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Federico Buffa (Foto tratta da ilcorrierevicentino.it)

Le Olimpiadi tra passato e presente, con proiezione verso Rio 2016. Federico Buffa non si limita a parlare di Berlino ’36 ma riflette sui Giochi Olimpici che verranno, dando sempre uno sguardo alla storia. In particolare, nel corso della sua chiacchierata con Azzurri di Gloria, emerge anche il lato più umano del giornalista.

Buffa ricorda il suo avvicinamento alle Olimpiadi, seppure con gli occhi di un dodicenne. Attimi ripercorsi attraverso la sua ferrea memoria storica e raccontati con la stessa passione di quel momento speciale: “La prima Olimpiade che ho visto è stata Messico ‘68: mi ricordo molto bene Lee Evans che corse in un modo disumano per l’epoca. Ancora adesso ho avuto il privilegio di parlarne nel corso di un’intervista con Alberto Juantorena, che compie l’impresa delle imprese: vincere i 400m e gli 800m, che non è fisicamente possibile perché non appartengono alla stessa atletica in quanto una disciplina riguarda la velocità e l’altra la resistenza. Non si sa come, ma lui le ha vinte e mi ha raccontato la sua esperienza. È una persona piacevole da ascoltare e ha ammesso che il suo idolo era proprio Evans, che guardava correre nel 1968, anche se questi correva in modo più scomposto ma comunque sensazionale. E mi ricordo i guanti neri della signora Smith condivisi con suo marito e con Evans”.

Messico ’68, un’Olimpiade politicizzata, come saranno anche i Giochi del ’72: “A Città del Messico sono state uccise decine e decine di studenti, con la polizia messicana in piazza Tlatelolco che sparava ad altezza uomo. E nel 1972, casualmente, uno degli organizzatori dei giochi, lo stesso che aveva evitato il boicottaggio degli USA nel ’36, chiese che lo show andasse avanti anche dopo il massacro del settembre nero. All’inizio può sembrare una semplice coincidenza ma, guardando bene, è la stessa persona che ha infiammato lo stadio di Norimberga 36 anni prima con un discorso antisemita. E non ha il minimo dubbio, è un episodio grave ma perché fermare i Giochi? Così come nel 1936, a suo tempo, disse: “Perché non andare?” ”.

E le Olimpiadi di Monaco ’72 rappresentano una tappa importante nella passione sportiva del giovane Buffa. In particolare il giornalista si focalizza sul match di basket più discusso di sempre: la sfida tra USA ed URSS. Ecco il suo pensiero: “Considero la partita del 1972, che fu la prima finale olimpica di basket che vidi, una partita che mi segnò moltissimo perché ero in grado di capirla, mentre a Messico 1968, pur avendo l’età, non riuscii a seguirla. E fu un’Olimpiade che ancora una volta ci spiega l’uso politico. Ci furono cose incredibili: Collins, che era in campo non ha mai voluto prendere la sua medaglia d’argento e suo figlio, che l’ha vinta come assistente allenatore, gli ha regalato la sua, conquistata sempre con gli Stati Uniti. Tanti atleti che persero quell’oro non hanno mai voluto la medaglia d’argento, anche perché era la prima che perdevano da Berlino 1936, quando comparve il basket ed esordirono a tutti gli effetti”.

E gli atleti italiani? Hanno lasciato un segno nella memoria sportiva di Buffa. Ovviamente sì, c’è posto anche per loro: “Il primo dei miei ricordi sugli azzurri riguarda Gentile a Messico 1968: fece un salto epocale per l’Italia. Ho visto tante volte le immagini di Roma 1960 perché penso che quello sia il momento più importante dello sport italiano. Magari uno direbbe che abbiamo vinto quattro mondiali di calcio ma io credo che quell’Olimpiade sia stata determinante”. E aggiunge: “Se ci fate caso le Olimpiadi del ’60, ’64 e ’72, con l’intermezzo che una andava per forza agli orientali agli americani, sono i tre Giochi olimpici degli sconfitti della Guerra Mondiale anche perché i giapponesi avevano preso quelle del ’40 che non si sarebbero mai disputate. Avrebbero dovuto svolgersi in Germania nel ‘36, in Giappone nel ‘40 e in Italia nel ‘44 ma tutto andò diversamente; però le Olimpiadi degli sconfitti sono il modo con cui si cerca di lenire la ferita e i Giochi hanno questo valore incredibile. Sono il momento in cui si coinvolge tutto il mondo, non solamente 16, 24 o 32 nazioni come succede ai mondiali ma tutte quante. Così il mondo si ritrova di nuovo a competere sotto gli ideali e in questo ricorda in parte il pensiero di De Coubertin. Tuttavia l’Olimpiade ha un fascino assoluto”.

