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Maria durante uno dei tanti tuffi della sua carriera: l’atleta azzurra, sorella dei tuffatori Nicola e Tommaso, tornerà ai Giochi dopo 8 anni

L’argento europeo nel trampolino da 1m (a Torino, nel 2009) rappresenta l’apice della sua carriera. Il 4° posto agli Europei di Berlino del 2014 la più bruciante delusione. I Giochi di Rio una grande occasione di rilancio: a distanza di 8 anni dall’ultima volta (Pechino 2008), e dopo una carriera lunga, nella quale le soddisfazioni e le delusioni si sono alternate in modo quasi scientifico, Maria Marconi tornerà a gareggiare in un’Olimpiade, e lo farà nel trampolino da 3m, gara che vedrà protagonista anche Tania Cagnotto. L’atleta italiana, 32 anni e tanta grinta, ha rilasciato una lunga intervista ad Azzurri di Gloria, ed ecco le sue parole ai nostri microfoni.

Ciao Maria, partiamo dal tuo esordio olimpico: hai partecipato ai tuoi primi Giochi, quelli di Sydney 2000, a 16 anni. Quali sono state le tue emozioni durante le Olimpiadi australiane?

”L’Olimpiade di Sydney è, purtroppo, quella che ricordo di meno, proprio perchè forse, avendo 16 anni, non avevo dato il giusto peso alla gara che stavo facendo: rimpiango il fatto di non essere stata brava a dire ”porca miseria, ho 16 anni e sono alle Olimpiadi”. L’ho presa sotto gamba e questo, col senno di poi, non mi va giù: so benissimo che, se avessi affrontato i primi Giochi ad un’età diversa, quella di Pechino ad esempio, l’avrei vissuta diversamente. Durante le Olimpiadi cinesi avevo una consapevolezza diversa, sapevo già cosa stavo andando a fare e volevo vivermi ogni cosa, anche le più stupide, come ad esempio andare alla mensa olimpica, che non è una mensa qualunque come quelle che si trovano a Roma, ma una città nella città, nella quale trovi atleti che hanno vinto le Olimpiadi. Ripensandoci, è da pelle d’oca, un’emozione bellissima: ancora adesso, se ripenso a quei Giochi vissuti da 16enne, mi do della stupida perchè non ho saputo capire cosa stavo vivendo a quell’età, e che stavo esordendo nella rassegna a cinque cerchi ad un’età giovanissima, mentre ci sono atleti che a 30 anni inseguono ancora la prima partecipazione. Mi rimprovero continuamente per quell’atteggiamento”.

Da atleta, cosa puoi raccontarci dell’esperienza del Villaggio Olimpico? Nespoli ci ha parlato del suo pranzo con Kobe Bryant, che gli chiedeva come fosse andata la sua gara: tu hai vissuto qualcosa di simile o hai incontrato dei tuoi idoli?

”Mah guarda, se mai dovessi avere un idolo dei tuffi, potrei dire di averlo già incontrato, perchè alla fine parliamo di un mondo davvero piccolo, che ci consente di vederci sempre alle gare e socializzare/fare amicizia con una certa regolarità. Pensando ad atleti di altri sport, mi fa piacere ricordare le mie sensazioni su Usain Bolt: è stato bellissimo vedere un atleta come lui, un mostro nella sua disciplina, che scherza con tutti, ”fa il giullare” nel Villaggio Olimpico e si diverte e fa caciara come un essere umano qualunque. Parliamo sempre di un pluricampione olimpico e del mondo, dell’uomo più veloce di sempre, ed il suo atteggiamento dimostra quanto sia importante restare sè stessi e mettere tutto quello che si ha, il 100% della propria passione e di quello che si sa fare, nei momenti giusti, negli allenamenti e nelle gare, ma anche sapersi divertire  al di fuori di questi momenti e scaricare la tensione. Questa cosa mi è rimasta impressa, perchè al di fuori dell’allenamento e delle gare questi grandissimi campioni sono delle persone completamente diverse, dei comuni mortali che non pensano solo alla vittoria delle medaglie”.

