Si conclude la rassegna iridata di ciclismo a Imola. I volti sorridenti sono quelli di Julian Alaphilippe, Anna Van der Breggen e Filippo Ganna, i più coraggiosi nel tempio della velocità.
“Uno sport che produce sudore”. Questo era il giudizio espresso sul ciclismo da Enzo Ferrari. La frase non deve ingannare: il fondatore della scuderia più famosa e vincente della storia della di Formula 1 amava anche le due ruote non motorizzate. Una passione forse dettata dall’amore per la velocità in qualsiasi forma e contesto. Il mito a cui è stato dedicato il circuito di Imola preferiva i gregari ai campioni perché li riteneva più genuini e spontanei. Tuttavia la rassegna iridata di ciclismo su strada, svoltasi proprio nell’autodromo teatro di tanti successi della Ferrari, sarebbe piaciuta anche allo stesso Enzo. Merito del coraggio esibito dai vincitori e dalle loro storie.
TIC TOC
Ogni vittoria è figlia dell’equilibrio. Per arrivare a ottenere la perfezione bisogna liberarsi di pesanti zavorre come gli eccessi. Ne sapeva qualcosa anche un perfezionista nato come il “Drake”. A chi gli domandava quale fosse la vettura migliore rispondeva che “la macchina da corsa perfetta è quella che si rompe appena dopo il traguardo”. Per certi aspetti è una definizione adatta a Filippo Ganna. Un corridore che solamente appena prima o subito dopo il traguardo lascia trasparire le sue emozioni. Quando la gara entra nel vivo, però, il ventiquattrenne di Verbania sa rivelarsi davvero una macchina. Impressionante la sua crescita negli ultimi anni, quando ha deciso di non limitarsi al cannibalismo nell’inseguimento in pista, provando a estendere il suo dominio pure sulla strada. In attesa di comprendere se affinerà ulteriormente il suo talento anche in volata, l’azzurro si conferma un fuoriclasse nella lotta contro il tempo. Potenza e coraggio abbinati a una guida precisa e curata: lo strapotere offerto da “Ganna-machine” nei 31,7 km della prova a cronometro avrebbe impressionato anche uno come Ferrari, magari ispirandolo per una sua nuova creatura.
DEA BENDATA
Ayrton Senna detestava perdere. Il pilota brasiliano, scomparso l’1 maggio 1994 proprio sul circuito imolese, definiva il secondo classificato come il “primo dei perdenti”. Anna Van der Breggen potrebbe scrivere un trattato sulle sensazioni che si provano nell’arrivare a un soffio dal successo finale. O almeno inducevano a pensarla così i risultati ottenuti ai Mondiali dalla fuoriclasse olandese. Otto le medaglie d’argento conquistate dal 2015 a oggi, con la sola assenza nel 2016. Proprio quell’anno Van der Breggen ha imparato l’arte del successo, imponendosi nella prova in linea alle Olimpiadi. Si è ripetuta due stagioni dopo nella rassegna iridata di Innsbruck. A Imola non si è accontentata di un solo acuto, ma è riuscita ad azzeccare la doppietta, quella giusta e vincente, diversa in meglio rispetto alle serie di secondi posti consecutivi. Enzo Ferrari amava ripetere che la fortuna e la sfortuna non esistono. Certamente la Dea bendata avrà influito mettendo k.o. la statunitense Chloe Dygert e, nel Giro Rosa, Annemiek Van Vleuten, le due rivali più accreditate. Tuttavia Anna è stata estremamente cinica nel cogliere l’occasione, senza lasciarsi sopraffare dalla pressione e dal timore di rimanere ancora l’eterna piazzata nonostante le situazioni favorevoli. Forse proprio per non avere paura ha scelto la soluzione più rischiosa e coraggiosa, attaccando da lontano, a 40 chilometri dal traguardo. Una decisione degna di chi, come i piloti, è abituato a maneggiare il pericolo e le insicurezze.
ISTINTO PURO
Anche Julian Alaphilippe non ha usato mezze misure. Quando la strada si è fatta più pendente e assumeva la forma di un trampolino verso la discesa fino al traguardo finale, il campione francese ha attaccato. Un vero e proprio assolo, come piace anche a lui, ottimo musicista, specialmente alla batteria. Non si è nascosto dietro al lavoro degli altri o a tatticismi eccessivi. Sapeva di essere il più forte in quel punto e si è scatenato. Non lo ha frenato neppure il timore di fallire dopo un Tour disegnato per lui e mai sfruttato proprio per inseguire la maglia iridata. È arrivato sul traguardo da solo, alla maniera dei grandissimi, piangendo commosso per il padre Jo, scomparso recentemente. Ferrari amava descrivere Tazio Nuvolari come “un prodigio insuperato dell’istinto ai limiti delle possibilità umane e delle leggi fisiche”. Forse Enzo avrebbe esteso questa definizione anche ad Alaphilippe, interprete massimo del ciclismo come spettacolo e attacco senza timori reverenziali. Un modo di gareggiare simile alla mentalità di tanti piloti che proprio a Imola hanno saputo regalare gioie ed emozioni a generazioni di tifosi.