Passione, forza di volontà e spirito di sacrificio. Luca Mazzone non fa sconti: per costruire una carriera vincente e duratura, servono questi elementi. Lo afferma con convinzione, forte di un’esperienza personale incredibile. Come non dare retta a chi ha vinto undici titoli mondiali, due medaglie nel nuoto ai Giochi paralimpici di Sydney 2000 e due ori ed un argento alle Paralimpiadi di Rio 2016 nel paraciclismo? Come non restare affascinati dalla sua dedizione al lavoro? Come non emozionarsi quando Luca parla del suo rapporto quotidiano con la fatica? Reduce dai vittoriosi Mondiali di paraciclismo in Sud Africa, Mazzone ha raccontato in esclusiva ad Azzurri di Gloria le sue impressioni sulla stagione da poco conclusa e la sua scalata sportiva.
Luca, Lei è reduce da un 2017 incredibile coronato dal trionfo al Mondiale. Qual è la Sua valutazione su questi dodici mesi?
<<Sicuramente è stata una stagione incredibile. Lo stimolo in più è derivato dalla medaglia d’argento alle Paralimpiadi. Avevo preparato la gara in maniera corretta, ma il percorso non mi avvantaggiava. Ho fatto la selezione e non ho nulla da rimproverarmi. Il mio avversario, William Groulx, è riuscito a resistere e purtroppo nel finale mi ha battuto. Me lo aspettavo perché comunque era più veloce. Eppure quel secondo posto mi ha aiutato a migliorare ed a trovare nuove motivazioni. Ho studiato al meglio il percorso sudafricano. Sapevo che sarebbe stato più adatto a me per la presenza di strappi e saliscendi. Ho preparato anche il mezzo per essere più performante. Alla fine, la corsa è andata come volevo. Ho vinto tanto negli ultimi Mondiali, sono stato il corridore più titolato. È stata una grande soddisfazione dopo Rio 2016. E poi ho conquistato nello stesso anno il campionato italiano, il Mondiale e la Coppa del mondo. Direi che è un ottimo bottino>>.
Si può affermare che la piccola delusione di Rio 2016 sia stata una lezione importante? Quanto ha influito l’esperienza accumulata?
<<Indubbiamente l’esperienza mi ha aiutato. Ho imparato anche dagli altri anni. Sicuramente è un elemento vantaggioso, specialmente in una disciplina come questa. Nel paraciclismo, molti atleti giovani faticano anche perché non sanno gestire l’insieme di stress fisico e psicologico. L’aver corso per tanti anni mi ha permesso di riuscire a sopportare le difficoltà di questo genere e mi ha aiutato a correre meglio. Un punto di forza>>.
Dunque, l’aspetto mentale ha un’importanza maggiore rispetto a quello prettamente fisico ed anagrafico?
<<L’aspetto mentale conta moltissimo. Bisogna saper convivere con la fatica, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. Anche per questo, molti ragazzi lasciano perdere e si arrendono. Non è semplice. Serve una predisposizione alla sofferenza fisica sotto entrambi gli aspetti. E la fatica non è solamente presente nella gara. Non è facile convincersi di allenarsi quando fuori piove o fa particolarmente caldo. Eppure, in quei casi, insieme allo sforzo fisico, subentra la passione per questo sport, qualcosa che spinge a sopportare sacrifici importanti. E, se piace ciò che si fa, si impara a convivere con la fatica. Addirittura io la chiamo la mia “fidanzata fatica” perché diventa una sorta di compagna di viaggio. Credo di non poterne fare a meno a volte. Avverto la mia “fidanzata” come un elemento quasi essenziale>>.
Effettivamente, la fatica è un aspetto imprescindibile della vita di un atleta. Ma Lei non ha mai accusato un calo motivazionale dettato dalla stanchezza e dall’appagamento per le tante vittorie conseguite?
<<Onestamente, un calo l’ho accusato l’anno scorso, al termine delle Paralimpiadi. Mi sono sentito scarico, privo di motivazioni. Poi, però, ho guardato me stesso e tutti i sacrifici fatti per arrivare fin qui. Ho ripensato al sogno di quel bambino che ero e che desiderava diventare assolutamente un atleta. Mi sono ricordato anche della fame di quando ero più giovane, degli occhi della tigre per vincere una medaglia d’oro. Ho dato un’occhiata a ciò che avevo già conquistato in carriera ed ho deciso di ripartire ancora. Ed è così che faccio ogni anno. Arrivo alla fine, resetto e si riparte>>.
