Valerio Aspromonte è uno schermidore anche lontano dalla pedana: diretto, spigliato, schietto. Non fa troppi giri di parole, non indugia più del dovuto. Il campione olimpico della gara a squadre di fioretto di Londra 2012, insieme a Andrea Baldini, Andrea Cassarà e Giorgio Avola, ha gentilmente concesso un’intervista ad Azzurri di Gloria.
Buongiorno Valerio, innanzitutto parliamo di attualità: come procede la stagione e l’avvicinamento a Rio 2016?
“Ora stiamo facendo le ultime gare di qualificazione. Il commissario tecnico non ha ancora diramato le convocazioni. È dura perché siamo in tanti con i risultati e siamo tanti italiani forti. È un aspetto positivo per l’Italia che ha tanti atleti forti, mentre la cosa brutta per noi è che, appena si perde un attimo il passo, si rischia di perdere il posto a favore di qualcun altro più giovane o più in forma in quell’anno. È ancora lunga la strada”.
Lei sa già se potrà partecipare o meno alle Olimpiadi?
“A fine giugno si saprà con certezza quale sarà la squadra che parteciperà alle Olimpiadi”.
Come si è avvicinato a questo sport così particolare?
“Per caso, perché in realtà ho conosciuto la scherma a scuola, nella mia vecchia scuola elementare di Virgo Fidelis, dove la mia palestra attuale di allenamento aveva aperto ad un corso di allenamento gratuito di tre mesi. Alla fine di questo corso abbiamo fatto una gara, il caso ha voluto che vincessi questa gara e da lì… Sai, il bambino che vince la prima garetta… si innamora di questo sport perché rivede Zorro o figure un po’ così… Da quella volta sono entrato in palestra e non ne sono più uscito”.
E perché ha scelto il fioretto rispetto alle altre discipline?
“In realtà la scelta non è dipesa dalla volontà di usare un’arma al posto di un’altra. Mi sono avvicinato molto al maestro che mi ha fatto il corso, che è ancora il mio attuale allenatore, Salvatore Di Naro. Non sapendo cosa insegnasse esattamente in quella palestra, io decisi che avrei voluto lavorare con lui. Non sapevo se faceva sciabola, fioretto o spada. Era un caso che facesse fioretto e che mi piacesse da subito questa disciplina. Ho scelto lui, non l’arma”.
Secondo Lei, in che cosa Di Naro è davvero il numero uno?
“Ha veramente una grande pazienza, soprattutto quando lavorava con i bambini. Lavorare con loro è difficile perché può capitare quello bravo, con cui l’insegnamento risulta semplice, ma quando capita un bimbo come me, un po’ esagitato… Forse un’altra persona avrebbe mollato: io ero uno che non ascoltava mai, facevo confusione, ero irruento. Invece lui aveva una grandissima pazienza e poi questo l’ha portato a raccogliere grandissimi risultati, non solo con me, ma anche con altri bambini”.
Di Naro ha influito in qualche modo sulla Sua crescita a livello psicologico e nell’approcciarsi alla gara?
“No, io mi sono plasmato da solo. Con questo carattere così esuberante è difficile inquadrarmi. Lui mi è sempre stato accanto nel bene e nei tanti momenti di difficoltà”.
C’è stato un momento particolarmente delicato in cui ha temuto di non farcela?
“L’anno scorso ebbi un brutto infortunio al braccio, ho avuto una brutta epicondirite. Per più di un attimo ho pensato che quella sarebbe stata la fine di tanti anni di scherma perché non riuscivo più ad uscirne da questo dolore. C’erano continue cure, continui interventi. La mia fortuna è stata l’incontro con il medico Parra, che è stato l’unico dopo tantissime cure a trovare la soluzione e a farmi guarire da questo infortunio. Se faccio scherma è merito suo”.
Per uno schermidore è più importante l’Olimpiade o il titolo mondiale? Quali sono le differenze tra queste competizioni, secondo Lei?
“Semplicemente l’Olimpiade c’è una volta ogni quattro anni. Per il resto le gare sono tutte uguali: la competizione di per sé è uguale nei Mondiali, negli Europei e nei Giochi Olimpici. Gli avversari che si affrontano sono sempre i 40, 50 o 60 migliori in circolazione. Ciò che cambia è quanto è sentita l’Olimpiade che c’è una volta ogni 4 anni ed è considerata la gara per eccellenza per la quale un atleta si prepara”.
Dunque non c’è differenza nella pressione avvertita da un atleta?
“No assolutamente”.
Se dovesse scegliere tra l’oro all’Olimpiade e la vittoria al Mondiale, Lei quale preferirebbe?
