Era il 2 gennaio 1960 quando l’Airone di Castellania si spegneva per una febbre malarica. Di lui resta il ricordo di chi l’ha vissuto e un palmares sconfinato.
“Mi chiamo Coppi, Fausto Coppi”. Così si presentava un giovanissimo ragazzo piemontese a Gino Bartali, il campione del ciclismo di quel momento, impegnato in una sessione di allenamento. Magrissimo di corporatura, con due polmoni eccezionalmente grandi e potenti, aveva affiancato il suo mito in bicicletta con l’intento di pedalare insieme per qualche chilometro, provando magari a carpire qualche segreto dal fuoriclasse toscano. Bartali rimase sorpreso nel notare come quello che doveva essere un breve scambio di battuto si fosse presto trasformato in una lunga chiacchierata- Forse anche questo aneddoto, raccontato tempo dopo dallo stesso Ginettaccio alla stampa, spinse il fiorentino e la Legnano a mettere sotto contratto il giovane ragazzo nato a Castellania il 15 settembre 1919. Era semplicemente l’inizio della leggenda, il primo passo di una lunghissima scalata.
IL MITO
Coppi è stato indubbiamente il grande protagonista del secondo Dopoguerra. Lo dice il palmares: nessuno ha vinto quanto lui dal 1946 al 1955. Nemmeno lo stesso Bartali, penalizzato indubbiamente dalla sosta delle attività agonistiche imposta dalla guerra in un momento in cui era il faro del ciclismo italiano. Ginettaccio è stato l’acerrimo rivale dell’ex allievo, diventato campione con la maglia della Bianchi. Si sono sfidati su tutte le strade, dando vita a battaglie memorabili. E con loro l’Italia si è divisa, scegliendo l’uno o l’altro campione. Fausto ha regalato gioie incredibili ai suoi sostenitori: cinque Giri d’Italia, due Tour de France e l’onore di essere il primo corridore a conquistare entrambe le corse a tappe nello stesso anno.
IL CONFRONTO
Meglio Fausto Coppi o Eddy Merckx? Il confronto tra i due titani più vincenti della storia del ciclismo divide gli appassionati. Il numero di successi propende a favore del Cannibale belga, ma le imprese del Campionissimo sono rimaste nella storia, come la cavalcata solitaria alla Milano-Sanremo 1946 o la rimonta nel finale del Giro d’Italia 1952 ai danni dello svizzero Hugo Koblet. Senza dimenticare la più celebre fuga, la Cuneo-Pinerolo nella corsa rosa del 1949, con 192 chilometri da solo e i cinque colli scalati senza aiuti. La vittoria che lo rese famoso anche per la frase di apertura della radiocronaca di Mario Ferretti: “Un uomo solo è al comando; la sua maglia è biancoceleste; il suo nome è Fausto Coppi”. Se dunque Merckx è per tutti il vincitore seriale mai sazio, Coppi è il campione in grado di sorprendere con magie meravigliose. Probabilmente, il miglior giudizio è racchiuso in una citazione attribuita a Jacques Goddet, direttore del Tour de France: “Coppi è il più grande, Merckx il più forte”.
I DRAMMI E L’ADDIO
Campionissimo per le vittorie, “Airone” per l’eleganza. Il campione piemontese è entrato nella storia per i suoi successi, ma ha sperimentato anche drammi personali e sportivi enormi. Fausto ha fatto discutere per la scelta di divorziare dalla moglie per legarsi ad un’altra donna già sposata, Giulia Occhini, nel ’53. Un legame che letteralmente spaccato l’opinione pubblica e cambiato inevitabilmente la vita dello stesso Coppi. La vicenda sentimentale si è intrecciata con altre vicissitudini, come gli infortuni degli Anni ’50 e la scomparsa del fratello Serse nel ’51 in corsa. Drammi che hanno segnato la carriera di Fausto, portandolo verso il declino. Coppi, da grande fuoriclasse, non ha smesso di lottare e aveva già programmato l’ultimo colpo di pedale per provare a concludere nel miglior modo possibile una carriera leggendaria. Per farlo si era affidato proprio all’ex arcinemico Bartali, a capo della neonata San Pellegrino. Un progetto mai decollato a causa di un safari africano e delle sue conseguenze. La malaria contratta ha negato agli appassionati una sfida meravigliosamente romantica. Sono trascorsi 60 anni dal 2 gennaio 1960, un giorno triste per lo sport. La data in cui il volo dell’Airone si è interrotto per sempre.