Cambiamo argomento: quale tipo di infortunio Le ha cambiato la vita? Com’è nato il Mazzone atleta paralimpico?
<<È accaduto negli anni ‘90, quando ero al mare con gli amici. Tuffandomi, ho colpito uno scoglio con la testa, procurandomi una lesione midollare a livello cervicale, con la conseguente paralisi e l’impossibilità di utilizzare i muscoli dal petto in giù, mani comprese. Onestamente è stata dura, molto dura, specialmente ripensando a chi ero prima dell’incidente. Praticavo qualsiasi tipo di sport, dal calcio al pugilato ed alla palestra. Ero uno sportivo a 360 gradi. Mi piaceva provare di tutto. Improvvisamente, mi sono accorto di non poter neanche stringere un cucchiaio>>.
Quanto ha influito quell’incidente sulla Sua carriera sportiva?
<<In quel momento è subentrata la fame, la volontà di farcela, di poter fare ancora qualcosa. Hai presente il film “Rocky”, quando si parla di “occhi della tigre”? Ecco, ho cercato di trovare quello sguardo per risollevarmi, ripensando anche ai miei sogni. Anche grazie a questa fame sono arrivato fin qui>>.
Lo sport è stato un modo per conoscere altre persone, come Alex Zanardi e Vittorio Podestà.
<<Assolutamente. Ho conosciuto Vittorio Podestà nei giorni di apertura e chiusura della Paralimpiade di Pechino. Ero incuriosito dalla sua Handbike. Abbiamo parlato molto. Poi ci siamo risentiti ed il nostro rapporto è cresciuto con il tempo. Lui è una persona in gamba, ha un’attenzione incredibile per i dettagli. Non è un caso che lui sia anche il mentore di Alex Zanardi. E poi è sempre prodigo di consigli. È ammirevole>>.
Ha affermato in precedenza di essere sempre stato un grande amante dello sport. Ha mai avuto un modello o un idolo a cui ispirarsi?
<<Certo, ho avuto tanti idoli. Innanzitutto cito Pietro Mennea, mio conterraneo. Una passione trasferitami anche dai miei fratelli che lo adoravano. Poi c’era Aleksandr Popov. E chi mi ha spinto a seguire accanitamente il ciclismo è stato Marco Pantani>>.
Come mai ha deciso di passare dal nuoto al ciclismo?
<<Ho deciso di cambiare nel momento in cui sentivo che era giusto svoltare la mia vita. Ero reduce da tre Paralimpiadi. Ero sposato da tre anni con mia moglie, desideravamo avere un figlio. Di conseguenza, con una vita così diversa, non potevo più dedicarmi al nuoto. E allora ho trovato qualcosa di nuovo nella handbike. Il ciclismo mi ha permesso di gestirmi con maggiore libertà, non ero vincolato dagli orari delle piscine. Così, ho iniziato a dedicarmi a questo nuovo sport. Podestà mi ha aiutato a migliorarmi suggerendomi materiali e mezzi migliori. E poi, quando il commissario tecnico Valentini mi ha detto di essere rimasto impressionato dai miei tempi e di volermi convocare per gli impegni seguenti, ho risentito la scintilla che si accendeva. Da lì ho deciso di rimettermi nuovamente in gioco. Ancora oggi mi si chiede se sia più faticoso il nuoto o il ciclismo. Secondo me, alla base hanno l’aspetto salutare e la fatica. Magari, il ciclismo richiede qualche sforzo in più in caso di giornate calde, fredde o ventilate>>.
Lei ha preso parte a ben quattro Paralimpiadi. Cosa si prova a partecipare ad un simile evento?
<<Beh ci sono tante cose che mi tornano in mente ripensando a quei momenti. Sicuramente, il primo ricordo riguarda Sidney 2000, la mia prima esperienza fuoricasa. Uscire dal mio paese e trovare tutta quella gente è stato incredibile. Ricordo una massa di persone appartenenti a diversi stati e continenti. Anche sui pullman si incontravano atleti di ogni sorta. E poi resta l’immagine della mia prima medaglia, un argento nel nuoto. Quella non si scorda mai>>.
Un’ultima domanda: cosa consiglierebbe a chi si avvicina per la prima volta al Suo sport?
<<Gli consiglierei di provare, di far fatica, di non spaventarsi se le cose non funzionano sin da subito. Deve continuare a tentare. È così che ho iniziato anch’io. E poi è anche salutare. Gli consiglio solamente questo: provarci e non demordere>>.