Una pausa nel mezzo di un discorso può dire tanto. Può esprimere incertezza, richiedere un momento di riflessione, di chiarezza. Può invitare a cercare uno sguardo per capire cosa può provare l’interlocutore in questione. Ieri pomeriggio, al termine della staffetta 4×200 gli occhi di Federica Pellegrini erano gonfi di lacrime. Un pianto trattenuto a stento di fronte alle telecamere ed una delusione lampante, stampata in volto e troppo evidente per simulare un altro stato d’animo. Quello sguardo triste raccontava tutta la sofferenza di un atleta che, per la prima volta dopo tanti anni, non riusciva a trovare una spiegazione ad una gara andata in modo differente da come l’aveva immaginata e sognata.
È certamente un flop diverso da quello di 4 anni fa. A Londra 2012, Federica si presentò con tanti problemi esterni alla piscina. Bisognava ancora gestire la vicenda sentimentale con il nuotatore Filippo Magnini. E poi la campionessa di Mirano non riusciva a trovare un’intesa con gli allenatori che la seguivano. Non era più scoccata quella scintilla che ci fu con Alberto Castagnetti. La perdita della sua guida tecnica è stato indubbiamente un episodio che ha inciso profondamente sulla carriera della Pellegrini. Nel 2012 gli alti e bassi nella vita sportiva ed extrasportiva condizionarono inevitabilmente l’andamento di quei Giochi Olimpici.
Quest’anno, invece, la preparazione era stata focalizzata su Rio con buone aspettative, soprattutto dopo l’ottimo Europeo 2016. Dunque c’erano grandi aspettative, se non tanto per la medaglia d’oro (vista questa Katie Ledecky così imprendibile) almeno per il podio. Non è stato così. Il tocco al piattello del bordo piscina, lo sguardo verso il monitor che segnala le posizioni e l’amara scoperta. Niente podio. Un quarto posto per pochi centesimi, dal sapore amaro come pochi altri piazzamenti nella sua luminosa carriera. E stavolta nemmeno la sua cavalcata ha salvato le azzurre dall’eliminazione nella semifinale della 4×200. Cosa può essere successo? Nemmeno Federica se lo riesce a spiegare. C’è chi sostiene che si tratti della fine del dominio di questa straordinaria atleta, chi parla di inevitabile ricambio generazionale in corso, con la Ledecky ormai diventata il riferimento in questo sport a suon di vittorie e record triturati. Fattori e teorie con un fondo di verità. Ma più semplicemente viene ribadita una legge non scritta dello sport. I Giochi Olimpici sono una manifestazione a sé, non solo per l’unicità dell’evento, ma anche per gli esiti delle competizioni nelle discipline. Le sorprese sono all’ordine del giorno ed è sempre molto difficile confermarsi per i numeri 1. Non è un caso se tanti campioni non hanno mai sfondato alle Olimpiadi, perché è complicato farsi trovare nel miglior periodo di forma in una settimana precisa. Tutto ciò, senza considerare altre varianti, come una giornata storta o uno stato di grazia di un outsider. Tante componenti hanno agito e determinato l’argento precoce di Atene 2004 e l’oro della consacrazione a Pechino 2008 nei suoi 200 m. Altrettanti elementi hanno portato a questo triste quarto posto.
Fine della corsa? Più no che sì. Lo ha ammesso la stessa Pellegrini. Non può chiudere così. Non dopo gli acuti all’ultimo europeo ed una stagione decisamente positiva fino ai Giochi Olimpici. E la Regina della vasca si merita un’altra occasione. Perché l’addio alla piscina deve essere in linea con la sua carriera. Ma in ogni caso, comunque andranno le prossime gare, il suo segno sul nuoto sarà incancellabile. 12 anni al top ed un numero sterminato di titoli, superando e battendo avversarie e primati di ogni sorta. Per questo l’affermazione di tante colleghe di intravedere in lei il riferimento in questa disciplina, nonostante le ultime prestazioni al di sotto delle aspettative. La giovane Ledecky potrà cancellare il nome di Federica Pellegrini dal libro dei record. Non c’è niente di male, è un passaggio naturale e drammatico che si consuma regolarmente nello sport. Successe alla Manadou, superata dall’italiana, sta accadendo ora alla nuotatrice azzurra. Ma certamente la statunitense non potrà passare la spugna sopra emozioni uniche, che non stanno in un albo d’oro, ma nel cuore degli appassionati. Non si dimenticheranno questi 12 anni leggendari, che hanno sancito un’epoca. Un’epopea indimenticabile.