Dopo il secondo “cucchiaio di legno” consecutivo al 6 Nazioni, è tempo di bilanci per l’ItalRugby, che in oltre 10 anni ha disperso capitale, umano ed economico, a fronte di un interesse di media e pubblico in netta crescita. Come è stato possibile?

Sergio Parisse, ultimo vero campione di livello internazionale rimasto nell'attuale nazionale italiana di rugby

Sergio Parisse, capitano della nazionale italiana di rugby (Foto: pagina fb ufficiale di Sergio Parisse)

COSA SUCCEDE AL RUGBY ITALIANO?

Generalmente, un appassionato di rugby non sopporta due affermazioni da parte di chi questo sport lo segue poco e senza avere le basi tecniche per giudicarlo: “Abbiamo perso, ma è stata una sconfitta onorevole”, “Facciamo schifo, dovremmo uscire dal 6 Nazioni”. Smontare le tesi di questi “esperti” è facile: il concetto di sconfitta onorevole, a 17 anni dall’ingresso nel torneo, non deve più accontentare il nostro movimento ma, anzi, dovrebbe far riflettere sul come mai queste partite più o meno ben giocate non si tramutino mai, o quasi mai, in vittoria. Specialmente se, le cosiddette sconfitte onorevoli, in questo 2017, si sono trasformate in batoste inaccettabili.

In merito all’uscita dal 6 Nazioni, beh, c’è innanzitutto una ragione regolamentare, ovvero che la Federazione italiana dovrebbe votare la propria esclusione, visto che si tratta di un torneo privato. In secondo luogo, non esistono altre manifestazioni di livello per lo meno “allenante” per i nostri connazionali. Se l’Italia è infatti la sesta squadra del ranking europeo, le compagini che seguono nella top 10, come Georgia, Russia o Romania, si trovano ancora a una distanza tecnica abissale rispetto a noi. A differenza del calcio, dove una nazionale 50^ nel ranking può battere la numero 1, nel rugby questo non può succedere a causa di un divario tecnico davvero spropositato. In questo sport il più forte vince. Sempre.

Tutto questo ci è stato spiegato molto bene all’interno della nostra intervista ad Antonio Raimondi, celebre giornalista e commentatore televisivo della palla ovale su Sky Sport e Dmax.

Per riassumere, citando lo stesso Raimondi, l’uscita dal 6 Nazioni sarebbe una “putt***ta”. Come dargli torto?

ITALRUGBY: LA NAZIONALE ATTUALE E UNA MISCHIA ORMAI CROLLATA

La nazionale azzurra è ancora aggrappata al proprio capitano e uomo simbolo: Sergio Parisse. Il nostro numero 8, ultimo giocatore azzurro di mischia ampiamente riconosciuto a livello internazionale, è ormai nell’anno delle 34 primavere. Impossibile pensare di costruire il futuro sulle sue spalle.

Il problema nasce dal momento in cui, dietro di lui, non sono presenti nomi all’altezza. La mischia italiana, fino a non più di 4-5 anni fa, era rispettata e temuta da tutti, grazie ai vari Castrogiovanni, Ongaro, Perugini e Bergamasco. I loro eredi? Decisamente un gradino (anzi, due) sotto.

Spostandoci nel settore dei tre quarti, invece, l’indubbia crescita di elementi come Venditti, Campagnaro e Canna, non è comunque sufficiente a reggere il confronto con i loro pari ruolo irlandesi, inglesi, gallesi o francesi. Per lo meno una buona notizia c’è: con Carlo Canna mediano d’apertura, la nazionale ha finalmente trovato in quel ruolo un giocatore nato e cresciuto in Italia al 100% accantonando altri numeri 10 naturalizzati in fretta e furia che non avrebbero mai giocato nei loro paesi di origine (uno su tutti, il modesto neozelandese Kelly Haimona).

Un lieve miglioramento in questo reparto non compensa però un vero e proprio crollo qualitativo degli avanti, ora punto debole anche nelle situazioni più basilari di gioco, come la mischia chiusa o la touche.

Un altro preoccupante campanello d’allarme è dato da due aspetti che l’Italia non riesce proprio a migliorare: la costante indisciplina dovuta all’eccessiva concessione di calci piazzati agli avversari durante le partite, e l’assenza di un calciatore di alto livello. Dopo Diego Dominguez, il nostro rugby non ha mai più avuto un kicker degno di tale nome. Una tegola non da poco, considerando che il gioco al piede in questo sport rappresenta una componente fondamentale, in particolare nei match molto equilibrati.

Due vere e proprie malattie per le quali in Italia sembra non esistere la cura (e dire che basterebbe davvero poco…).

I PROBLEMI VENGONO DALL’ALTO

Alfredo Gavazzi, presidente della Federazione Italiana Rugby

Alfredo Gavazzi, presidente della Federazione Italiana Rugby (Foto: Repubblica)

Giustificare la situazione attuale come un temporaneo ricambio generazionale non efficace sarebbe fuori luogo e le recenti prestazioni al 6 Nazioni non sono che la punta dell’iceberg. Le tante problematiche che affliggono il movimento italiano nascono da un preoccupante immobilismo federale, con l’attuale presidente Alfredo Gavazzi e i suoi predecessori che negli ultimi 15 anni non hanno saputo far fruttare tutti gli importanti introiti, dovuti in particolare dai diritti televisivi del 6 Nazioni, arrivati nelle nostre casse.

