la spesa, e dunque a livello mentale ha più predisposizione al cambiamento. Quella predisposizione che incarna per esempio Zanardi che, come dice lui stesso, ”è spinto dalla curiosità”, dal vedere dove può arrivare, e lo sport paralimpico aiuta tutto questo”.
Tornando a Rio 2016, l’Italia è stata splendida nel nuoto, con Federico Morlacchi sugli scudi…
”Il nuoto è stato fantastico, ed il bello di Federico è che rientra in questo bellissimo progetto che è nato dalla POLHA Varese, una società paralimpica che ha voluto fare una squadra anche nel nuoto ed ha costruito una squadra vera, nella quale si allenavano insieme, abitavano insieme e facevano gruppo in maniera incredibile, ottenendo grandi risultati grazie a Massimiliano Tosin, grandissimo tecnico del nuoto paralimpico. Come in ogni squadra, c’è un leader, e Federico lo è sia come persona, in quanto sa fare molto gruppo, ed anche per le sue doti tecniche: ha sempre fatto gare con normodotati nonostante la sua gamba sia 30cm più corta dell’altra e facesse fatica a muoverla, e spesso le ha anche vinte queste gare. Anche questo è stato importante per costruire un atleta che poi è stato tra i protagonisti assoluti del nostro nuoto”.
Venendo alla questione che riguarda le gare coi normodotati, nei mesi scorsi si è parlato molto della richiesta avanzata da Markus Rehm di poter gareggiare nel lungo olimpico, che è stata respinta: secondo te quanto resisterà il confine tra normodotati e paralimpici, soprattutto nell’atletica (che ha già visto Pistorius gareggiare coi normodotati, ndr), che è forse la disciplina in cui è più facile passare da atleta paralimpico ad olimpico?
”Penso che dipenda molto dalla tecnologia e dall’uso che ne viene fatto: Rehm è andato a 11cm dal podio olimpico nella finale del lungo, non saltando come sa fare, ed ha un personale importante (8.40). Lui è un caso particolare, come lo era Pistorius, e siamo di fronte ad una delle domande dello sport in generale: prima o poi i politici dello sport dovranno dare delle risposte che ora non riescono a dare, perchè ci sono atleti paralimpici che hanno fatto il minimo olimpico e non sono riusciti ad andare ai Giochi. Non so cosa succederà in seguito, perchè oltre a Rehm sono arrivati atleti importanti anche nella corsa per amputati, e si sta creando una nuova società che si trova ad affrontare queste problematiche insieme a quei discorsi sull’identità di genere che hanno trovato ampio spazio a Rio e non possono restar fuori dalla politica sportiva. Il discorso-Semenya? Caster rientra in una particolarità, perchè ha uno pseudo-ermafroditismo che la pone ancora a parte rispetto a chi ha un’identità di genere ed un orientamento sessuale da definire: lei ha posto questioni importanti ed ha anche aperto delle strade, tant’è che le ultime indicazioni date dal CIO a gennaio sulla partecipazione alle gare a seconda dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale e non più riguardo al sesso anatomico sono nate proprio da lei e da atlete con la sua storia, e potrebbero presto diventare una norma effettiva”.
Tornando alle storie tutte italiane, ha conquistato la scena il doppio podio nei 100m T42, con Martina Caironi oro e Monica Contrafatto al bronzo: quella Contrafatto che quattro anni fa guardava la gara della Caironi dicendo ”voglio essere come lei”, ed a Rio è arrivata terza ai Giochi. É anche questo il bello delle Paralimpiadi…
”Certamente, ed anche questo è un’indicazione di quello che può apportare lo sport paralimpico perchè vi siano cambiamenti culturali e sociali importanti: una ragazza si trova in un centro di riabilitazione dopo aver perso una gamba, vede un’altra correre e dice ”lo faccio anch’io”, salvo poi ritrovarsi con lei sul podio 4 anni dopo ai Giochi e raggiungere uno straordinario bronzo. Siamo di fronte ad una storia straordinaria, che dà l’idea della forza che ha lo sport paralimpico: e qui lancio un’altra riflessione su quanto sia sbagliata la scelta di abbandonare il progetto-Roma 2024. Soprattutto dopo una Paralimpiade fantastica, dalla quale si poteva partire per rafforzare ulteriormente il nostro movimento”.
Qual è stato il risultato a sorpresa di questa Paralimpiade italiana, l’atleta che non avresti mai visto a medaglia? E quale invece la delusione?
”Dal punto di vista della delusione, anche se ovviamente può capitare un passo falso, mi è dispiaciuto molto per Eleonora Sarti, che arrivava dall’essere la migliore del mondo ed ha visto andare in frantumi le possibilità di ottenere un grande risultato: lì mi aspettavo una medaglia ed anche una medaglia pesante. Dal punto di vista dell’exploit, io tornerei a parlare della medaglia di bronzo nel fioretto femminile a squadre: ci si poteva sperare, ma vedendo il modo in cui è arrivata, è stato bellissimo raggiungerla. Non potevamo arrivare all’oro, ed in pochi avrebbero scommesso sul podio in partenza”.
Quali sono le prospettive dell’Italia per Tokyo 2020? Un’Olimpiade che parte già con ottime prospettive, dato che poco dopo la fine dei Giochi di Rio erano già state pubblicate le foto di tutte le strutture che ospiteranno i Giochi giapponesi…
”Arriviamo a Tokyo con una percezione diversa della forza del movimento italiano: siamo stati sia a livello olimpico che paralimpico nelle prime 10 nazioni, ed arriviamo con una responsabilità ed una consapevolezza maggiore. Quello che conta, però, è che lo sport paralimpico possa crescere ancora e comprendere quanto sia bello ed utile”.
Ti chiedo, infine, un parere sui due casi che hanno infiammato gli ultimi mesi: quello del doping di stato russo (che ha portato all’esclusione di tutti i russi dalle Paralimpiadi) e quello recente delle prescrizioni mediche portate alla luce dagli hacker di Fancy Bears, che riguardano molti atleti di spicco…
”Sulla Russia penso che il Comitato Paralimpico abbia avuto grande coraggio, ”battendo” il CIO, che ha demandato tutto alle varie federazioni internazionali: credo che la decisione sia stata forte ed anche legittima, l’unico dubbio che si può avere nasce dal fatto che un evento sociale come la Paralimpiade lì non sia stato visto. Riguardo al caso sorto dalle rivelazioni degli hacker, penso che quando le cose sono all’interno dei regolamenti, possono essere discusse, ma restano nella legalità: in questo caso, possiamo dire tante cose e dire che è sbagliato tutto questo, ma per ora non sono ancora arrivate cose extra-regolamento che andavano punite. Poi si può discutere il dare tutte queste esenzioni, o il sovradosaggio di farmaci negli atleti di questo livello, che è un paradosso ma è reale, viste tutte le medicine che vengono somministrate: molti farmaci sollevano dubbi, ma una volta che c’è l’esenzione medica, sono inattaccabili a livello regolamentare. Io sono tra quelli che vorrebbero discutere tutto questo, ma al momento non è possibile”.