Parlavi prima delle differenze che hai riscontrato tra i Giochi del 2000 e quelli del 2008, ed arrivi a questi Giochi dopo altri 8 anni: cos’è cambiato nella Maria atleta da Pechino ad oggi, e come credi che affronterai queste Olimpiadi?

”Sicuramente ho un’esperienza maggiore, e soprattutto noto una presa di coscienza del fatto che Maria, quando si mette sotto pressione e sente il bisogno di dimostrare di essere forte o di strafare, non ottiene mai nulla e va in palla: il mood della Maria del 2016, e l’atteggiamento che ho già dalla preparazione di queste Olimpiadi, è quello di vivere tutto serenamente e senza mettersi sotto pressione, perchè magari con la serenità e dicendosi ”siamo tutte qui per vincere una medaglia, stai rilassata”, posso ottenere risultati. Voglio vivermela così, perchè sicuramente dopo 26 anni di tuffi il gesto tecnico non mi manca, ma mi manca la presa di coscienza di dire ”Maria, vai sul trampolino e sorridi, perchè sei alla tua terza Olimpiade, esperienza ne hai e devi godertela”. E questo voglio fare a Rio, godermi ogni singolo momento e sorridere”.

Hai parlato di questi 26 anni di tuffi, e vieni da una famiglia nella quale i tuoi fratelli Nicola e Tommaso sono stati a loro volta tuffatori della Nazionale: è stata più una scelta quella di intraprendere la carriera nei tuffi, oppure una conseguenza legata alla passione di famiglia?

”È stata una scelta, e devo dire che mia madre ha avuto molto da fare con me, perchè sono ed ero una bambina emancipata, di quelle che volevano fare mille cose: a 6 anni volevo giocare con le Barbie, ma anche con le bambole, quindi vivevo entrambe le cose contemporaneamente. Ho provato tantissimi sport, ma alla fine mancava sempre quel qualcosa in più: vedevo i miei fratelli rientrare dalla piscina dei tuffi con grande felicità ed elettricità perchè continuavano a provare sempre nuove cose, ed allora mi son detta ”ci provo anch’io”. Era quello il mio sport, il continuo cambiamento nell’allenamento, anche se ora verrebbe da dire che si provano sempre gli stessi tuffi e le stesse cose, mi ha affascinato: da bambino sperimenti tutte le fasi del tuo corpo, le botte, i giorni in cui ti senti a mille ed invece vai male, oppure quelli in cui ti senti morto e vai a seimila. Questo mi mancava, il fatto di dover affrontare tutti i giorni qualcosa di differente, ed è quello che ha reso i tuffi superiori agli altri sport ed ha indirizzato la mia scelta”.

Parlando di cambiamenti, tu hai gareggiato sia dal trampolino da 1m che da 3m: in quale due specialità ti sei trovata meglio, e quali differenze ci sono nell’approccio alla gara?

”Sì, io ho sempre gareggiato dal trampolino, anche se da piccola ho provato più volte la piattaforma, prima di diventare più razionale e scegliere di lasciar perdere: mah, è difficile dire dove mi sono trovata meglio, perchè ci sono periodi in cui vengono peggio i 3m e quindi li ”odio”, e lo stesso può capitare dal metro, anche se lì pur essendo stanchi è possibile centrare certi tuffi. Dal metro devi fare i tuffi con precisione ed eleganza, quella gara è un po’ una ”rottura” perchè facciamo gli stessi tuffi e le sbavature sono minime, questioni di millimetri o, ad esempio, della posizione di un alluce: dai 3m invece serve anche la potenza per fare i tuffi, ed il giudice guarda sì l’eleganza, ma anche com’è stato fatto il tuffo e, come dicevi tu, l’approccio al tuffo stesso. Dal metro se, come si dice in gergo tuffistico, ”glielo vuoi dare troppo”, sei quasi sicuro di cappottarti ed entrare abbondante, mentre se dai 3m non dai tutto, non entri nel tuffo. È questa la differenza d’approccio: dai 3m servono grinta e cattiveria, dal metro la classe e la qualità del tuffo. Quand’ero piccola amavo di più il metro, adesso invece ti dico che devi stare a pensare a troppe cose, come entrare di punta ecc: meglio andare dai 3m e pensare di metterci tutta te stessa, e poi vedere che succede”.

