Atletica leggera: Abdon Pamich, da profugo fiumano a campione olimpico della marcia 50 km. Ecco la sua storia.

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Abdon Pamich al traguardo della marcia 50km di Tokyo 1964

ABDON PAMICH: LA LEGGENDA DELLA MARCIA ITALIANA

Una storia che diventa mito, che si perde in un tempo ormai lontano, ma che non deve mai essere dimenticata. Protagonista un ragazzo che viene strappato dalla sua terra dalle conseguenze di un conflitto che ha lasciato il mondo ferito, lacerato. Ma il destino gli riserverà grandi soddisfazioni e lo proietterà nella storia dello sport come uno dei grandi della marcia.

Stiamo parlando di Abdon Pamich, uomo rigoroso e mai banale, uno degli atleti italiani più medagliati nella specialità dei 50 km di marcia ai Giochi olimpici, evento a cui prende parte per cinque volte.

Abdon Pamich nasce il 3 ottobre 1933 a Fiume, all’epoca facente parte del territorio italiano, passata alla Jugoslavia dopo la fine della Seconda guerra mondiale, oggi sotto il governo croato.

Trapiantato a Roma dal 1967, diventa marciatore italiano, campione olimpionico ed europeo, nonché 40 volte campione italiano su varie distanze. Una carriera azzurra durata vent’anni, che lo erge a leggenda dell’atletica leggera.

Abdon arriva a punte da 210 km alla settimana con sedute fino a 55 km di allenamento: all’epoca non sa neppure cosa sia la soglia aerobica e pensa che idratarsi dopo uno sforzo sia controproducente. Un approccio allo sport e all’attività fisica in generale molto diverso da quello odierno.

ABDON PAMICH E IL SOGNO OLIMPICO

Le medaglie più preziose di Pamich sono sicuramente quelle olimpiche: bronzo alle Olimpiadi di Roma 1960 e oro alle Olimpiadi di Tokyo 1964.

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Il podio della 50km di marcia di Tokyo 1964, con Ingvar Pettersson bronzo, Paul Nihill argento e Abdon Pamich oro

A Tokyo, il villaggio olimpico è confortevole, fatto di villette abbandonate dalle truppe americane. In mensa si mangia italiano, con gli stranieri che raggiungono la spedizione azzurra per bere vino in compagnia. Abdon sta con i pugili: grazie a suo zio Cesare, organizzatore, promoter e corrispondente da Fiume per la Gazzetta dello Sport, vive quell’ambiente sin da bambino. Lui e suo fratello Giovanni facevano spesso a cazzotti grazie a un paio di guantoni ricevuti in regalo.

Tokyo 1964 e Tokyo 2020 hanno più di una cosa in comune, per esempio i vaccini. Di vaccini, all’epoca, se ne facevano tanti e uno, poco prima della partenza, lo mette K.O. Abdon non si è mai sentito tanto stanco: gli altri si allenano marciando per ore, lui fa passeggiate nei boschi. Per fortuna si riprende in tempo per la gara che si rivelerà la più importante della sua vita.

Domenica 18 ottobre 1964: è la data che fa entrare ufficialmente Abdon Pamich tra le fila dei campioni senza tempo. Ai Giochi di Tokyo, già quarto a Melbourne 1956 e bronzo a Roma 1960, trionfa nella marcia 50 km.

Piove, la temperatura è bassa. Per gareggiare sono condizioni ideali per Pamich: quando si cammina non si sente freddo. Un russo parte presto all’attacco per scombussolare i piani, come quando Abdon vince il primo di due Europei, a Belgrado 1962. L’azzurro non accetta quella logica suicida. Perde circa un minuto, ma al km 19 raggiunge il russo e lo supera. Il percorso, come da prassi per quei tempi, prevede un’andata e un ritorno.

Della gara in Giappone resta memorabile un particolare episodio che vede il nostro marciatore protagonista. Intorno al km 30, dalla borraccia preparata il giorno prima Abdon beve del tè gelido. Che errore: gli procura in fretta una crisi intestinale. Resiste soffrendo, ma al km 38, benché al 40° ci sarebbe un’ultima stazione di servizio, coperto da addetti al servizio d’ordine, deve fermarsi. Si libera letteralmente di un peso. Perde tempo, ma riparte rinato e si lancia nella sua rimonta, una cavalcata verso l’oro.

