Per essere un leader non occorre parlare sempre. Non bisogna strafare. Si può essere carismatici con uno sguardo, con un consiglio al momento giusto. Emanuele Birarelli è fatto così. Infonde sicurezza e tranquillità con il suo modo di fare, pacato, ma tremendamente efficace. E vincente. Lo dice il suo palmarès, infarcito di campionati, coppe Italia, Champions League, Mondiali per club e Supercoppe italiane. Colonna della Trento tra il 2007 e il 2015, è diventato un punto di riferimento della Sir Safety Conad Perugia. Il “Bira” è anche il capitano della Nazionale italiana, che ha conquistato uno splendido argento alle Olimpiadi di Rio 2016. Il centrale di Senigallia ha gentilmente rilasciato un’intervista esclusiva ad Azzurri di Gloria, nella quale ha parlato dei suoi Giochi olimpici brasiliani, dell’attualità e del futuro immediato.
Emanuele, avete impressionato in Supercoppa e nell’insidiosa trasferta piacentina: come valuti queste prime uscite stagionali?
“In questo avvio di stagione siamo stati vicinissimi alle migliori. È vero, la Supercoppa ci è sfuggita di poco. A Modena, abbiamo giocato meglio delle altre squadre, ma ci è mancato qualcosa nel rush finale. A Piacenza c’era preoccupazione perché è un’ottima formazione ed al Pala Banca non saranno tanti a fare punti. Anche per questo, siamo molto contenti”.
A Piacenza c’è stato il record di presenze nel palazzetto. In generale tutta l’Italia sembra più interessata al volley rispetto al passato. Come valuti questi mesi successivi all’Olimpiade e queste attenzioni?
“Ovviamente sono stato molto contento. Devo ammettere che in queste prime uscite stagionali dopo le Olimpiadi abbiamo notato un interesse maggiore all’interno dei palazzetti. La spinta e l’interesse mediatico sta continuando anche ora con i nostri club. Siamo contenti, è qualcosa che può solo fare bene. È una soddisfazione”.
In generale, credi che questa attenzione mediatica possa aiutare a risollevare un movimento finito spesso nel mirino delle critiche per le recenti scomparse di squadre storiche come Cuneo, Montichiari e Treviso?
“Se parliamo di situazioni societarie, c’è chi ha dovuto chiudere per via della crisi economica presente tutt’ora nel mondo. Era inevitabile perché non credo che i presidenti in questione abbiano chiuso per la scarsa considerazione o per cattivi investimenti. La gente c’è nei palazzetti, si può fare meglio ovviamente. Sicuramente la pallavolo rimane uno sport provinciale, c’è seguito nelle città in cui è presente una squadra. Dove non c’è una formazione localmente, è più difficile. A Perugia non abbiamo questo problema, il nostro palazzetto è sempre pieno. Invece, in città in cui questo non è possibile, bisogna fare anche molta strada per interessarsi di pallavolo o bisogna seguirla in TV in modo puntuale per interessarsi. Sai che a quell’ora devi accendere la televisione, altrimenti non c’è modo di rimanere aggiornati. Ecco, manca un po’ di visibilità semplice, come accade con il calcio. Si sanno i risultati, si vedono i gol e le azioni salienti e c’è la possibilità di seguire cosa sta succedendo”.
Parliamo di Rio. Avete fatto un cammino incredibile, nonostante i pronostici non vi vedessero tra i favoriti. Prevale, quindi, l’orgoglio per la cavalcata fino alla finale o l’amarezza per l’esito dell’ultimo atto della manifestazione?
“Sono state emozioni contrastanti. Noi sappiamo di aver fatto un bel percorso e di aver conquistato un bell’argento. Si poteva fare di più, ma si poteva fare di meno. Comunque in semifinale abbiamo incontrato una grande squadra come gli Stati Uniti e l’abbiamo spuntata per un soffio, se vogliamo anche con un po’ di fortuna. La stessa fortuna che ci è mancata in finale. Per buona sorte intendo quelle situazioni border line, quei 50-50 che sono andati a loro favore. Bisogna essere onesti: è stato un bel percorso. Potevamo uscire anche in semifinale ed invece siamo arrivati fino alla fine. È andata male, ma comunque siamo stati bravi”.
A proposito del match contro gli USA, sicuramente è stata incredibile la rimonta nel quarto e quinto set, dopo la batosta nella terza frazione. Cosa vi siete detti dopo quel 25-9?
“Sicuramente è sembrato strano quel terzo set, ma non è la prima volta che nella storia della pallavolo succede una cosa simile. Era una gara in cui si spendevano molte energie, quindi non aver lottato più di tanto nel set ci ha permesso di lasciarcelo indietro e di scendere in campo con una testa diversa. Non ci siamo detti niente perché in questi casi si sa che si riparte da zero. Nel quarto set loro erano partiti bene e l’abbiamo recuperato alla fine. In realtà anche gli statunitensi avevano fatto una bella gara. Ad Ivan non abbiamo detto nulla, non servono parole in quei casi”.