Proprio dal trampolino da 1m tu hai ottenuto l’argento europeo a Berlino nel 2009, uno dei tuoi migliori risultati…

”Ripensandoci, ho vinto più medaglie dal metro che dai 3m (ride, ndr). Alla fine mi piacciono molto entrambi i trampolini, però ho notato che negli ultimi anni si punta molto sull’eleganza e sulla qualità del tuffo: prima non ci facevo caso, ora invece questa cosa mi tocca particolarmente e quindi sono più per la gara da 3m. Sono fasi di una carriera, ora la vedo così”.

Nella tua carriera hai ottenuto risultati e medaglie, ma anche parecchi quarti posti: come si superano queste medaglie di legno? Soprattutto quella al mondiale di Shanghai 2011…

”Dopo il Mondiale di Shanghai sono uscite delle cose mal interpretate da chi ha scritto il libro di Tania Cagnotto, e che io non avevo mai detto: non ho mai detto che ”Tania ha preso la medaglia perchè i giudici amano lei e non Maria”, ma sostenevo che, se mi fossi chiamata Cagnotto, oppure Lindberg o Pakhalina, quindi un nome che gira da parecchio nel mondo dei tuffi, probabilmente avrei preso io la medaglia. Forse il 4° posto di Shanghai è quello che mi ha creato meno problemi, perchè era al Mondiale, non ero stata benissimo al ginocchio e quindi l’ho vissuto come uno ”stavo male al ginocchio e sono arrivata lì”. Quello che mi ha fatto davvero male è stato quello di Berlino del 2014, che mi ha turbato tantissimo, al punto da saltare i Mondiali di Kazan e dire al mio allenatore ”basta, voglio smettere”: quel 4° posto mi destabilizzò, si può vedere anche dalla gara dei 3m dove non sono riuscita ad esprimermi. Mi ero stufata, perchè lavori lavori lavori, e poi ti ritrovi quarta con tutti che ti dicono ”Maria, il terzo posto era tuo”, ma senza fare niente per dartelo: d’altro canto, ti dico che, se mi dicessero che a Rio arriverò quarta, firmerei subito, anche se poi subentra quella delusione che era capitata anche a Tania e Francesca, perchè nei fatti sarei la prima senza medaglia. Come ci si riprende? Dipende da quello che uno vuole ottenere e vuol fare: la mia carriera di atleta è sempre stata scandita dal dover cadere e dovermi rialzare, credo che sia anche per una questione caratteriale. Non ho visto tanti atleti rialzarsi continuamente come ho fatto io e tanti hanno mollato alla prima difficoltà, ma probabilmente il destino ha deciso che Maria doveva viverla così, perennemente in gioco con sè stessa, più che con le altre cose”.

Il destino ha deciso anche che Maria debba fare un’Olimpiade ogni 8 anni (Sydney 2000, Pechino 2008, Rio 2016, ndr): come hai preso il fatto di dover saltare i Giochi di Londra 2012, in un periodo che solitamente rappresenta la massima maturità agonistica per un’atleta?

”Ti dirò: l’assenza dalle Olimpiadi 2012 è stata la cosa migliore, perchè non era proprio il periodo. Il problema fisico del 2012 cadde a pennello, perchè era un periodo in cui non sopportavo più i tuffi, non potevo più vedere le piscine e l’acqua: quando mi ero fermata a febbraio perchè non mi ero qualificata non misi più piede in piscina, anche perchè facevo sempre fisioterapia, ma non ho proprio visto le gare o seguito nulla. Probabilmente doveva accadere in quel momento, ed è un bene che sia successo proprio lì”.

