Ercole Baldini: storia del campione olimpico di ciclismo alle Olimpiadi di Melbourne 1956. Ripercorriamo la sua carriera nel nostro racconto.
UN CAMPIONE ECLETTICO
Scalatore coriaceo. Ma anche passista dallo spunto veloce. Ercole Baldini è stato questo e molto altro. Sicuramente, è stato uno dei volti più famosi del ciclismo del secondo Dopoguerra in Italia. Ha vinto tanto, in ogni ambito. Forse, è questa una particolarità che lo rende un unicum. Se già è complicato essere un campione, ancora di più lo è imporsi in discipline diversi, in mondi contrastanti tra loro.
IL RECORD DELL’ORA ED I PRIMI ACUTI
Nato il 26 gennaio 1933 a Forlì, quarto di sei fratelli maschi, lasciò gli studi a 17 anni. Troppo forte il richiamo di quel veicolo con due ruote, chiamato bicicletta. Troppo intenso il fascino di un attrezzo che ai suoi ordini sarebbe presto diventato uno strumento magico. I risultati gli diedero presto ragione: record dell’ora nel 1954, con 44,870 km percorsi in 60 minuti. Poi una lunga rincorsa verso le Olimpiadi di Melbourne 1956, con una serie di risultati importanti. Il 1956 fu uno dei due anni più importanti della sua carriera. Prima fu campione nazionale di inseguimento su pista tra i dilettanti e poi iridato, beffando sempre Faggin. Quindi, mandò in visibilio il Velodromo Vigorelli di Milano, battendo nuovamente il record dell’ora, stavolta ai danni di Jacques Anquetil, con una misura di ben 46,393 km.
ERCOLE BALDINI: ORO OLIMPICO A MELBOURNE 1956
A Melbourne, Ercole era pronto a riscrivere la storia. Forse se lo sentiva perché quel 1956 era veramente magico. E poi le Olimpiadi danno sempre qualcosa di particolare. Baldini fu scelto per disputare la prova in linea. Il circuito australiano non era semplice, data la presenza di un’insidiosa salitella nel finale. Una piccola asperità che poteva tagliare le gambe a molti favoriti. Non a lui, non al “treno di Forlì”, come lo chiamavano gli appassionati. Ercole era una locomotiva sui pedali, tanto forte e travolgente era la sua azione. Ma, oltre al fisico prestante, Baldini possedeva anche una notevole visione di gara. Forse, in cuor suo, aveva già individuato con accuratezza in quella salita il punto in cui accendere la miccia. O forse in quel momento sentì una voce interna, la guida di tanti ciclisti, sussurrargli: “Vai, è questo l’attimo giusto!”. La piccola asperità divenne un trampolino verso il trionfo. Ercole scattò e lasciò tutti alle spalle. Veloce ed inafferrabile. Potente, ma ugualmente leggero nel suo incedere. Via, dunque, verso il traguardo. Verso la medaglia d’oro. Una soddisfazione indelebile.
IL 1958 ED IL DECLINO
Il bello dello sport è la capacità di rendere immortali alcuni atleti per le loro gesta. Il brutto, invece, sta nella rapidità con cui bisogna accantonare il passato e guardare avanti. Ercole scelse il professionismo nel 1957, dopo l’abbuffata dell’anno prima. L’inizio fu sorprendente: campione italiano e vincitore del Trofeo Baracchi, insieme a Fausto Coppi, regalando a questi l’ultimo successo della carriera. Al primo Giro d’Italia chiuse terzo, ma decise di tentare l’assalto alla Maglia Rosa nel 1958. Non era semplice. Gli avversari più temibili erano il belga Jean Brankart ed il lussemburghese Charlie Gaul. Fu una dura battaglia, ma Ercole, grazie alla sua costanza di rendimento, riuscì ad imporsi, staccando i rivali rispettivamente di 4 e 6 minuti. Il 1958 non era finito. C’erano ancora i mondiali a Reims. Baldini decise di tentare l’assalto alla maglia iridata, dopo aver conquistato la Rosa. Il suo assalto iniziò da lontano, lontanissimo. Da 250 km alla conclusione. Una cavalcata delle sue, con gli avversari raggiunti e superati, uno dopo l’altro. Fino al traguardo ed alla vittoria finale. Ercole aveva realizzato un’impresa incredibile: vincere nello stesso anno Giro e Mondiale. Tutti si immaginavano un futuro ancora più ricco di imprese e successi per il “nuovo Coppi”. Ed invece, quel 1958, rappresentò l’apice per Ercole Baldini. Fermato da acciacchi e, forse, anche appagato dalle grandi vittorie, finì per non ripetersi più su alti livelli. Nel 1964 salutò il mondo del ciclismo, ma nessuno potrà mai dimenticare quel triennio magico.