Tanti auguri a Francesco Moser, campione delle due ruote, capace di vincere tutto, dalle Classiche ai Grandi Giri. Ripercorriamo la carriera del ciclista trentino, da oggi sessantaseienne.

LO SCERIFFO DELLE DUE RUOTE

A Francesco Moser non sfuggiva nulla. Era attento ad ogni dettaglio, amava avere tutto sotto controllo, specialmente il gruppo dei suoi colleghi in corsa. Anche per quello era stato soprannominato “lo Sceriffo”. Capetto sì, ma con raziocinio ed intelligenza. Mai un bulletto spavaldo, nessun gioco sporco, nessuna condotta macchiata da scorrettezze. Unica pecca: non era un ciclista particolarmente smaliziato. Probabilmente, con più cattiveria agonistica e convinzione avrebbe conquistato qualche successo in più. Ma, in fondo, cosa si può chiedere ad un campione capace di vincere 273 corse, il terzo in assoluto, davanti ad un altro mostro sacro come Giuseppe Saronni?

UN DUELLO TUTTO ITALIANO

Già, quel Saronni. Quel novarese così poco simpatico a Moser per il modo di fare in bici e fuori dall’ambiente sportivo. Tra il 1977 ed il 1988, l’Italia riscoprì la divisione sportiva, assente dai tempi di un altro eccellente dualismo, quello tra Fausto Coppi e Gino Bartali. Tra le fine degli Anni ’70 ed il decennio successivo, gli italiani erano “moseriani” o “saronniani”. I primi elencavano un elenco di primati non indifferenti, tra Parigi-Roubaix, Milano-Sanremo, Giri di Lombardia, Freccia Vallone, Gand-Wevelgem, il titolo mondiale, oltre a quel mitico Giro d’Italia 1984, vinto con una cronometro da antologia ai danni del francese Laurent Fignon. I secondi  rinfacciavano la vittoria di due corse rosa, una delle quali conquistata proprio contro il trentino, oltre ad altre Classiche importanti. Una ferita ancora aperta. I “moseriani” replicavano accusando i rivali di vincere da “succhia ruote”, senza mai dare cambi. Non l’avessero mai detto! Ecco i “saronniani” affermare che gli altri non erano in grado di accettare la sconfitta. Un decennio di sfottò, veleni e rivalità. Dieci anni di cui resta un ricordo piacevole, ma anche un dubbio: senza la loro guerra sportiva, quanto avrebbero potuto vincere i due? E quanto avrebbero raccolto senza quel cannibale di Hinault?

LA PISTA ED IL RECORD DELL’ORA

Uno dei pregi di Moser era la sua duttilità in ogni campo. Poteva non essere il migliore scalatore o il miglior discesista, ma non si arrendeva mai. Aveva un pregio particolare: la resistenza. A cronometro era quasi insuperabile, ma l’allenamento a mantenere un ritmo impostato lo aiutava a difendersi anche nei momenti di difficoltà. Questa peculiarità lo aiutò anche nel passaggio alla pista, in cui vinse un altro mondiale nell’inseguimento, per battere il record dell’ora, che apparteneva a Merckx. Nel 1984 riuscì a superare anche il Cannibale, realizzando l’ennesima grande impresa della sua straordinaria carriera. Probabilmente, quei giri di pista eterni se li starà ricordando anche ora, mentre soffia sulle 66 candeline sulla sua torta.

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Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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