E qui anticipi la mia domanda: come si fa a resistere 26 anni gareggiando nei tuffi? Da esterni, sembra uno sport molto ripetitivo…

”Bisogna essere molto tenaci, avere una grande caparbietà, e poi ovviamente dev’esserci una grande passione che ti spinge a fare questo sport e portarlo avanti: io vado avanti spinta dal perfezionismo, dalla voglia di migliorare giorno dopo giorno ed avere una totale percezione del tuo corpo che ti aiuta e ti insegna a fare i tuffi. La passione per la perfezione è quella che ti spinge a continuare coi tuffi, una dote che al di fuori dello sport è difficile da mantenere, e che ti porta a smussare un po’ gli angoli del tuo carattere fuori dai tuffi. Dentro a questo mondo, invece, la ricerca della precisione e della perfezione è costante”.

Una domanda da spettatore o comunque da non-atleta: quando gareggiate, vi accorgete mentre state eseguendo il tuffo se è un un tuffo perfetto, un tuffo da 8 oppure un tuffo completamente sbagliato? Qual è la percezione del vostro corpo in quegli istanti?

”Intanto quando entri in acqua senti proprio fisicamente se il tuffo è sbagliato: hai una percezione tale che senti se ci sono state sbavature, oppure sei entrato scarso o abbondante. Passando al pre-salto, invece, si provano e riprovano talmente tante volte i tuffi, le partenze all’indietro o i pre-salti, arrivi ad accorgerti se sei troppo indietro, oppure storto ecc, e sei allenato a riportare il tuffo alla miglior espressione possibile anche se commetti errori: devi correggere in una frazione di secondo, e quando entri in acqua senti come hai fatto il tuffo, senti tutto. Purtroppo senti tutto (ride, ndr)”.

Prima hai nominato Tania Cagnotto, con cui hai vinto una medaglia di bronzo nel sincro da 3m nel 2002: secondo te può riuscire nell’impresa di battere le cinesi a Rio? E come vedi, in generale, il movimento tuffistico italiano?

”Tania può farcela, lei è sicuramente un talento nei tuffi e sono la prima ad aver messo da parte quell’invidia che poteva esserci quand’ero più piccola, perchè facevamo le stesse gare e lei vinceva, ma io no: c’era quella classica competitività da bambini, ma l’ho messa da parte e sono stata la prima a congratularmi con lei per i suoi fantastici risultati. Sarà un peccato quando io, lei e gli altri smetteremo, proprio perchè la situazione non è rosea: ora, con la piscina nuova, il vivaio giovanile sta iniziando ad entrare in un tunnel di positività, ma la sensazione prima era che non ci fosse ricambio. Probabilmente un gruppo come il nostro non ci sarà per qualche anno, un po’ com’era successo a livello maschile dopo DiBiasi e Cagnotto: non siamo i cinesi che tirano fuori campioni ogni anno ed hanno molti nomi in ballo, da noi i tuffi sono ancora uno sport d’elite, e quindi bisogna avere grandi qualità ed avere alle spalle una famiglia che non si preoccupi al primo infortunio che capita nei tuffi. Servono genitori che insegnino già a 6 anni la caparbietà di cui parlavo prima: tornando al movimento, dovremo aver pazienza, i talenti cresceranno con calma”.

Dal 2000 ad oggi, com’è cambiato il mondo dei tuffi? Mi ricordo le prime gare, e noto la differenza rispetto all’attualità: per fare degli esempi, la ricerca continua del massimo coefficiente, il quadruplo salto mortale (da 3.8, ndr) ecc. Come avete vissuto questi cambiamenti negli anni?

