Capitano, bandiera, leggenda. Sì, Hristo Zlatanov è stato un pallavolista speciale. Lo dicono i numeri: 9688 punti, record assoluto nella massima categoria italiana. E poi per 75 volte Mvp in campionato, il terzo nella classifica dei più presenti. Lo dice anche il palmarès: una Top Teams Cup (attuale Coppa CEV) nel 2005/06, uno scudetto nel 2008/09, una Supercoppa Italiana nel 2009/10, una Challenge Cup nel 2012/13 ed una Coppa Italia nel 2013/14. Gli è mancata solamente la Champions, ma è un rimpianto relativo per un giocatore capace di segnare per sempre la storia di un club come Piacenza. Proprio alla Lpr Volley va il più sentito ringraziamento per aver reso possibile questa intervista.

IL BILANCIO DELLA CARRIERA

Hristo, siamo giunti alla fine del percorso. Come valuta la Sua carriera?

<<Sono contento e soddisfatto di essere arrivato al termine indenne (sorride ndr.). Sono stato abbastanza fortunato perché non ho mai avuto infortuni gravissimi, a parte qualche operazioncina, ma roba da poco. Guardo indietro, non vedo fino in fondo perché sono passati tanti anni, troppi. Sono ad un nuovo capitolo della mia vita. Si apre una pagina bianca, dove va riscritto tutto. Non so cosa e dove, non so se nello sport o altrove. È un altro momento emozionante, interessante da scoprire>>.

Si è parlato di una proposta fatta da Lpr Volley per entrare a far parte della dirigenza.

<<Non so. Fino a quando non mi viene chiesto non so cosa dire. Ovviamente mi piacerebbe rimanere nel mondo volley perché lo conosco molto bene, so di cosa sto parlando e credo di essere competente. Ovviamente questo lo dovranno dire gli altri, ma dopo 25 anni qualcosa ne capirò anch’io. Se mi viene chiesto, lo valuto volentieri. Però fino a quel momento… non so…>>.

Quattordici stagioni consecutive con la stessa maglia. Davvero non ha mai pensato ad un certo punto di cambiare squadra?

<<Come ho detto, di opportunità ne avrò perse. Ci sono state le occasioni di andare a giocare in squadre blasonate con la quasi certezza di qualche trofeo vinto in più. Mi hai chiesto cosa provassi guardandomi indietro. Non è stata una scelta faticosa, è stata una fortuna per me rimanere qui. È vero che le medaglie fanno comodo, soprattutto per un atleta. Però non si vive di quello. Sono riuscito a costruire un certo tipo di rapporto. Semplicemente, camminando per strada mi dà più di una medaglia. Per questo sono felicissimo di aver fatto questa scelta e se tornassi indietro la rifarei mille volte>>.

LE PARTITE DA RICORDARE

Lei ha giocato tantissime partite importanti. Qual è quella che si porterà sempre nel cuore?

<<La partita speciale è quella dell’unico scudetto. Forse perché è l’unico scudetto, forse per quanto è stato travagliato. Ai playoff abbiamo fatto un altro girone di ritorno: avremo giocato qualcosa come 13 o 14 partite. Quello è stato particolarmente goduto, specialmente per come sono andati gli ultimi punti. È l’unico e questo lo avvalora ancora di più>>.

Ancora di più se ottenuto in un palazzetto così caldo come il Pala Trento.

<<Mi rimbombano ancora le orecchie, guarda!>>.

Come ci si sente in quella situazione, con il pubblico che fischia ed il pallone che pesa, vista l’importanza della posta in palio?

<<Quando sei in trance agonistica, senti i fischi, il palazzetto che è veramente caldo, ma per come sono fatto io, spesso mi esalto in queste situazioni. In tutto quel frastuono riuscire a sentire ogni singola parola dei compagni o dell’allenatore che dà le indicazioni, sperando che vadano bene, significa avere una grande concentrazione>>.

IL LUNGO ADDIO

Invece, come si vive il momento in cui si è già annunciato il ritiro, ma ci sono ancora due partite da giocare?

<<La mente è ancora qua dentro, altrimenti non sarei qui. Diciamo che questa cosa mi ha aiutato a fare questo passaggio. Se la festa al Pala Banca fosse stata l’ultimissima partita, sicuramente sarei crollato maggiormente. Sapere che ho ancora 10 giorni di palestra ed un paio di partite mi ha aiutato ad essere più tranquillo>>.

