Si dice che l’Italia sia un paese di poeti, santi e navigatori. Ma non è così. La verità è che il nostro è un popolo di artisti, ed essendo la lotta (professionistica) un’arte, questo fa di noi dei lottatori. E viceversa.
Ma se la boxe tricolore è finita sotto le luci dei riflettori per i motivi sbagliati (zero medaglie non si vedevano da Atlanta 1996), la spedizione azzurra nelle rimanenti discipline – judo e lotta, appunto – si può considerare più che positiva: tre medaglie, una per metallo, insieme all’immancabile legno, sono un bilancio più che buono.
Ma non ditelo al nostro Frank Chamizo.
È bastato guardarlo negli occhi appena prima dell’incontro valevole per la medaglia di bronzo contro lo statunitense Frank Molinaro: al ventiquattrenne caporale dell’Esercito il gradino più basso del podio stava stretto. Perché lottatori non si diventa, si nasce. E il cubano naturalizzato italiano ne sa qualcosa. Un’infanzia difficile, temprante – quando non combatteva per le medaglie, ma per sopravvivere -, che lo ha portato a essere uno dei più talentuosi e vincenti prospetti nella lotta libera. Bronzo, a soli diciotto anni, ai mondiali di Mosca 2010, quando ancora militava nella categoria 55kg; poi il passaggio ai 65kg (unico motivo del debutto “tardivo” alle olimpiadi, avvenuto proprio a Rio): un argento agli europei di Baku 2015 e due ori, uno ai mondiali di Las Vegas 2015, l’altro agli europei di Riga 2016.
Un’olimpiade vissuta con freddezza e maturità, che lo ha portato a vincere molti incontri nella seconda ripresa, ma mai immeritatamente. Una medaglia, quella nella lotta libera, che mancava all’Italia da Mosca 1980, quando a conquistarla fu Claudio Pollio; la prima nella nostra storia nella specialità 65kg: per un debuttante un bronzo simile è la più dolce amarezza possibile.
Daigoro Timoncini, l’altro italiano impegnato nella specialità di lotta (greco-romana, 98kg), si è invece fermato agli ottavi, sconfitto dall’armeno Arthur Aleksanian, che avrebbe poi conquistato la medaglia d’oro. Una sconfitta agli ottavi, contro l’oro futuro, anche per Edwige Gwend, una dei membri della spedizione azzurra impegnata nel judo, dalla quale sono arrivate enormi soddisfazioni: ma se Elios Manni e Valentina Moscati non sono riusciti ad andare oltre i sedicesimi, se Matteo Marconcini si è dovuto accontentare della medaglia di legno, alcune delle più grandi gioie di Rio 2016 ce le hanno regalate Odette Giuffrida e, soprattutto, Fabio Basile.
Anche per Odette, classe ’94, specialità 52kg, era la prima olimpiade. Judoka da quando aveva sei anni, è riuscita a superare la due volte medaglia d’oro europea Andreea Chitu ai quarti e la due volte argentata (Tyumen 2015 e Baku 2016) Ma Yingnan in semifinale, salvo poi doversi inchinare alla kossovara Majlinda Kelmendi: una medaglia d’argento al debutto resta comunque un’enorme soddisfazione. Con la consapevolezza che Odette, sorella di Christian, noto al grande pubblico per la partecipazione al reality show “Campioni il sogno”, campionessa lo è. E per davvero.
Ma la gioia più grande, e non soltanto perché ha rappresentato la duecentesima medaglia d’oro italiana alle olimpiadi, è arrivata da Fabio Basile.
Sul tatami, in finale contro il campione del mondo in carica, il sudcoreano An Ba-ul, Fabio non era certo il favorito. Un terzo posto agli europei, un altro ai giochi del Mediterraneo, 71% di vittoria in carriera: ma a poco più di vent’anni, ancorchè ciò costituisca la tua passione, la tua vita da quando ne avevi sei, si ha sempre qualcosa da dimostrare. Forse tutto. A sé e agli altri. Non importa se nel tuo percorso hai incontrato, e battuto, la più giovane medaglia di bronzo mondiale, Nijat Shikhalizada, oppure l’oro ai giochi asiatici Tömörkhüleg: contro il campione del mondo tutti pensano che tu non ce la possa fare.
Ma al classe ’94 Basile è bastato poco più di un minuto, ottantaquattro secondi, per coronare il sogno di una vita intera. Una vittoria netta, ottenuta grazie a un ippon (l’equivalente del knock-out pugilistico): è oro nel judo 66kg, il duecentesimo per l’Italia delle olimpiadi.
Quasi a ricordarci che ci vogliono pochi secondi per realizzare i propri sogni, purché si abbia lavorato una vita intera per renderli realtà. Purché ci si rialzi dopo ogni ko.
Anzi, dopo ogni ippon.