”Il problema del vivaio giovanile è anche questo, ovvero che vivono un mondo nel quale i tuffi si stanno evolvendo e stanno diventando sempre più difficili e complessi: da un lato, mi ritengo fortunata perchè sto invecchiando e non devo fare questi tuffi allucinanti, anche per una questione d’età e di energie che vanno gestite e centellinate a quasi 32 anni. Anche le femmine nel campo mondiale stanno iniziando ad aumentare i coefficienti, e tu devi stargli dietro. Le difficoltà nel cambiare il proprio stile per stare al passo? Mah, sinceramente io ti dico che quando il mio allenatore tenta di farmi provare questi tuffi complessi e molto difficili dico ”no, grazie”, perchè preferisco fermarmi dove sono e fare un tuffo meno ”evoluto” al 100%, piuttosto che fare male un tuffo dall’altissimo coefficiente. Io posso permettermi questo, mentre i piccoli dovranno lavorare tanto su un altro tipo di tuffi ed allenarsi tanto su dei coefficienti diversi: mi ricordo che quand’ero piccola mi alzavo alle 6 per andare in piscina alle 7 e poi andavo a scuola. Ora, con questa piscina, queste cose non succedono più, ma tanti bambini alle 8.30 sono in piscina e, nei giorni in cui non si va a scuola, lavorano duramente invece di restare a casa. C’è un modo di lavorare diverso, stando dietro ai ragazzi e facendoli allenare il più possibile, che porta alcuni a mollare già in tenera età, mentre altri impazziscono se non possono allenarsi e fare ciò che dice il loro tecnico”.

Materialmente, quante ore porta via una preparazione da tuffatore professionista?

”Guarda, solitamente facciamo due ore e mezza-tre ore la mattina e la stessa cosa il pomeriggio: poi, noi che siamo più grandi, sappiamo ottimizzare il tempo che abbiamo. Io so che dormo la mattina sono rimbambita e mi serve più tempo per scaldarmi ed entrare in acqua come si deve: se invece la mattina faccio due ore di palestra, sono subito reattiva e rendo meglio. Sono piccoli accorgimenti che ci consentono di rendere al massimo, e non passare tutta la giornata in piscina, perchè c’è una vita anche fuori! (ride, ndr)”.

Tornando alle gare, qual è stata quella che ti ha lasciato il miglior ricordo, o che hai vissuto con maggior emozione?

”Una gara che ricordo bene è stata quella del Quattro Nazioni del 2013, dove vinsi la medaglia: veniva un anno dopo il problema fisico del 2012 e quel periodo in cui non volevo più gareggiare. Dopo 9 mesi, però, avevo sentito la mancanza dei tuffi, e quando mi portarono a quella gara ed arrivò quel risultato, capii esattamente che dovevo essere rilassata e vivere diversamente le gare per ottenere dei buoni risultati. In quella gara tornavo dopo un anno, non avevo nulla da perdere e mi divertivo tantissimo a fare i tuffi: da lì è arrivato il risultato, e per me è stata la gara della rinascita. Ho affrontato quella gara senza aspettative e fronzoli, per questo dico che l’annus horribilis del 2012 è stato ”terapeutico” e provvidenziale”.

Con quali aspettative andrai a Rio?

”Oddio, questa è proprio la domanda più difficile (ride, ndr)… Innanzitutto dovrò riprendermi al 100% dal problema alla schiena che ho avuto: punto ad arrivare in condizioni tali da poter gestire al meglio il mio corpo ed ottenere un buon risultato. Per il resto, voglio andar là dicendo ”è la mia terza Olimpiade e mi devo godere ogni cosa”, anche il semplice mettere il piede sul trampolino: dovrò gareggiare senza mettermi sotto pressione, essendo sciolta e rilassata, anche perchè quando ero sotto pressione sono andata malissimo! (ride, ndr)”.

Tra le volte in cui ti sei messa sotto pressione, possiamo inserire proprio i Giochi Olimpici?

”Mah guarda, non inserirei Pechino 2008 in questa categoria, perchè io venivo da un piede rotto! (ride, ndr) Agli Europei di Eindhoven io mi ruppi la caviglia perchè volevo vincere quella gara e mi misi sotto pressione, invece al secondo tuffo ero fuori gara e con un piede rotto: ho avuto anche lì un momento in cui mi sono dovuta riprendere e rimettere in gioco, e prima delle Olimpiadi avevo saltato pochissimo ed ero fuori condizione proprio a causa della fisioterapia per la caviglia rotta”.

E chissà quale sarà il risultato ottenuto da Maria Marconi nella gara da 3m dei Giochi di Rio del 2016: auguriamo all’azzurra di strappare un piazzamento di prestigio, nel segno di quella serenità e tranquillità di cui abbiamo a lungo parlato in quest’intervista…

Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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