Non ha mai pensato seriamente al ritiro quando, nel 2015, la società è stata veramente ad un passo dalla chiusura?

<<No, in quell’occasione no, perché non me la sentivo e non era il momento adatto. Concludere la carriera con la chiusura di una società non mi piaceva e poi avevo ancora il fuoco dentro>>.

Quando è maturata questa decisione di smettere con la pallavolo?

<<Negli ultimi due anni. Pian piano, strada facendo, maturava sempre di più questa idea, un po’ supportata dai fatti>>.

Ha influito in qualche modo un eventuale calo di rendimento rispetto alle stagioni precedenti?

<<Mah quello è un po’ fisiologico. Si gioca sempre sotto ai propri livelli, ma gli standard erano sempre alti. Poco alla volta mi sono autoconvinto>>.

FAMIGLIA, OLIMPIADI ED AMICI

Cambiamo argomento: Ivan Zaytsev ha raccontato di aver avuto un rapporto burrascoso con il padre perché quest’ultimo non voleva che giocasse da attaccante. È stato lo stesso anche per Lei?

<<Quel rapporto conflittuale non l’ho avuto perché inizialmente c’erano differenze di sport. Mio padre non mi ha mai detto “devi giocare a pallavolo”. Mi ha sempre lasciato scegliere, tant’è vero che sono stato veramente vicino a diventare un giocatore di basket a Milano. Mio padre, per lavoro, si è trasferito a Cuneo, dove non c’era una squadra di basket. Non avevo amici e ad un certo punto gli ho chiesto: “Papà, mi porti in palestra con te? Non ci sono squadre giovanili?”. Lui ha accettato, mi ha portato in palestra per una scelta mia quasi obbligata. Se fossi rimasto a Milano, sicuramente sarei andato avanti con il basket>>.

Lei ha preso parte ai Giochi Olimpici di Pechino 2008. Quali sono i Suoi ricordi di quell’esperienza?

<<Le Olimpiadi sono la massima aspirazione di qualsiasi atleta di qualsiasi sport. È una sensazione bellissima parteciparvi. Ne ho mancate un paio, ma alla fine sono riuscito ad andare a Pechino. Me le avevano sempre raccontate, mi avevano raccontato tutto, anche com’erano i due mesi di ritiro, dove si andavano a ritirare gli accrediti, dove si trovava la mensa… Tutto bello. Quando mi sono presentato lì fisicamente, era come se l’avessi già vissuta. Mi hanno raccontato tutto veramente per filo e per segno. Le sensazioni, gli odori ed i colori che vedi lì, sul posto sono indescrivibili. È la cosa che mi ha colpito di più. Veramente bella e magnifica>>.

È piacevole perché si vive il proprio sport al massimo livello?

<<No, si respira lo sport in pieno, quello di tutto e di tutti. Pranzare con accanto Federer, di fianco a Phelps… tutti si aspettano una dieta rigorosa, ma Phelps prima della sesta medaglia olimpica a Pechino si è mangiato due Big Mac con le patatine fritte. Aveva bisogno di calorie perché ne bruciava tante, però se ne vedevano di tutti i colori. La mensa sarà lunga 200 metri con 40 cuochi. Tu sei mescolato con tutte le nazioni, con tutti gli sport. Quello è il bello perché altrimenti è impossibile tenere tutti insieme. Ci sono delle tavolate in cui ognuno si siede dove trova>>.

Tra l’altro, Lei ha condiviso quell’esperienza con un caro amico: Vigor Bovolenta.

<<Infatti, quello che mi raccontava tutto.. mi ha fatto una testa così… era lui. In ritiro è stato bravissimo: mi ha raccontato tutto e quando mi sono presentato era come se avessi già fatto l’Olimpiade. Era uguale a come me l’aveva raccontato, per filo e per segno. Eravamo in camera insieme, anzi, lo siamo sempre stati. L’unica cosa che non riusciva a trasmettere era l’odore, anche quello del sudore. Dopo gli allenamenti ti trovi il tennista o il giocatore di basket o di badminton e si va in lavanderia rapidamente. Lì ognuno ha il suo sacchettino, c’è il posto dedicato e si lascia lì tutto. Non è come a casa. Quindi è una grande comunità bellissima>>.

