Non solo in politica, ma anche nello sport. Per fortuna ci sono atleti, per giunta di colore, che prendono una posizione netta in merito.

QUANDO LA LOTTA DELLE MINORANZE SI COMBATTE SU UN TERRENO SBAGLIATO

“Non credo che Nelson Mandela lo avrebbe sostenuto anche se ovviamente non l’ho conosciuto per dirlo. Su queste cose non si possono mettere numeri predeterminati”.

Ha ragione da vendere Siya Kolisi, attuale capitano della nazionale sudafricana di rugby e primo giocatore di colore ad assumere questo prestigioso ruolo nella storia degli Springboks.

Kolisi ha voluto quindi dire la sua in merito alle cosiddette “quote nere”, una regola imposta dallo Stato che prevede la presenza di un numero minimo di rugbisti di colore sia nei club che in nazionale.

“Se si vuole parlare di cambiamento, bisogna partire dalla base. Lì il talento esiste e va alimentato. Io non voglio pensare di essere stato scelto per il colore della mia pelle: questo non gioverebbe né a me, né ai miei compagni”.

Le parole del capitano sono chiare e risuonano ancora più forte in un paese che ha vissuto per decenni il dramma dell’apartheid, che ha costretto gli abitanti di colore, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione, a vivere ghettizzata ed emarginata, bersaglio di ogni tipo di sopruso da parte dei bianchi.

Nelson Mandela, presidente dal ’94 al ’99 e vero padre della Rainbow Nation, oggi si rivolterebbe nella tomba sentendo parlare di “quote nere”. Madiba non ha di certo passato 27 anni della sua vita per arrivare a questo obiettivo.

Non dimentichiamo infatti il centralissimo ruolo che ebbe lo sport nella costruzione del Sud Africa moderno. Prima della vittoria ai Mondiali casalinghi del 1995, fu lo stesso Mandela a evitare per un soffio la nascita di una seconda Federazione rugbistica nazionale tanto desiderata da una larga fetta della popolazione di colore.

Se allora non si fosse mantenuta l’unità, le antilopi non sarebbero forse salite sul tetto del mondo in quel magico 24 giugno 1995.

François Pienaar riceve la Coppa del Mondo di rugby del 1995 dalle mani di Nelson Mandela (Foto: JEAN-PIERRE MULLER/AFP/Getty Images)

LE DISEGUAGLIANZE SI COMBATTONO CON LA PARITA’ DI DIRITTI E CON IL MERITO

Se da una parte sono sbagliate le quote nere nello sport sudafricano, sono altrettanto sbagliate le ormai famose quote rosa quando si parla di politica.

Un concetto che mortifica le vere battaglie delle suffragette, che non hanno di certo combattuto per ottenere un semplice contentino, bensì per avere stessi diritti e possibilità degli uomini.

Sarebbe sicuramente sbagliato pensare che oggi esista una perfetta uguaglianza (non tanto di diritti, quanto di possibilità) tra la popolazione bianca e quella nera in un qualsiasi paese sviluppato. Anche nello stesso Sud Africa, dove i bianchi sono circa il 10% del totale, continuano a guadagnare circa 10 volte tanto rispetto ai loro connazionali di colore.

Allo stesso modo è impossibile nascondere la disparità di trattamento che esiste tra uomo e donna in ambito professionale (“Convivi e vuoi avere dei figli? Ti faremo sapere”. Alzi la mano una donna che non ha provato questa esperienza durante un colloquio).

Non esistono altri terreni sui quale combattere la lotta alla diseguaglianze se non quelli della cultura e del merito. Nello sport, in politica o al lavoro. Ovunque.

Per farlo, però, bisogna restare uniti. D’altronde, sapete a chi fu assegnato il Nobel per la pace nel 1993 insieme a Mandela? A Frederik de Klerk, suo predecessore e firmatario della scarcerazione di Madiba, nonché uomo chiave per l’abolizione ufficiale dell’apartheid e ultimo presidente sudafricano bianco.

La strada verso la parità è ancora lunga, ma non è di certo attraverso delle toppe che si eliminano i buchi nei pantaloni.

Luca Lovelli
Giornalista e conduttore televisivo. Fondatore e direttore responsabile di Azzurri di Gloria. Amo viaggiare, con la mente e con il corpo.

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