Il campione italiano ha accusato un malore dopo essere entrato in acqua a Giardini Naxos. Aveva 76 anni. In carriera ha conquistato i tre Grandi Giri, il Mondiale, la Sanremo e la Roubaix.
Il mondo del ciclismo piange. Felice Gimondi se n’è andato. Ha colto tutti alla sprovvista, un po’ come amava fare nelle sue vittorie in bici, provando a seminare quando possibile “quello là”, Eddy Merckx. Fatale un infarto mentre si è recato in acqua di Giardini Naxos, dov’era in vacanza insieme al resto della famiglia. L’ex stella del ciclismo italiano soffriva di problemi cardiaci da diversi anni. Inutili i soccorsi dei medici della Guardia Costiera.
CAMPIONE
La tragedia toglie allo sport italiano un totem straordinario. Da corridore, Gimondi ha vinto tutto e dappertutto. Da giovanissimo si è imposto al Tour de France 1965, prima di trionfare sulle strade del Giro d’Italia per tre volte, nel ’67, nel ’69 e nel ’76, a trentaquattro anni. Un successo anche alla Vuelta, nel ’68. E poi le vittorie al Mondiale, alla Milano-Sanremo e alla Parigi-Roubaix, a dimostrazione di una completezza straordinaria nelle gare a tappe e nelle classiche. Solido in salita, regolare a cronometro, Gimondi era straordinario nel saper leggere ed interpretare la corsa nei suoi sviluppi.
IL CANNIBALE
La vita sportiva di Felice è stata legata indissolubilmente a Eddy Merckx. Un avversario, un incubo, un’ispirazione, uno stimolo ed infine un amico. Il belga ha rappresentato tantissimo per il bergamasco, spingendolo al limite e costringendolo a crescere continuamente per reggere il passo del Cannibale. Gimondi ha perso tantissime sfide contro il fenomeno, ma è riuscito a vincere una sfida apparentemente impossibile: ritagliarsi un suo spazio nell’epopea del più grande trionfatore seriale. Felice ha trovato il modo di uscire dal cono d’ombra di “quello là” alla sua maniera, imponendosi con i fatti, senza lanciarsi in grandi proclami. E’ riuscito a conquistare l’affetto di Eddy il terribile per la sua genuinità, come nel Giro del ’69, quando consolò il belga per la squalifica per doping che di fatto spalancava a lui, il campione italiano, le porte della vittoria finale. E quell’umiltà è rimasta il suo marchio di fabbrica anche negli anni seguenti, da Presidente della Mercatone-Uno di Marco Pantani a semplice commentatore. Aveva sempre un consiglio pronto per un corridore così come non si tirava indietro di fronte alle richieste dei suoi tanti fan. Oggi i suoi occhi vispi ed il suo sorriso genuino mancano tremendamente a tutti gli sportivi, abbracciati in un vincolo ideale per non sentirsi troppo soli senza Felice.