Non è possibile che quella vittoria, arrivata in modo così rocambolesco e sofferto, vi abbia costretto a spendere risorse psicofisiche che non siete riusciti a recuperare per la finale?
“Secondo me l’approccio non è stato sbagliato in finale. Comandavamo bene fino al 12-9. Non è stato male. Forse quell’energia ci è mancata nel finale di set. Lì credo che loro siano stati più precisi di noi. Le energie spese si sono sentite nei momenti cruciali di ogni frazione, persa sempre di poco. Siamo calati dal ventesimo punto in poi, diciamo. Nel secondo set eravamo avanti, poteva essere una situazione interessante. Poi un episodio ambiguo li ha fatti pareggiare e, in una partita in cui eravamo punto a punto e non stavamo giocando la miglior pallavolo, non ci ha favorito”.
Come valuti Rio 2016 rispetto agli altri Giochi olimpici?
“È stata un’Olimpiade molto diversa dalle altre. È stata una cavalcata senza alti e bassi, com’era accaduto nelle edizioni precedenti. Abbiamo vinto tutte le partite e quindi c’era un morale molto alto. Non c’erano problemi da risolvere o di cui parlare per giocare meglio. Da un certo punto di vista credo che l’abbiamo vissuta nel migliore dei modi, con un atteggiamento sempre positivo, derivante dai risultati. E poi la consapevolezza di fare bene aumentava”.
Prima della manifestazione non eravate considerati i favoriti. C’erano dubbi sul vostro potenziale o eravate sicuri di poter dire la vostra?
“Guarda, forse da fuori non si capisce che questi dubbi possono essere fugati. Ci alleniamo ogni giorno, per cinque ore. Se c’è qualcuno che non riesce a dare il massimo, ha tutto il tempo per limare queste incertezze. Il nostro bel lavoro è stato fatto anche prima, con la World League, anche se avevamo perso contro la Francia ed il Brasile in modo brutto e netto. Ognuno di noi sapeva di poter fare molto meglio. Ci siamo messi a faticare tutti i giorni in palestra: così i dubbi possono passare, vedendo che si può migliorare. Una parte di questo lavoro è stato farsi un bagno di umiltà, mettendosi in discussione, provando in allenamento. I risultati alle Olimpiadi sono stati solamente il frutto di questo sacrificio”.
Hai già fatto un pensiero all’Europeo dell’anno prossimo?
“Non so, è ancora presto per parlarne. Anche la Federazione non ha ancora fatto le sue valutazioni. Lo stesso si può dire per noi giocatori. Siamo appena tornati nei club e non pensiamo ancora ad un appuntamento così distante. Vediamo se ci saranno cambiamenti. È ancora tutto da decidere ed è prematuro parlarne”.
Torniamo a Rio 2016. Eravate nel villaggio olimpico o in un altro centro come a Londra 2012?
“No, noi eravamo nel villaggio olimpico. È interessante e simpatico nei primi giorni scoprire questo clima. Poi c’è da dire che gli atleti con ambizioni di medaglia non stanno tutto il tempo in giro a spasso per il villaggio a guardare i colleghi più famosi. Può capitare andando in mensa o a prendere l’autobus per andare alle partite. Eravamo concentrati su quello che dovevamo fare. Comunque bellissima esperienza da vivere”.
Dunque avete visto comunque altri grandi sportivi, pur senza soffermarvi più di tanto?
“Li abbiamo visti tutti, abbiamo fatto anche le foto con alcuni tennisti o giocatori di basket. Può capitare di essere vicini in mensa a Nadal o Djokovic. Per il resto stavamo in camera, dove avevamo una TV e condividevamo il tempo insieme. Approfittavamo del momento di riposo per guardare altre gare degli altri azzurri, tifando per loro”.
Dal punto di vista organizzativo, come valuti Rio, confrontando i Giochi olimpici brasiliani con le altre due edizioni a cui ha preso parte?
“Sicuramente questa è stata l’Olimpiade con la cura minore per qualche dettaglio dal punto di vista organizzativo, ma è stata comunque sufficiente. Era tutto meno programmato, con meno attenzione per i dettagli come l’ordine nelle camere. C’era un traffico molto complicato che ci faceva fare molta strada per arrivare nei palazzetti. Comunque nulla di grave”.
Cosa ti ha lasciato ogni Olimpiade?
“Eh è difficile da dire. La prima Olimpiade è stata un po’ complicata per noi, anche perché arrivare quarti perdendo le ultime due partite fa male. Eravamo arrivati in zona medaglia. E poi io ero inesperto e quindi non è stato semplice vivere gioie e dolori in modo equilibrato. A Londra è stato come vivere su montagne russe. Non abbiamo giocato benissimo, ma ci siamo espressi su buoni livelli quando contava, nel quarto di finale e nella finale per il bronzo. È stata una medaglia molto agognata e dà soddisfazione per averla conquistata. Rio è stata una cavalcata fino alla finale”.
E quanto è cambiato Emanuele Birarelli dal 2008 a oggi?
