17 settembre 2016: il programma di atletica delle Paralimpiadi sta volgendo ormai al termine. Per l’Italia è arrivato il momento di una delle gare più attese, quella dei 100 metri T42. Tocca a Martina Caironi, chiamata a difendere l’oro vinto quattro anni prima a Londra. Contro di lei, la solita tedesca Vanessa Löw, la rivale di mille battaglie e contro la quale aveva già duellato qualche giorno prima nel salto in lungo. Oro Löw, argento Caironi. Italia 0, Germania 1. Come del resto ampiamente pronosticabile, perché più che il salto è la corsa il pezzo forte della bergamasca.
Nei 100 metri piano ha vinto tutto quello che si poteva vincere: due titoli Mondiali (2013 e 2015), il titolo Europeo nel 2015 e nella sua categoria è pure la primatista del Mondo. Difficile non indicare in lei la favorita d’obbligo alla vigilia, con tanto di carico di pressioni e responsabilità supplementari che da questo status ne derivano. E se a tutto ciò si aggiunge anche il fatto che alla cerimonia di apertura è stata la portabandiera, abbiamo anche il carico da 90 che completa la gigantesca spada di Damocle che pende sul suo capo. Ma fin dalle batterie del mattino, la Caironi sembra voler mettere subito le cose in chiaro, settando una nuova dimensione per il record paralimpico e, ovviamente, il miglior tempo di accesso alla finale. Una vittoria perentoria, fuga dopo la sparo e arrivederci una volta tagliato il traguardo. E alla sera, nella notte profonda in Italia, il copione pare ripetersi: Martina semina tutta la concorrenza, poi quando il traguardo è in vista, un rallentamento. “Stavo perdendo la protesi” spiegherà a caldo una volta giunta in zona mista “e ho rallentato per controllare dove fosse la tedesca”. Dietro di lei arriva, come da pronostico Vanessa Löw. Italia 1 Germania 1.
Alle loro spalle, infuria invece la lotta per la medaglia di bronzo. Dalla quale ne esce vincitrice un’altra italiana. Si chiama Monica Contrafatto, e a Martina Caironi deve tutto. La storia avrebbe tutto per essere a pieno diritto una sceneggiatura di Hollywood: l’infanzia in Sicilia sognando un giorno di indossare la divisa da Bersagliere, folgorazione di bambina, il sogno realizzato che diventa un incubo un giorno di primavera del 2012, quando una pioggia di granate su una pattuglia italiana lascia a terra senza vita il sergente Michele Silvestri, è il caporale maggiore scelto Monica Contrafatto ferita gravemente. A quell’attacco, la futura medaglia di bronzo paralimpica paga un tributo salato: amputazione della gamba destra, mezzo metro di intestino rimosso, l’arteria femorale sostituita dalla vena safena, l’osso della mano ricostruito con un “prestito” dalla gamba.
Ma se la vita toglie, la vita dà. Accade una sera di agosto, l’anno sempre il 2012. A Londra Martina Caironi si sta preparando per disputare la finale dei 100 metri piani categoria T42 in quella che per molti è stata la più bella Paralimpiade di sempre. Attorno a lei e alle altre concorrenti, uno stadio pieno in ogni ordine di posto e un’atmosfera che a ripensarci a quattro anni di distanza, mette la pelle d’oca. Un migliaio di chilometri più a Sud, in un ospedale italiano, il caporale maggiore scelto Monica Contrafatto, in piena fase di riabilitazione dopo aver dribblato l’appuntamento con la signora in nero, osserva la gara alla televisione. È la folgorazione. Tornata a casa, Monica cerca Martina, per chiederle aiuto con le protesi e per chiederle un consiglio: “Come faccio a correre veloce come te?”. Le due diventano amiche e gara dopo gara costruiscono il gran finale di questa storia meravigliosa.
Sublimata nell’abbraccio fra le due appena varcata la linea: c’è la Caironi, distesa a terra, distrutta e in lacrime, a sfogare la tensione di quattro anni di lavoro, di dieci giorni passati a mordere il freno in attesa di scendere in pista. E, diamine, che sospirone di sollievo: la protesi non ha fatto scherzi ed è rimasta al suo posto, evitando alla Martina una beffa epocale. Sopra di lei, c’è Monica Contrafatto in piena eruzione di felicità. Quello che in un primissimo momento pareva una follia, si era tramutata in incredibile realtà. Ce l’aveva fatta, aveva mantenuto la promessa che si era fatta quella sera di quattro anni prima in un letto di ospedale: “fra quattro anni voglio esserci anche io”.
Prima Martina Caironi, terza Monica Contrafatto. Ma la storia potrebbe non finire qui. “Adesso vogliamo una tripletta italiana, chissà la prossima potresti essere tu!” ha detto Martina indicando la telecamera. E chissà che qualche altra ragazza, che in quel momento stava guardando la televisione, non si sia promessa di essere su quel podio fra quattro anni a Tokyo…