Manfredi è prima di tutto uno studente dell’Università di Pavia (come alcuni redattori di questo sito). Rizza è il cognome con il quale si è reso noto recentemente presso il mondo azzurro: il 25enne pavese sarà il primo atleta ad andare alle Olimpiadi coi colori della Canottieri Ticino sulla pelle. Lo farà a bordo del suo kayak, che guida speditamente da una quindicina d’anni: ”Ci sono salito sopra per la prima volta quando avevo 9 anni. L’ho fatto sulla scia di mio padre: da giovane faceva canottaggio al CUS Palermo e quando ci siamo trasferiti da San Genesio a Pavia ha riscoperto questa sua passione. Mi ha trascinato all’inizio”.
Un altro protagonista di questa storia è Antonio Mortara, il primo allenatore di Manfredi: “Grazie a lui mi sono subito affezionato al Canottieri Ticino e al giro pavese. Ci siamo sentiti recentemente, mi ha fatto i complimenti per la qualificazione. Era molto emozionato. Mi ha spronato tanto da piccolo, soprattutto quando non avevo voglia di lavorare. Negli ultimi anni ho imparato a essere più serio, ma sono rimasto il ragazzo di sempre. Quello che fa casino in palestra, che mischia sregolatezza e voglia di emergere. Da un paio d’anni mi alleno coi nazionali dei 200m e mi segue un0 staff medico molto preparato. Ho dovuto solo metterci un po’ di impegno per crescere”. Nella vita sportiva di Manfredi non ha pesato solo Antonio Mortara, ma anche Luigi Vescovi: “Ha un anno in più di me. Mi ha trascinato verso il kayak trasmettendomi il piacere di andare in gara per vincere. Mi ha fatto capire che è bello farlo. Mi ha contagiato la sua voglia di competere ad alto livello, dimostrandomi l’importanza di allenarsi con costanza”.
Oggi nella vita di Manfredi c’è solo la canoa, eppure a 16 anni si divertiva molto a giocare a basket: “Ho avuto sempre un grande rapporto con questo sport. I miei fratelli ci giocano. Da ragazzo seguivo molto l’NBA: sono cresciuto con Jordan, McGrady, Iverson e Shaq. Erano grandi professionisti e soprattutto personaggi. Ho sempre notato la distanza tra me e quelli che ritengo veri atleti, che hanno un peso nella società e in politica: prendi uno come Rodman che va a trattare col leader della Corea del Nord oppure lo stesso Muhammad Ali schieratosi contro la guerra in Vietnam. Gli atleti moderni non si schierano spesso, io stesso non intervengo in questi ambiti. Sono un ragazzo comune, infatti fatico a comprendere l’interesse intorno alla mia persona”.
Fattosi le ossa nel kayak junior, Rizza passò ai senior. I cambiamenti furono sostanziali e arrivarono anche le prime vittorie: “Stiamo parlando del passaggio dal kayak inteso come un doposcuola a un impegno quasi lavorativo. Attualmente sto coi canottieri per 6-7 ore al giorno. Devo condurre una vita assai regolata per mantenermi a questo livello. Nel 2006 ho vinto per la prima volta: io e Luigi eravamo Under-16 al campionato italiano ragazzi. Quel giorno mi sono gasato molto, ho capito che potevo fare bene in questo sport”. Eppure gli inizi furono costellati soprattutto da molte delusioni: “Le sconfitte mi hanno dato la forza per continuare. Se perdevo, subentrava la rabbia e volevo andare più forte per rifarmi. Ho fatto la prima esperienza in Nazionale da junior ai campionati europei K4, era il 2009. Arrivai secondo, ma in Nazionale non dovevo esserci: ci sono arrivato solo perché Raffaele Cicala fu squalificato, avendo la barca sottopeso. Siamo arrivati secondi, poi quarti al Mondiale due settimane dopo. Quel quarto posto è stato la mia prima delusione: lì ho capito che impegnarsi può non bastare. Nel 2010 sono passato da junior ad U23 e sono entrato in Nazionale sfruttando l’introduzione della distanza dei 200m, ma nelle prime gare ho subito solo sconfitte. Nel 2011 nel K2 è arrivata un’altra delusione. Nel 2012 invece c’è stata la svolta: avevo fatto le selezioni ed ero 5°-6° nel ranking italiano, però arrivai sesto e mancai la qualificazione ai Giochi di Londra. Andai malissimo anche nelle gare U23. Solo nel 2013 ho iniziato a ottenere qualche successo, conquistando l’argento sia ai Giochi del Mediterraneo che alle Universiadi. Lì ho capito che potevo farcela: ho iniziato a dedicare risorse mentali e fisiche al kayak; nel 2014 e nel 2015 i risultati sono finalmente arrivati”. Dal 2012 ad oggi sono cambiate moltissime cose: “Mi viene la pelle d’oca pensando che sono passati solo 4 anni. Se fosse arrivata una persona a dirmi che dopo quattro anni sarei andato così bene, non ci avrei mai creduto”.
