“Innanzitutto ci vuole stile, perché la tecnica si può anche imparare”, la ripeteva sempre questa frase Giuseppe Dordoni, indimenticato marciatore azzurro degli anni ’40 e ’50, perché per lui l’eleganza del gesto atletico era tutto. Ed è stata anche questa sua ostinazione nella ricerca dello stile a farlo diventare uno dei migliori interpreti della marcia, declinata su tutte le distanze possibili.
Giuseppe, “Pino” per gli amici, nacque a Piacenza, nel quartiere Sant’Anna, ed è proprio lì che si avvicinò al mondo dell’atletica, in particolare della corsa. Grazie all’intuito di Guido Rizzi, suo futuro allenatore, Giuseppe virò verso la marcia concentrandosi sulle brevi distanze. Nel 1946 vinse il suo primo campionato italiano nella 10 km, mantenendo il titolo per dieci edizioni consecutive, a cui aggiungere l’ultimo sigillo datato 1957. Nel frattempo un altro mito della storia della marcia azzurra, Ugo Frigerio, consigliò a Pino di allenarsi maggiormente sulle lunghe distanze, prima nella 20 km e poi nella 50 km. Il campione milanese, oro ad Anversa 1920 e a Parigi 1924, intuì subito le potenzialità di Dordoni su distanze più probanti, ne affinò le capacità e ne curò la crescita. Solo pochi anni più tardi, nel 1950, Pino si laureò campione europeo nella 50 km di Bruxelles, confermandosi come il miglior interprete della distanza, rafforzando così la sua leadership.
Helsinki 1952
Come tutti i grandi atleti il sogno di Dordoni era la vittoria all’Olimpiade. Ed Helsinki era il posto giusto per assurgere alla gloria, bisognava infatti riscattare la partecipazione, senza medaglia, a Londra di quattro anni prima. Il 21 luglio 1952 era in programma, nei viali alberati della capitale finlandese, la 50 km di marcia. L’avvicinamento alla gara della vita fu per Pino a dir poco turbolento. L’azzurro arrivò ad Helsinki dopo un viaggio durato 52 ore nel quale aveva dovuto sopportare l’asportazione delle unghie degli alluci, compromesse da un’infezione. Non proprio il massimo per chi, come lui, faceva dei piedi le ali per il successo. I suoi rivali erano inoltre tra i più agguerriti di sempre. Ai nastri di partenza, oltre ai russi per la prima volta alle Olimpiadi, si presentarono lo svedese John Ljunggren, campione olimpico in carica, e i temibili Josef Dolezal e Antal Roka. Proprio il vincitore della 50 km di Londra prese subito la testa della gara mantenendola fino al 35° km quando uno strepitoso Dordoni lo raggiunse. I due continuarono spalla a spalla per alcuni chilometri fino a quando l’azzurro non impose lo strappo finale. Nel rettilineo dello Stadio Olimpico di Helsinki ci fu un boato quando entrò Giuseppe, solo e senza nessun inseguitore in grado di impensierirlo. Il trionfo era totale, il cronometro segnava il tempo ottenuto: 4 ore, 28’ 07” e 8 decimi, nuovo record del mondo!!! Pino aveva sconfitto tutti e tutto, rivelandosi il migliore della categoria, dietro di lui arrivò il cecoslovacco Dolezal , staccato di ben 2′ 30″, terzo l’ungherese Roka, solo nono lo spauracchio Ljunggren. A commentare quell’impresa c’era anche Italo Calvino, allora giovane inviato del quotidiano “l’Unità”.
Ancora successi
La carriera del piacentino non si fermò in Finlandia. Egli continuò a rappresentare l’Italia alle Olimpiadi del 1956 e del 1960 e a marciare ininterrottamente fino al 1962. Il suo palmares si arricchì così di altri 11 titoli italiani, rispettivamente 6 nella 20km e 5 nella 50 km. Ai Giochi del Mediterraneo, poi, riuscì nell’impresa di conquistare altri due ori, portando il suo personalissimo score a 502 vittorie su 600 gare disputate. Mostruoso.
Abbandonate le competizioni, Pino si dedicò al ruolo di allenatore della nazionale italiana di marcia prendendo così parte ad altre 7 competizioni olimpiche. E anche sotto l’aspetto tecnico il segno di Dordoni fu tangibile, infatti, sotto la sua ala protettrice si affermò Abdon Pamich, suo degno erede, vincitore dell’oro a Tokyo 1964. A distanza di anni il suo stile di marcia viene considerato come il migliore in assoluto nella storia della disciplina. Questo primato, unitamente a quelli conquistati nella sua ventennale carriera agonistica, lo hanno reso indimenticabile per il grande pubblico.