“Sicuramente ora ho molta più esperienza, soprattutto nella gestione delle partite più importanti. Quando giochi bene e la tua squadra ha vinto ti senti a posto; al contrario, se si perde e non ti esprimi nel miglior modo possibile, è difficile archiviare la situazione. Serve equilibrio nel gestire queste sensazioni estreme, che con l’età e l’esperienza si vivono meglio. È giusto vivere la situazione giocando al massimo, ma sapendo che non è sempre possibile essere al 100% o fare 30 punti. E poi il mio ruolo di capitano mi imponeva di dare maggiore attenzione a ciò che accadeva al gruppo piuttosto che a me, individualmente. Questo mi ha dato una visione della squadra, pensando sempre a cosa si poteva fare meglio”.
Tu hai vinto di tutto e di più. Hai un segreto per essere così lucido e decisivo nelle partite che contano?
“No, non c’è un segreto. Innanzitutto ho avuto la fortuna di giocare sempre in grandissime squadre molto preparate ed attrezzate per fare bene ed arrivare alle finali, come è accaduto per molti anni a Trento. Nella scorsa stagione, con Perugia la finale scudetto è arrivata in modo inaspettato perché è stata un’annata complicata. Eravamo comunque consapevoli dei nostri mezzi. Dovevamo sbloccarci. Anche riagganciandomi a quanto dicevo prima, sono un leader, ma un leader “operaio” perché sono uno a cui piace lavorare in palestra. So di dover lavorare sodo per ottenere i risultati e per mantenere alto il livello di gioco. Non sono un giocatore che, pur allenandosi poco, può inventarsi grandi colpi nel giorno della partita. Devo costruirmi e coltivare le mie abilità. Penso che anche per il gruppo possa essere un messaggio positivo di impegno e sacrificio. Anche i giocatori migliori devono curare il proprio talento per quanto grande esso sia. Non si può pretendere di improvvisare nella domenica. Anche quando le cose non andavano bene in Nazionale è successo questo. Ad esempio Giannelli e Lanza, pur sapendo di non essere in forma, hanno lavorato veramente bene per presentarsi ad un ottimo livello per la prima partita dell’Olimpiade”.
Hai subìto due infortuni negli ultimi anni, che hanno rischiato di compromettere la tua carriera. Cosa ti hanno lasciato questi incidenti di percorso?
“Il primo infortunio è stato qualcosa di molto grave. Mi ha impedito di giocare a pallavolo per tre anni e mezzo. Un tempo enorme. Però ero giovane, ho avuto tempo di recuperare. Questo spirito di sacrificio e di mettermi in gioco è stato amplificato. In quel caso le mie caratteristiche sono venute fuori. Il secondo infortunio è stato una sciatalgia che ha tenuto fuori anche tanti altri giocatori. Sono rimasto fermo per due mesi. Anche in quel caso non è stato semplice. Con il lavoro comunque si sistema tutto”.
Con la Nazionale hai sfiorato Europeo, Mondiale e Olimpiade. Quale trofeo ti piacerebbe conquistare in futuro?
“Beh sicuramente dico l’Olimpiade, un traguardo principe per tutti noi, me incluso. Poi non è semplice. Questa “ossessione” vale più per il movimento italiano che per noi. In realtà avevamo già sfiorato l’oro in altre occasioni, come negli anni ‘90. Questa maledizione del secondo posto non ce la sentiamo così tanto”.
Avete risentito della pressione per la cosiddetta maledizione della medaglia d’oro?
“No assolutamente, sapevamo di aver fatto molto. La pressione ce l’aveva il Brasile e forse un po’ si è visto. Alla fine ne sono usciti bene, giocando alla grande gli ultimi punti dei set”.
In quale partita olimpica credi di aver disputato la sua miglior prestazione?
“Mah è difficile… In realtà penso di aver giocato bene nella finale olimpica, nonostante la tensione al massimo. Secondo me, ci eravamo espressi tutti su ottimi livelli. Sono mancati solamente gli ultimi punti e lo stesso vale per la mia prestazione”.
Qual è stato l’avversario più difficile da murare?
“Sicuramente è stato l’opposto del Brasile, Wallace. A posteriori è stato quello che ha vinto la partita da solo. Gli altri brasiliani hanno fatto veramente poco, è stato lui a trascinare i compagni. Credo abbia fatto 18 o 19 punti. Purtroppo ricordo lui come un avversario molto difficile”.
E a Tokyo 2020 ci pensi?
“No direi di no, anche perché ho 35 anni. Tokyo 2020 può essere un’ipotesi realizzabile solo secondo determinate condizioni. Sicuramente non è in cima ai miei pensieri”.
Dunque ogni pensiero è rivolto a Perugia?
“Sicuramente l’attualità è Perugia. Questa società sta facendo un lavoro fantastico negli ultimi anni. ha conquistato la prima finale scudetto con una squadra che aveva l’organico per vincere. Nella scorsa stagione non è stato un miracolo arrivare fino in fondo, ma battere la Lube, per come si era messo il campionato, è stato incredibile. Quest’anno ci troviamo in alto come organico, ma non abbiamo tabù da sfatare. il passato non dev’essere un peso ma uno stimolo per arrivare in alto”.