Se da un lato l’interesse di pubblico e media cresceva, lo testimoniano il passaggio dallo stadio Flaminio all’Olimpico nel 2012 e la presenza sempre massiccia di spettatori tale da garantire numerosi sold-out sia durante il 6 Nazioni che in occasione dei semplice test-match di novembre, il movimento dal basso non è riuscito a spingere quanto avrebbe dovuto. A fronte di un aumento graduale di tesserati, manca infatti un progetto tecnico adeguato che parta dai piani alti.

Una mancanza che si palesa ogni anno nella bassa qualità del campionato di Eccellenza (così si chiama la massima serie rugbistica in Italia), neanche lontanamente paragonabile ai tornei inglesi o francesi.

Qualcosa sembrava potesse cambiare dal momento in cui la storica Benetton Treviso e la neonata franchigia delle Zebre, costituita a Parma nel 2012, sono passate al campionato Pro12, torneo che comprende formazioni italiane, scozzesi, gallesi e irlandesi, dove ogni anno però finiscono puntualmente per occupare la penultima e l’ultima posizione in classifica.

La compagine meglio piazzata delle due si qualifica poi per la successiva Heineken Cup, la più importante rassegna continentale per club, che non vede di certo le squadre italiane tra le protagoniste di prima fascia.

Come se non bastasse, le Zebre rischiano ora il fallimento e la palla è ora nelle mani del Tribunale che ne dovrà decidere le sorti, con i creditori sul piede di guerra.

“Sulle Zebre sa cosa mi era passato per la testa? Di dimettermi e prenderle in mano io, sono sicuro che con me vincerebbero”. Queste le parole di Alfredo Gavazzi sulla franchigia parmense, non più di qualche giorno fa. Parole che suonano come una beffa, vista la situazione attuale del club.

Le due figure chiave dell’ItalRugby dal punto di vista tecnico sono ora Conor O’Shea, ct della nazionale che vorrebbe anche allenare proprio le Zebre, e Stephen Aboud, responsabile federale per la formazione con il compito di crescere i tecnici italiani del futuro nell’arco di un progetto, per ora, quadriennale.

Giudicare O’Shea solamente dall’ultimo 6 Nazioni sarebbe piuttosto riduttivo. Ci auguriamo che la Federazione possa lasciar lavorare bene e con un adeguato sostegno due grandi professionisti che in questa avventura sono accompagnati da altri nomi di spicco della palla ovale come Niall Malone, Ian Vass e Kevin Bowring, che vanno quindi a comporre uno staff tecnico di tutto rispetto.

Riusciranno le loro idee a non scontrarsi con l’evidente immobilismo dimostrato fino a oggi dai vertici del rugby italiano?

IL PROGETTO FLAMINIO PER TROVARE UNA CASA ALLA NAZIONALE

Lo Stadio Flaminio oggi: quello che è stato lo stadio della nazionale fino al 2011 versa in stato di abbandono

Roma, lo Stadio Flaminio oggi: quello che è stato lo stadio della nazionale fino al 2011 versa in stato di abbandono (Foto: lultimaribattuta.it)

Stadio Flaminio, oggi. Un’immagine che vale più di mille parole e che è un po’ la sintesi del nostro movimento rugbistico. Le condizioni dell’impianto romano, casa degli azzurri al 6 Nazioni fino al 2011, sono quelle di una struttura abbandonata al proprio destino.

Fortunatamente, le cose sembrano girare per il verso giusto dal momento in cui Coni e amministrazione comunale, tornati finalmente a parlarsi dopo il ritiro forzato della candidatura di Roma dalle Olimpiadi 2024, hanno trovato un accordo che impegnati le parti, sportive e non, di raccogliere 15 milioni di € per la rinascita del Flaminio e dell’area circostante, attualmente degradata e frequentata solo da disperati in cerca di riparo.

Auguriamoci che anche in questo caso le istituzioni e la Federazione facciano la propria parte per il recupero dello stadio progettato da Antonio Nervi, possibile luogo nevralgico per il movimento femminile e per il rugby a 7, disciplina entrata nel programma olimpico a partire dai Giochi di Rio 2016.

ULTIME NOTIZIE SPORTIVE AGGIORNATE SU AZZURRI DI GLORIA

News di sport a cinque cerchi tutti i giorni sul nostro sito.

Scopri tutte le ultime notizie di rugby anche sui nostri social: FacebookTwitter, Instagram, YouTube e Google +.

Luca Lovelli
Giornalista e conduttore televisivo. Fondatore e direttore responsabile di Azzurri di Gloria. Amo viaggiare, con la mente e con il corpo.

Potrebbero anche piacerti...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Altro in:Rugby