In questa intervista, Elisabetta Pacella, attaccante azzurra ai Mondiali 2018 di Hockey su Prato, si racconta e racconta il suo sport.
Elisabetta Pacella: una vita dedicata all’hockey e il ritorno a Milano.
Elisabetta Pacella, atleta classe 1994, rimpatria a Milano dopo un lungo periodo di spostamenti che inizia, precisamente, a 16 anni con l’approdo nella Nazionale italiana. Un decennio pieno di episodi memorabili legati alla sua più grande passione, l’hockey su prato.
Elisabetta, come hai iniziato a praticare hockey su prato?
Inizialmente ho provato numerosi sport poi mi sono concentrata sul calcio. In quarta elementare, per tutto l’anno, durante le ore di educazione fisica, assistevamo a lezioni di hockey su prato tenute da un’atleta argentina e da colui che sarebbe poi diventato il mio allenatore. In Lombardia, ancora oggi, non ci sono tanti club che praticano questa specialità dell’hockey, tuttavia uno di questi è proprio a Cernusco sul Naviglio (dove ho vissuto e vivo oggi con la mia famiglia) ed a quel tempo non ne ero a conoscenza.
Un giorno convocarono mia sorella gemella per andare a giocare ad un torneo di hockey su prato; mancava una giocatrice e mi avevano chiesto di partecipare. Non ero convinta perché non volevo indossare il gonnellino, quello tipico che indossano anche le tenniste, con sotto i pantaloncini. Alla fine ho ceduto e sono entrata in campo. Quel giorno abbiamo vinto il torneo e in quell’occasione hanno chiesto sia a me sia a mia sorella di iscriverci in un club vero e proprio.
Successivamente, qual è stato il percorso che ti ha portato all’approdo in Nazionale? Ti ricordi la prima esperienza importante con la maglia azzurra?
Inizialmente, io e mia sorella eravamo state notate da alcuni selezionatori regionali durante i vari campionati che negli anni disputavamo con il club. Dopo siamo state convocate per partecipare ad un torneo misto insieme ad atlete di altre regioni italiane. In quell’occasione c’era anche l’allenatore della Nazionale che ci ha arruolate nella squadra azzurra. A undici anni, io e mia sorella siamo entrate nella squadra Under 16.
La prima esperienza importante con la maglia azzurra è stato proprio l’Europeo U16 del 2009 in Croazia. Già in quell’occasione rivestivo il ruolo di capitano. Ancora oggi ricordo la rassegna europea del 2009 con particolare emozione perché quando si è giovani si vive tutto in maniera più amplificata. Ero entusiasta! La squadra è stata una componente fondamentale in quegli anni e fin da subito il nostro rapporto si è consolidato; ci sentivamo molto responsabili dei risultati in campo.
Sono susseguiti poi diversi trasferimenti sia per me che per mia sorella: a 16 anni siamo state contattate da Francesca Faustini, lei giocava nel club della Roma ed era una delle giocatrici italiane più forti. Le piaceva il nostro modo di giocare e voleva che ci trasferissimo a Roma; viaggiavamo ogni weekend per allenarci in Serie A finché in terza superiore abbiamo deciso di trasferirci definitivamente. Il primo anno abbiamo vinto il campionato. Dopo le superiori abbiamo trascorso un anno sabbatico a Londra per giocare al Wimbledon Hockey Club (la stessa società inglese di tennis). Successivamente, la Nazionale ci ha richiamate e abbiamo vissuto al Centro di Preparazione Olimpica per trascorrere l’anno successivo a Roma partecipando al progetto “Road to Rio 2016”. Quella stagione è stata particolarmente intensa e al momento clou abbiamo perso ai rigori contro l’India. Sapevamo di aver perso un’occasione importante!
Hai alle spalle anche due esperienze, una in Spagna e una in Belgio. In quei due paesi che tipo di hockey si “respira”?
In entrambe le occasioni ho avuto qualche difficoltà ad integrarmi in squadra, soprattutto per la lingua. Il sistema all’interno dei club in Italia, però, è imparagonabile a quello spagnolo o belga: le società sono serie e anche gli stipendi diventavano più consistenti.
I Mondiali del 2018: nonostante l’uscita dell’Italia agli ottavi di finale, è stato un bel biglietto da visita per il movimento dell’hockey su prato italiano.
Esatto! Ci siamo classificate con la World League 2 di Bruxelles senza in realtà aspettarcelo. Quel momento è stato incredibile! A Londra 2018 abbiamo vissuto una manifestazione di hockey su Prato in grande: stadio gigantesco, interviste, foto, sponsor, autografi ecc.
La prima partita abbiamo vinto 3-0 contro la Cina (quinta nel ranking mondiale); nella seconda partita, con la Corea del Sud, abbiamo segnato cinque secondi prima del fischio (1-0). Infine con l’Olanda non c’è stata partita essendo una delle squadre più forti al mondo, tuttavia abbiamo passato ugualmente il turno. Agli ottavi di finale, nuovo scontro con l’India, le avversarie ci hanno sopraffatte fisicamente e abbiamo perso il match 3-0.
Ora che sei tornata a Milano cosa ne sarà del tuo futuro da hockeista azzurra?
Quest’anno ho deciso di tornare a giocare a Milano, o meglio a Cernusco sul Naviglio, perché adesso voglio dare spazio ad altri aspetti della mia vita che in passato ho dovuto accantonare per dedicarmi principalmente alla mia carriera professionistica. Voglio tornare a studiare e specializzarmi. Mi sono laureata in Scienze Motorie all’Università Telematica San Raffaele (Roma) e adesso voglio effettivamente sedermi ai banchi per seguire le lezioni; mi piacerebbe frequentare un master che mi permetta in futuro di lavorare nell’organizzazione di eventi sportivi oppure in una Federazione. Inoltre, vorrei sperimentare e vivermi l’ambiente accademico come non sono riuscita a fare prima.
Sto ancora pensando di continuare con il team azzurro per poter, in questo lasso tempo, tentare di centrare le qualificazioni ai Giochi Olimpici di Parigi del 2024. Tuttavia, quattro anni sono molto lunghi e ogni pronostico sul mio percorso sarebbe affrettato.
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