Rizza ha gareggiato anche in gruppo, rispettivamente nel K2 e nel K4: “Quando sei in equipaggio c’è meno tensione, ma sai che se commetti degli errori ne risentiranno tutti gli altri. In K1 sei da solo col tuo ritmo e la tua andatura, nelle gare di gruppo invece devi adattarti agli altri. Per prepararsi al meglio bisogna fare del lavoro specifico, spendendo molte ore a provare la barca: si cerca di uniformare il tuo colpo con quello dato dai compagni. Spesso succede di andare più forte tirando meno e paradossalmente si va più piano se uno cerca a tutti i costi di superare l’altro, dando tutta la propria velocità”.
Manfredi Rizza però non è soltanto un atleta, ma anche il coautore di una web-serie che si chiama Kayak: “È il capolavoro di una vita, è qualcosa che si scrive da solo. A noi basta metterlo su carta e pellicola. La potete vedere su YouTube: sia il canale che la pagina si chiamano Wild Duck Entertainment, che è il nome della casa produttrice gestita da me, Giovanni Vescovi (il cugino del mio amico Luigi) e Giovanni Albertoni. È il progetto di un gruppo di amici cresciuti nei Canottieri Ticino. Ci siamo limitati a caricaturare il personaggio del canoista medio che per la prima volta si avvicina al nostro mondo e incontra le difficoltà che incontrano tutti coloro che si avvicinano a uno sport complesso come il nostro. Abbiamo inserito anche una mini-trama amorosa e tutti i cliché possibili: è venuta fuori la storia di Mike Masoni. Io e i due Giovanni non interpretiamo nessuna parte, facciamo solo delle comparsate quando mancano dei personaggi. Abbiamo giusto girato uno dei teaser, in cui ciascuno di noi interpretava un critico: io ero un critico semi-gastronomico, Giovanni faceva il classico radical-chic di sinistra, il Ciapo invece faceva quello che non dice una parola limitandosi a fare un gesto d’approvazione. Vorremmo girare una puntata dedicata alle Olimpiadi, ma non sappiamo ancora come farla. Avendo molte gare, non riesco a essere granché disponibile. Però siamo riusciti a girare tutta la seconda stagione in una settimana”.
A differenza di molti atleti azzurri, Manfredi ha deciso di non vestire i colori delle forze armate: “Preferisco indossare quelli della Canottieri Ticino. Io volevo studiare e la situazione delle forze armate non mi assicurava totale libertà in tal senso. L’idea di non potermi gestire come voglio mi farebbe impazzire. I miei genitori mi hanno lasciato totale libertà di decisione: c’era la possibilità di essere stipendiato, però avevo iniziato un progetto col mio attuale allenatore Stefano Loddo e non volevo interromperlo. Ho ancora la possibilità di vedere la canoa come un passatempo, come qualcosa di gioioso nella mia giornata: questa cosa è sempre stata la mia forza”.
E alla domanda se avesse mai pensato di smettere: “Circa ogni due settimane. Ci ho pensato soprattutto quest’inverno: non mi muovevo, ero stanco e i risultati tardavano ad arrivare. Ho pensato di mollare tutto. Allenarsi è faticoso sia mentalmente che fisicamente e condiziona la tua vita anche al di fuori del kayak. Non è facile gestire tutto questo alla nostra età. Eppure non ho mai deciso di smettere perché ho sempre amato andare in canoa. Per me il kayak è un gioco e di giocare non ci si stufa mai”. E nemmeno di sognare. Alle Olimpiadi di Rio Manfredi Rizza sognerà divertendosi e lo farà con lo spirito che da sempre lo contraddistingue: quello di un ragazzo normale che non ha mai smesso di amare quello che fa.