Pino Dordoni, allenatore federale, sbuca dalle stazioni della metropolitana per incitarlo. Paul Nihill, ferroviere londinese, al giro di boa viene raggiunto dall’italiano. E vanno via in coppia, ma Nihill, non appena Pamich lo attacca, cede di testa e gli ultimi 5 km si trasformano in una passerella dell’azzurro verso la vittoria olimpica.

Quando spezza il filo di lana, lo fa con rabbia: un gesto di rivalsa nei confronti delle occasioni sciupate in precedenza. Legato un po’ anche a quella mancanza di autostima che lo accompagna sin dalla scuola e che avverte tuttora, ma che gli ha sempre dato motivazioni enormi.

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Abdon Pamich strappa la corda al traguardo della 50km di marcia di Tokyo 1964

Pamich conclude la gara in 4h11’12”, record olimpico. Oggi i migliori fanno 40’ in meno. Il confronto con Tokyo 2020, e con le molte medaglie che sono arrivate dall’atletica per l’Italia, è inevitabile, e Abdon Pamich sottolinea che il mondo è cambiato, lo sport è cambiato e soprattutto la sua specialità, la marcia 50 km, che verrà cancellata da Parigi 2024, per lasciare spazio a nuove discipline olimpiche. Argomento che disturba molto Pamich e che lo vede molto critico. Impossibile fare confronti quindi. Oggi gli atleti sono professionisti, lui era un dipendente della Esso.

Il 19 novembre 1961 sulla pista dello Stadio Olimpico di Roma stabilisce il record mondiale dei 50.000 m di marcia (125 giri di pista lunga 400 metri), con il tempo di 4h14’02″4.

Abdon Pamich è inoltre il portabandiera italiano durante la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Monaco di Baviera 1972.

ABDON PAMICH: ESEMPIO DI RESILIENZA SUL CAMPO E NELLA VITA

Abdon Pamich viene insignito del titolo di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana a Roma il 2 giugno 1976; e del Collare d’oro al merito sportivo il 15 dicembre 2015.

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Abdon Pamich e alcuni dei trofei conquistati in carriera

La storia di Abdon Pamich è affascinante e d’ispirazione anche senza il riferimento ai suoi meriti sportivi.

“La storia più la si diffonde e meglio è”. È ciò che afferma Abdon Pamich, e la sua dichiarazione non si riferisce alla sua gloriosa storia sportiva, ma allude alla vicenda tormentata da lui condivisa con altri italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia. Un’area di confine nota per le foibe, un termine geologico che indica un inghiottitoio, la tetra fossa comune in cui sono spariti i corpi inanimati di oppositori politici italiani, croati e anche tedeschi. Una triste pagina dei totalitarismi del Ventesimo secondo, a lungo rimossa ma riaffermata con l’istituzione del Giorno del ricordo che in Italia si celebra il 10 Febbraio.

Da anni Pamich ribadisce la necessità di ricordare chi ha trovato la fine nelle foibe, quale che sia la loro nazionalità di appartenenza. Lo fa non per pura retorica ma con impegno civile portando la sua testimonianza nelle scuole dove oltre a parlare delle sue “Memorie di un marciatore”, come titola la sua autobiografia, porta anche i suoi ricordi di Fiume. Ricorda di quando nel 1947 a soli quattordici anni deve scappare con l’arrivo di Tito che segna la slavizzazione di una città dalla tradizione cosmopolita pari a un villaggio olimpico. Coincide con un esodo di massa e il trovare riparo in campi profughi in condizioni estreme.

Abdon cresce nel campo di raccolta di Novara e da sempre si impegna per la conservazione della memoria storica della comunità giuliano-dalmata in Italia e in particolare a Roma, anche come membro della Società di Studi Fiumani. In questa veste, nel febbraio 2016 è testimonial della VI edizione della “Corsa del ricordo”, un evento tra impegno civile e fisico organizzato da Asi – Associazioni sportive e sociali italiane che si corre a Roma per ricordare gli italiani caduti nelle foibe e gli esuli italiani scacciati dalle proprie case dalle truppe del maresciallo Tito alla fine della Seconda guerra mondiale.

Un’esperienza ancora viva nella sua memoria e che deve rimanere viva nella memoria di tutti. Abdon Pamich è un monumento alla tenacia, a quella che oggi si chiama, con un termine fin troppo abusato, resilienza.

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Abdon Pamich oggi

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Giornalista, onnivora di cultura a 360º. Lavoro nel campo dei media, in particolare nel mondo dell'informazione e social. Lo sport è una delle mie tante passioni, coltivata sul campo, sui libri e sullo schermo.

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