Restando su Vigor, cosa Le ha lasciato a livello umano?

<<Mi ha lasciato tanto. Un grande amico, una grande mancanza… è dura parlarne anche a distanza di anni perché… perché è come perdere un fratello. Eravamo sempre insieme, per 8 anni sempre come compagni di stanza. Ho avuto la fortuna di giocare qui a Piacenza con lui. Anche in Nazionale ero in camera con lui. Avevamo tutti e due la casa a Ravenna e quindi durante le estati trascorrevamo insieme le vacanze. Si è sentita la botta forte forte forte. Si sente tuttora la mancanza>>.

Anche per questo è stato speciale per Piacenza vincere la Challenge Cup nel 2013 ad un giorno esatto di distanza dalla scomparsa di Bovolenta. C’era un po’ la percezione di assistere a qualcosa di magico.

<<C’era quella sensazione. In quell’occasione abbiamo stabilito un record che al massimo può essere eguagliato, ma non battuto: abbiamo vinto la Challenge Cup senza perdere un set. 3-0 dall’inizio alla fine e non era una Coppa di basso livello o noi eravamo straforti. Sono capitate e si sono combinate alcune cose.. Bello che sia un record al massimo eguagliabile, ma non battibile>>.

È una delle più grandi soddisfazioni della Sua carriera.

<<Sì, ma ce ne sono state tante. C’è anche una vittoria che nessuno menziona: i mondiali militari. Erano la competizione riservata a chi prestava il servizio militare. Eravamo un grandissimo gruppo con Biribanti, Cisolla, Boninfante e tanti altri. È stata una grande esperienza. Per quanto riguarda il volley, ci autogestivamo. Siamo riusciti a vincere anche quello. Lo ricorderò sempre con piacere perché è stato bellissimo>>.

I CONSIGLI DI HRISTO

Ultime domande: cosa consiglierebbe ad un giovane interessato ad intraprendere la carriera da pallavolista o interessato ad avvicinarsi a questa disciplina?

<<Faccio il vecchio? (ride ndr.) La pallavolo è diventata molto fisica e molto settoriale e specializzata, mentre una volta si insegnavano molto i fondamentali a tutti quanti e solamente dopo si sceglievano i ruoli. Io adesso vedo che c’è molta meno tecnica. Quello che consiglierei a chiunque, dal centrale all’opposto, è non focalizzarsi solamente sul proprio ruolo. Ad esempio, una volta, i centrali sapevano ricevere. Se prendete ad esempio Tencati e lo mettete a ricevere è assolutamente in grado, anche se sono 15 anni che non lo fa più. Se prendete un centrale odierno, specializzato su attacco e muro, non riesce a fare un appoggio. Il mio consiglio è fare tanta tecnica e poi scegliere il proprio ruolo. In questo modo si può andare sempre più avanti>>.

Consigli da allenatore o preparatore…

<<Sì ma tanto non farò mai l’allenatore, quindi… Ci hai provato eh? (sorride ndr.) No, non lo farò perché sono qua ed alla prima vostra domanda sul perché fossi rimasto a Piacenza ho risposto che era una scelta di vita. Quindi se adesso dovessi iniziare a fare l’allenatore, significherebbe iniziare a girare perché non sarebbe pensabile fare il tecnico di una prima squadra, restando 15 anni nello stesso posto. Ho fatto la stessa scelta di restare nello stesso posto e sarò coerente con quanto fatto finora>>.

Ma nel mondo del volley come ti vedresti ora?

<<Non lo so. So soltanto che non vorrei rinunciare a 25 anni di carriera fatti bene. Se potessi sfruttarla come bagaglio tecnico e proseguire in questo mondo, sarebbe molto bello. Altrimenti si apriranno tante altre porte>>.

A proposito di futuro, ci sarà ancora posto per un Zlatanov junior nel volley?

<<Ce ne sono due di Zlatanov, un maschio ed una femmina. Attualmente fanno rugby e danza. Ma come mi sono trovato benissimo io a non essere indirizzato su una cosa, loro fanno quello che gli piace. L’importante è fare sport. È l’unica cosa su cui ho insistito. Lo sport insegna a vivere, il rispetto per le regole e tante altre cose. È molto importante>>.

Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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