levratto

”Oh oh oh oh che centrattacco!
Oh oh oh oh tu sei un cerbiatto!
Sei meglio di Levratto, ogni tiro va nel sacco, oh oh oh che centrattacco!”

Sono pochi gli attaccanti che sono riusciti a guadagnarsi uno spazio in una canzone (in questo caso, un pezzo del Quartetto Cetra), e ancor meno quelli che si sono ritagliati un posto in quel percorso che va a metà tra la storia e la leggenda che è tipico dei pionieri del calcio italiano: bene, Virginio Levratto è uno di questi, e la sua storia, ricca di spunti di colore, merita di essere raccontata, anche perché l’ha visto prendere parte a ben due Olimpiadi, lasciando il segno in entrambe le edizioni.

Virginio Felice Levratto, per i posteri ”lo sfondareti”, nasce a Carcare (SV) il 26 ottobre del 1904, e sin dalla giovane età muove i suoi primi passi nel mondo del calcio: nell’età dei cosiddetti ”pulcini”, infatti, il piccolo Levratto fa il suo esordio con il Savoja Vado Ligure, prima di firmare a 12 anni col Lampos (3° categoria) e passare nel 1918 al Vado Ligure, compagine di seconda divisione (la nostra Serie B) che è legata all’inizio effettivo della sua storia.

Com’era tipico allora, Levratto fa il suo esordio in prima squadra a 15 anni, e nel 1922 ecco il primo (e unico) trofeo della sua carriera, quella Coppa Italia che rappresenta il punto più alto di una società, il Vado Ligure, che milita nell’attuale Serie D: la coppa non era affatto strutturata come al giorno d’oggi, e nella sua prima edizione era un torneo a inviti aperto ad ogni società che avesse un campo recintato, con un tabellone abbastanza contorto e difficile da districare, che finisce col portare in finale il Vado di Levratto e l’Udinese. Dopo una partita interminabile, con lo 0-0 che si protrae oltre i tempi regolamentari e, complice le regole dell’epoca che vedevano i match andare a oltranza fino al gol di una delle due squadre, al 130° minuto, è proprio Levratto a segnare il gol decisivo ”a suo modo”: il suo tiro è spaventoso e sfonda di netto la rete difesa dal portiere, passando dall’altra parte e uscendo fuori dal campo. Dopo qualche minuto concitato, però, l’arbitro convalida, e nasce la vicenda dello sfondareti” Levratto, che diventerà una leggenda per la potenza dei suoi tiri ed alcuni episodi ad essa legati.

Passano solo due anni e Levratto partecipa a una delle prime spedizioni della nazionale ai Giochi Olimpici, vestendo (nonostante la sua squadra giochi in B) la maglia azzurra a Parigi 1924: proprio qui arriva il suo esordio con l’Italia, ma è nel match seguente, quello col Lussemburgo, che Virginio accresce definitivamente la sua fama di attaccante dal sinistro-bomba. Durante la gara infatti, un tiro potente di Levratto centra in pieno il portiere avversario Bausch, che crolla a terra sanguinante: sul primo momento la dinamica è poco chiara, ma è lo stesso estremo difensore a svelare la sua abitudine a tenere la lingua tra i denti durante la partita, che gli costa proprio la perdita di parte della lingua a causa della fortissima conclusione. Un episodio-horror, che ai giorni nostri porterebbe come minimo alla sostituzione e/o al ricovero del malcapitato, ma che in un calcio pionieristico e lontano dai giorni nostri si risolve con una medicazione alla bell’e meglio e il ritorno tra i pali di Bausch: e succede così che, pochi minuti dopo, Levratto si ritrovi nuovamente davanti alla porta ed il portiere lussemburghese, nel vedere lo ”sfondareti” abbandoni la porta e vada a nascondersi dietro la rete per paura di subire un nuovo infortunio. Virginio poteva così segnare il più facile del gol, ma decide di risolvere il tutto con una fragorosa risata, buttando fuori il pallone e guadagnandosi gli applausi del pubblico.

L’Italia poi si fermerà ai quarti, ma quell’episodio resterà nella storia delle Olimpiadi e di Levratto, che intanto prosegue la sua gloriosa carriera: un anno al Verona e poi via, verso quel Genoa che lo convince a rifiutare Madama Juventus (con tanto di mini-scandalo ”alla Stankovic” per una doppia firma sul contratto con entrambi i club) e lo vedrà segnare 84 reti in 188 gare per il Grifone (in 7 anni): nel mezzo, però, ecco un’altra apparizione alle Olimpiadi, e più precisamente a quella kermesse di Amsterdam 1928 che vedrà l’Italia arrivare fino alla medaglia di bronzo, e sancirà in modo beffardo la fine dell’esperienza in Nazionale per Levratto.

Virginio sarà il fulcro di una nazionale che aveva nelle sue fila futuri campioni del mondo come Meazza, Combi, Rosetta e Caligaris, e il suo sinistro strapperà nuovamente applausi, conquistandosi un altro posto nella leggenda calcistica: il 4 giugno, contro una Spagna che verrà sconfitta con un roboante 7-1, un tiro di Levratto scaraventa infatti a terra due avversari prima di insaccarsi in rete e sfondarla, ovviamente (accadrà 7 volte nella sua carriera). Verità o leggenda? In questi anni il confine è labile, ma le cronache del tempo riportano in modo unanime questa versione dei fatti, che accresce nel resto del mondo la nomea di ”sfondareti” di Levratto, che senza dubbio, a soli 24 anni, è riconosciuto tra i migliori attaccanti della sua epoca, ma non vestirà più la maglia azzurra e, soprattutto, non vincerà mai un campionato italiano: la sua esperienza all’Ambrosiana Inter, infatti, nonostante le 25 reti segnate in due stagioni, non è foriera di risultati, e apre al suo declino calcistico che lo porterà a un mezzo flop alla Lazio (con tantissimi infortuni) e al ritiro, avvenuto nel 1942 dopo una parentesi nelle fila del Savona.

E qui per lo ”sfondareti” si apre una nuova carriera, quella da tecnico. Un mestiere che già affrontava in parallelo agli ultimi anni sul campo e che lo porterà a vincere lo scudetto del ’56 con la Fiorentina di Bernardini da allenatore ”ufficiale” (anche se la longa manus di Bernardini era evidente): lo scudetto tanto atteso da giocatore e punta efficace arriva dunque da tecnico, ed è l’apice di una carriera che lo porterà a chiudere la sua esperienza in panchina nel 1962-63 col Cuneo, pochi anni prima di una precoce morte a soli 60 anni.

Levratto si spegnerà infatti nel 1968 nella sua Carcare, dopo alcuni giorni di vaneggiamento mentale nei quali crederà di essere sul campo insieme ai vecchi compagni, e arriverà ad incitarli ad alta voce e chiamare il pallone: e chissà che in quei momenti Virginio non abbia rivissuto anche quel tiro del 1924, che gli valse l’ingresso nella storia del tanto bistrattato calcio olimpico…

Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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