Ovviamente, tra i tanti atleti visti dagli occhi appassionati di Buffa, c’è uno che più di tutti ha lasciato il segno: “Penso che l’atleta che mi ha più colpito sia Carl Lewis. Era Jesse Owens aggiornato. È una persona che si è mantenuta benissimo: solitamente gli atleti tendono ad ingrassare mentre si mantiene bene e ha una sua dignità di straordinario campione che mi piace moltissimo”.

Poi Buffa ci svela un retroscena riguardante la sua esperienza da giornalista sportivo: “Non sono mai stato alle Olimpiadi mentre sono stato al Mondiale in Brasile. Comunque posso raccontarvi un aneddoto che riguarda le Olimpiadi di Londra 2012. Ero in Corea del Nord e sono partito da Pyongyang verso Pechino con la loro squadra di calcio femminile, una delle più forti del mondo, che poi ho visto giocare perché su Sky si facevano vedere tutte le gare. Mi ricordo che avevo provato a parlare con il portiere ma sono stato allontanato. Il primo giorno si presentarono al centro del campo e gli inglesi, che già non volevano la Corea del Nord nel ’66, sono riusciti nell’impresa di far suonare l’inno della Corea del Sud. Io alle coincidenze credo proprio poco… Le coreane sono uscite dal campo, i dirigenti si sono detti di tutto e alla fine sono rientrate in campo le squadre. La partita che vedevo era quella contro gli Stati Uniti e notavo un atteggiamento un po’ infastidito da parte della commentatrice. Avrei voluto far notare che queste ragazze non stavano giocando solamente per l’esito della gara, stavano giocando per la loro vita e per le loro famiglie. Non ci rendiamo conto di cosa volesse dire per queste persone aver battuto gli Stati Uniti. Tutte quelle della rosa avrebbero avuto un appartamento, che sarebbe servito a loro o ai loro genitori con un cambio di vita. Non si stava giocando solamente una partita ma si lottava anche per la loro vita. Tante volte queste storie vanno perse e le loro storie non filtrano. Avendo viaggiato con loro, ricordo che tutte le ragazze erano in divisa perché era passato il ministro e la capitana le aveva presentate. Poi dopo circa 40 secondi all’interno dell’aereo si erano già tutte cambiate per il volo. Si vede che sono abituate a farlo. Ricordo che provavo un senso di vicinanza con chi non sta giocando solo una partita”.

E a proposito di vittorie femminili, Buffa sottolinea i grandi risultati ottenuti dalle azzurre negli ultimi anni: “Le nostre donne sono fenomenali, non c’è movimento a livello scolastico che possa giustificare la bravura delle nostre ragazze. Non so come facciano ma i risultati sono da vedere e non è un caso che, dovendo celebrare alla fine dello spettacolo vari personaggi, ne ricordo uno in particolare: anche se non la nomino mai all’interno dello spettacolo, è Ondina Valla perché vinse la prima medaglia d’oro di un’italiana alle Olimpiadi. Doveva andare a Los Angeles nel ’32 ma sarebbe stata l’unica ragazza e il Vaticano non lo permise. Nel ’36 sono troppe le atlete italiane di livello e lei vince la prima medaglia d’oro negli 80m ostacoli. L’ho voluta forzatamente mettere dentro perché volevo fare un omaggio allo sport femminile italiano”.

Ovviamente, non può mancare una considerazione sul basket azzurro, visto il suo passato da telecronista tecnico della NBA: “Beh sarebbe ora che l’Italia vincesse il preolimpico. Incredibile che non si sia rimasti competitivi in tutti questi anni ma questo è dovuto al fatto che si va a generazioni”.

Infine una curiosa critica mossa da Buffa all’evoluzione delle Olimpiadi nel tempo e all’attuale spirito dei Giochi Olimpici: “Non sono mai stato entusiasta di questa logica di far venire tutti i professionisti a giocare. Forse in questo il calcio fa bene e giocando con under e solo qualche fuoriquota va più vicino allo spirito originario. Vedere i Federer ed i LeBron James alle Olimpiadi mi lascia un po’ perplesso. Tuttavia quando li vedi capisci che i Giochi Olimpici sono ormai diventati la vetrina mondiale dello sport. Federer e LeBron James sono il meglio e quindi ci devono andare. Però personalmente preferisco la versione calcistica che è tutt’altro che romantica: sono semplicemente i club che non ti danno i giocatori ma è più aderente a quello che le Olimpiadi devono essere”.

Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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    1. […] un racconto nel quale ci ha svelato alcuni dei segreti del suo spettacolo, e non perdetevi la seconda parte dell’intervista, nella quale il noto giornalista ci parlerà delle ”sue” […]

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