“Sceglierei ovviamente l’Olimpiade ma anche la vittoria in un campionato del mondo è importante: è come aver raggiunto un sogno. Molti atleti possono vincere un mondiale ma i Giochi Olimpici ci sono ogni 4 anni e bisogna farsi trovare in forma nell’anno giusto. Sono anche circostanze ed eventi che si incastrano a vicenda. In Italia è difficile parteciparvi perché tanti atleti sono forti. Basta poco per entrare in squadra ma altrettanto per uscirne”.
Sotto l’aspetto della preparazione, com’è stato l’avvicinamento a Londra 2012?
“Traumatico perché noi abbiamo lavorato moltissimo. La qualifica è finita 20 giorni prima delle Olimpiadi. È sempre stato un inseguire risultati su risultati, anche a livello psicologico è stata molto dura. Ho sofferto di più la preparazione che l’arrivo a questa competizione”.
Quando ha ricevuto la convocazione per i Giochi Olimpici di Londra, quali sono state le Sue sensazioni?
“È stata una grandissima gioia ed infatti ho pianto di gioia per un’intera giornata. Subito dopo è subentrata una grande pressione per il dover andare a Londra e fare risultato, confermando magari quanto fatto l’anno prima al mondiale. Ma questo fa parte del gioco: è bello vincere ma ancora di più mantenere quello standard vincente. È questa la vera difficoltà di un atleta”.
Com’è il villaggio olimpico?
“Bellissimo. Si sta insieme a tutte le nazioni in un clima di festa. La cosa brutta è il viverlo poco, se non al termine di una competizione. Prima della fine della gara prevale l’ansia, la concentrazione ed è difficile andar lì e far baldoria. Se si vuole vincere: se si per partecipare è un’altra storia”.
Parliamo delle gare: come si sentiva quando si avvicinava il momento della competizione?
“Ogni volta che inizia un assalto si sente una forte pesantezza alle gambe. È l’adrenalina che poi pian piano va sciogliendosi. La sensazione più bella di tutta la competizione è stata il senso di liberazione quando abbiamo vinto: è stato come se mi avessero tolto un peso dalle spalle”.
Le succede di fermarsi ad osservare la Sua medaglia d’oro?
“No, non mi ricapita. La riguardo ogni tre mesi perché la porto ai bambini nelle scuole per parlare di sport. Non la guardo perché mi piace vederla. Non sono nostalgico. Meglio guardare avanti”.
Sempre a proposito di Giochi Olimpici: quali sono i Suoi ricordi di queste manifestazioni sportive? Le seguiva quando era piccolo?
“Sempre. La prima Olimpiade che ho seguito è stata Atlanta 1996, quando vinse Puccini nello scherma. Da lì non ne ho persa una. Ho sempre tifato Italia in tutti gli sport, non solo nella scherma. Sono un grande amante dello sport, tranne che del calcio”.
C’era qualche atleta che preferiva? Ed adesso?
“Mi piaceva moltissimo Michael Jordan, mi piacciono tanto Roger Federer, Floyd Mayweather. Ce ne sono molti”.
C’è un atleta che Le farebbe piacere incontrare a Rio?
“No, ne ho già incontrati tanti a Londra come Usain Bolt, Asafa Powell, Novak Djokovic, Maria Sharapova. Anche se non fa le Olimpiadi, mi piacerebbe incontrare Valentino Rossi per fare un giro in moto insieme”.
Secondo Lei, cosa manca allo scherma per poter essere una disciplina più in vista, al pari di altri sport come il calcio?
“Il calcio è semplice e di facile comprensione per tutti. Per questo è uno sport nazionalpopolare. Inoltre girano somme di denaro allucinanti intorno al calcio. Magari si dovrebbe pubblicizzare di più altri sport meno conosciuti, come la scherma, il pugilato, la canoa, il taekwondo e via dicendo, attraverso l’inserimento di commentatori televisivi all’altezza per poter fare una campagna mediatica all’altezza. Purtroppo questo nella scherma non avviene”.
Torniamo a Londra 2012: qual era il segreto dell’Italia? C’era qualcuno della Sua squadra con cui ha legato di più?
“Antipatie o amicizie ci sono in tutte le squadre. La cosa buona di un team vincente è il fare gruppo, essere uniti per un unico fine, quello della vittoria. Sotto questo aspetto direi che siamo tutti <<addomesticati>>. Siamo tutti in buoni rapporti, soprattutto per cercare di raggiungere l’obiettivo finale. È normale che quando si è in una competizione individuale non si pensa ad un amico. Invece, in una gara a squadre il gruppo cerca di essere il più coeso possibile”.
Concludo con una domanda particolare: cosa consiglierebbe a chi volesse avvicinarsi alla sua disciplina per la prima volta?
“La scherma è uno sport magnifico, uno sport di combattimento dove non ci si fa male, che dà moltissime possibilità di migliorare il proprio carattere, di diventare più svegli e furbi. Inoltre con la tradizione dell’Italia si hanno ottime possibilità di emergere, forse più di altre discipline”.